Sedeva davanti alla finestra fissando un punto vuoto tra due tetti. Era lì da tempo. Infine abbassò la testa e vide se stessa protendersi sul davanzale. Le braccia tese verso l'aria, si mise in punta di piedi per fare prove di caduta. Si dette un po' di spinta, sporgendosi ancora di più verso l'esterno, ma poi vinta dalla paura si tirò indietro. Ripeté questa operazione varie volte, una di quelle volte non tornò più dentro e cadde rapidamente. L'accelerazione impressa al corpo dalla forza di gravità la fece impattare al suolo malamente e l'improvvisa decelerazione le strappò gli organi dai loro attacchi, morì subito.
Le fratture delle ossa delle gambe avevano esposto i monconi, lacerando la pelle.
Il sangue defluiva inarrestato sulle pietre lisce del selciato, scomparendo tra le fessure.
Si alzò e aggrappandosi alle crepe dell'intonaco del palazzo, riuscì a raggiungere il davanzale, dal quale era caduta e attraverso la finestra ritornò all'interno.
Era di nuovo seduta e di nuovo si sporse dalla finestra, ma senza esitazione questa volta, si lanciò nel vuoto e di nuovo cadde e morì.
«Cosa fai tutta sola?»
La domanda esplose alle sue spalle. Cercò il modo di ritornare al senso del reale, uscirono suoni incomprensibili dalla sua bocca.
Ma infine rispose di aver cercato un po' di solitudine in quella stanza, perché i campanelli, che regolano la vita di un convento si intromettevano troppo nei suoi pensieri.
Così dicendo si alzò, andò verso l'inopportuna visitatrice e prendendola per un braccio uscì dalla stanza insieme a lei, come se volesse nascondere la sua invisibile, sognata attività di suicida.
Erano ormai le otto del mattino successivo all'evento teatrale del Santa Maria degli Affranti e se ne sentiva ancora l' atmosfera di intensa partecipazione di chi aveva assistito allo spettacolo e goduto della convivialità della cena che lo aveva seguito. Da ben prima delle otto era cominciato un chiacchiericcio, che almeno in cucina e poi nel refettorio, era stato smorzato dai preparativi della colazione e dal suo consumo.
Ritornò una certa calma, quando le collegiali uscirono per recarsi a scuola, ma quello sarebbe stato un giorno di attività intense per smantellare il palco, riordinare il giardino e gli altri ambienti toccati dall'evento. Agli operai che avrebbero svolto i lavori, era stato chiesto di presentarsi verso le otto e trenta, quindi dopo l'uscita delle ragazze per recarsi a scuola. Così fu e appena essi arrivarono, suor Maria Elisabetta li condusse nella sala di ricreazione, al cospetto del palcoscenico da rimuovere e lì li lasciò per tornare in ufficio ad occuparsi delle sue mansioni.
Gli operai erano agli ordini di Lorenzo il tuttofare dell'Istituto. Iniziarono la loro opera partendo dal prezioso sipario, poi furono portati via e inscatolati gli oggetti di scena.
Le quinte, il fondale, la ribalta, furono smontati e si iniziò a togliere dal loro incastro le assi del palcoscenico, procedendo dall'avanti verso l'indietro, in modo da poter scendere dal palco al pavimento per mezzo della scaletta disposta alla fine del lato sinistro del sottopalco. Erano appena state divelte le prime tre assi, che uno degli operai per cominciare a scardinare la quarta, si piegò inserendo una leva sotto di essa e in questa operazione si trovò a guardare in basso verso l'interno del sottopalco.
Nei sottopalchi dei teatri stabili, di solito sono alloggiati congegni, che azionano ponti elevabili e girevoli, che fanno parte di palcoscenici mobili. Vi possono essere scale e botole, che servono per effetti scenici o per necessità tecniche.
Il sottopalco del teatro del Santa Maria degli Affranti aveva il compito di sorreggere il palco e anche quello di contenere gli attrezzi usati per montare il palcoscenico, perciò, intento a divellere le assi del palco, l'operaio che in questa mansione si trovò a guardare dentro di esso, vide un grosso involto, che poté scorgere per mezzo delle luci di scena, che non essendo ancora state smontate, facevano filtrare un po' di luce anche nel sottopalco.
«O Lorenzo, viè un po'
a vedere!»
«Delmo, c'ho da fa'. Si u'nè necessario...»
«Viè, te dico, nel sottopalco c'è una specie di fagotto grande. Un c'era quando ho riposto gli attrezzi. Porta la torcia, ché qui ci si vede poco.»
«Delmo, ma qua chi comanda?»
«Tu, tu, ma spicciati, ché sta cosa u'me torna!»
Lorenzo, munito di torcia e di notevole malavoglia, raggiunse Delmo, che sdraiato sulle assi non divelte del palco e tenendosi agguantato a quella di esse oltre la quale non c'e n'erano altre, spiava allungando il collo, dentro la scarsa luminosità del sottopalco, come fosse una tartaruga in cerca dell'insalata.
«Delmo, te me spieghi che ci fai quassù? Un'era meglio si andavi de sotto a vede', invece de farme perde tempo?»
«Te c'ha ragione! Un c'ho pensato, ma viè a vede' prima e poi vado.»
Lorenzo si sdraiò anch'egli sul palco, sporgendosi il più possibile nel vuoto, aguzzò la vista e infine:
« E ma, gl'è parecchio stramba 'sta cosa allungata! O che sarà mai? Delmo, vai, vai giù a vede'.»
Delmo e la torcia andarono e apparvero poco dopo attraverso la parte divelta del palco.
«Allora, Delmo, che me dici?»
«Dammi tempo, no?»
Lorenzo vide Delmo accovacciarsi accanto allo strano oggetto oblungo.
«Me pare, che questo è un telo di plastica uguale, uguale a quelli, che usa suor Orsola pe' coprì d'inverno le piante del giardino.»
«E che ci sarà mai là sotto?»
Un rumore di plastica smossa salì verso Lorenzo.
«Madonna bona! E codesto che l'è?
O Lorenzo, viè giù, un me sento niente bene. L'hai mai veduto tu un morto ammazzato?
Io mai e ora lo sturbo m'a preso
tutto lo stomaco.»
Lorenzo era già sparito dal palco per precipitarsi alla scaletta e scendere sul pavimento. Si introdusse nel sottopalco e raggiunse Delmo, che morto quasi quanto il cadavere, non poteva distogliere lo sguardo da esso. Il corpo giaceva disteso a occhi spalancati e coltello piantato nel torace, le labbra esangui contratte in una smorfia di dolore.
«Madonna bonina! O chi l'è questo?»
Chiese inutilmente Lorenzo.
Atono, Delmo era rimasto accovacciato senza decidersi a cambiare posizione e Lorenzo accovacciato anche lui formava con Delmo un parziale e tragico ricordo visivo dei Re Magi davanti al Bambino.
«Ascolta, Delmo, che si fa?»
«A me tu lo chiedi? Un m'è rimasto un filo di fiato in gola, figurati se c'ho pensieri in testa!»
«La superiora! Lo si dice alla superiora! No, prima a suor Maria Elisabetta. Alò!»
«Alo'? So' intorpidito, si nun me dai una mano u'me alzo da qua.»
Lorenzo e Delmo, spaventati tutt'e due, si aiutarono a vicenda a rimettersi in piedi.
«Delmo, vai tu da suor Maria Elisabetta.»
«Un vieni?»
«Qualcuno deve restà qua col morto.»
«Chè, tu ch'a paura che scappi?»
«Un fa' lo scimunito, spicciati va dalla suora!»
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È SEMPRE INSOLITO IL LUOGO DEL DELITTO
General FictionSerie in corso La storia copre un arco temporale di cinque anni, dal 1967 al 1971 e segue le vicende di un gruppo di ragazze di provincia, che per frequentare le scuole superiori diventano ospiti di un collegio di suore.