La pioggia batteva lenta sulla finestra, rigando i vetri leggermente appannati, e si poteva sentire il rumore del vento, talmente forte da piegare le cime degli alti abeti. La fiamma del camino intiepidiva dolcemente la stanza, rischiarando la penombra di una candela quasi consumata. Sdraiati l'uno di fronte all'altro, con le gambe che si intrecciavano sul vecchio divano azzurrino, Oscar e Bosie leggevano i loro libri.
Voltando un po' svogliatamente le pagine, di tanto in tanto alzavano lo sguardo e sbirciavano che cosa stesse facendo l'altro. Non erano ancora abituati a quel tipo di familiarità, a quel poter stare da soli ma insieme, lontani dal chiasso di Londra, lontani dalla follia dei londinesi e di quella loro ipocrisia. Tutti uomini integerrimi in pubblico, ma nelle camere da letto si lasciavano andare agli impulsi più brutali e animali, scegliendo le prostitute più belle e lascive, senza curarsi se i loro impeti sessuali procurassero loro un qualche sorta di fastidio.
Loro invece non osavano fare nulla, se non fiorarsi o scambiarsi qualche occhiata fugace, immaginandosi come sarebbe stato assaggiarsi a vicenda. Sapevano benissimo che quello che c'era tra loro due non era una semplice amicizia, né tantomeno un legame fraterno, visto che i pensieri che affollavano la loro mente erano palesemente oltre. Eppure entrambi facevano finta che non ci fosse nulla, che fosse tutto uno strano sogno frutto della loro immaginazione, dissimulando quel sentimento divino che i mortali chiamano amore.
"Hai freddo?" interruppe improvvisamente quel silenzio carico d'elettricità Oscar, scuotendo leggermente la testa per scansare dal volto una ciocca di capelli.
"Cosa?" gli fece Bosie, che era troppo preso dal prendere atto per l'ennesima volta della bellezza di quell'Adone per afferrare il significato delle sue parole.
"Hai freddo?".
"Oh, no: sta' tranquillo" rispose alla fine l'altro.
Ma Oscar non fu soddisfatto da quella risposta e, sciogliendo l'intreccio delle loro gambe, andò a prendere una calda coperta di lana, accuratamente piegata e adagiata sul bracciolo della poltrona lì vicino. La aprì e la sistemò con una certa premura sulle gambe di Bosie, che continuava a fissarlo con aria interrogativa.
"Hai i piedi gelati" gli spiegò brevemente ritornando al suo posto.
"Ma non ce n'era bisogno lo stesso".
"È solo una coperta: non ho fatto chissà quale fatica di Eracle".
Il silenzio piombò di nuovo tra i due. Si fingevano incredibilmente assorti nella lettura, ma quei fiumi d'inchiostro erano lungi dall'essere il loro principale problema. La verità era che erano perfettamente consapevoli che quello non era un semplice fine settimana di pace agreste, non era una fuga dal caos cittadino: era una scusa per stare loro due soli, lontani da sguardi indiscreti e malelingue. La verità era che l'attrazione tra loro due era così potente e palpabile che chiunque era in grado di accorgersene: così erano nati i pettegolezzi, così erano iniziati i problemi.
"Allora, che vogliamo fare?" esordì di nuovo Oscar chiudendo il suo libriccino giallo.
"In che senso?" domandò Bosie alquanto confuso.
"La mezzanotte è passata da un pezzo: vogliamo farci un bicchiere oppure andiamo di sopra? Considera però che domani dobbiamo svegliarci presto se vogliamo andare a pescare al fiume".
Andiamo di sopra. Quelle tre parole scatenarono in Bosie come un fremito, facendogli desiderare al tempo stesso di salire su con lui e di non farlo affatto, eccitato e spaventato da quello che sarebbe potuto succedere.
"Un bicchiere me lo faccio volentieri" rispose alla fine cercando di apparire il più calmo possibile.
Oscar annuì con un sorriso compiaciuto, si fece strada verso un vecchio tavolino di mogano, dove nella bottiglia di cristallo il whisky giaceva indisturbato, e versò lentamente l'alcol in due bicchieri.