Der Gott der Eisen wachsen ließ

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La mente umana è limitata nel suo ricordare. Una volta che il fiume del vivere, come nel mio caso, raggiunge la pianura ha ormai perso molta della sua originaria identità, il suo percorso ha preso direzioni imprevedibili dalla partenza e il suo scorrere si è intrecciato a molti altri corsi; ognuno con una sua sorgente e storia unica e irripetibile.
Perdona dunque gentile lettore se la mia storia potrà apparire imprecisa e contradditoria nella narrazione. Perdona la mia mortale natura che impone questo difetto e attendi i tempi più recenti dove fresche rimembranze permangono solide nel mio pensare.

Nacqui nel villaggio di Bergnest, nella zona interna del Wall Maria, nell'anno 821. Mio padre Jacob Werner era il falegname del paese e mia madre Agatha Lehmann una donna gentile ed energica, aiutava spesso in qualità di consulente economica nell'azienda di famiglia mostrando un intuito per gli affari che avrebbe fatto impallidire anche i signori del Wall Sina. Mio padre aveva un carattere più calmo e curioso rispetto alla sua compagna, ma le sue creazioni riuscivano sempre a stupirci.

Il prefetto del villaggio mi presentò alla comunità pochi giorni dopo la nascita con il nome scelto dai miei genitori: Friedrich Werner. Egli era uno noto nelle locande per la sua passione per il bere, diceva che un goccio serviva ad ogni uomo per chiarire la propria mente e trovare il coraggio di compiere grandi imprese. Questo non gli impedì di annunciare nella cerimonia il mio nome come Fritz prima di venire sonoramente corretto da mio padre di fronte alla piazza.

La mia prima infanzia fu un periodo semplice e felice. Il mio carattere introverso e sognatore non rese certo semplice entrare in simpatia con gli altri bambini della mia età, ma il mio amico Karl riusciva sempre nel suo compito di diplomatico per garantirmi di giocare con gli altri. Karl era il completo opposto di me nella sua personalità allegra e sociale, aveva un'energia spropositata anche per un bambino di 6 anni; eppure proprio per questo suo modo di fare affabile divenne una sorta di leader tra i miei coetanei. 

La nostra amicizia fu per il giovane me un miracolo nato dal legame che legava i nostri padri da quando il signor Günther aveva richiesto i servizi di un falegname per la sua bottega. Non ebbi mai modo di capirne il motivo, ma i due presto divennero come compagni d'armi pronti ad aiutarsi per ogni esigenza. Il padre di Karl era un commerciante per una facoltosa compagnia ed era per questo solito regalarci tessuti preziosi nelle consone occasioni. E credimi lettore, sono stati tra i più pregiati che abbia mai avuto modo di toccare.

Mio padre, vedendomi sempre solo e taciturno, aveva chiesto al signor Günther di farmi conoscere suo figlio nella speranza di sollevarmi il morale. L'amicizia tra me e Karl non fu per nulla immediata. Nei primi periodi quando accompagnavamo le nostre madri nelle compere del giorno del mercato, parlavamo poco e i numerosi tentativi del figlio del mercante di trovare una leva per il discorso incontravano il mio silenzio. 

Tutto cambiò un sera nell'autunno del 826 quando, durante una cena tra i nostri genitori, il signor Günther per tenerci occupati ci fece giocare a scacchi. Non avevo mai visto un gioco così complesso nella mia vita e quindi chiesi con rispetto al padrone della scacchiera: "Signor Günther, perché giocare a scacchi quando esistono modi molto più semplici e dinamici di passare il tempo come nascondino?". Mi rispose con un sorriso divertito: "Vedi Friedrich, la vita è complessa e difficile. Molte volte ti troverai in situazioni di difficoltà dove non potrai solo usare la tua forza per uscirne vincitore. Ricorda sempre che il miglior metodo per risolvere un problema è sempre averlo già risolto nella tua mente senza aver fatto ancora nulla." si girò verso Karl come ad invitarlo a seguire con più attenzione per poi continuare: "La mente deve però essere allenata, e una bella partita a scacchi è migliore di ogni sollevamento pesi per lei". Non capii bene cosa volesse intendere con quel discorso, ma preso dall'euforia proprio come il mio amico non feci altre domande e dopo aver appreso le regole iniziammo a giocare.

Passammo il resto della serata ad affrontarci a vicenda. Le regole non erano sempre rispettate ma, finché la nostra variante era nota ad entrambi, l'unica cosa importante era abbattere il re nemico prima che il mio affrontasse quella fine. Al termine della cena era stato Karl ad ottenere il maggior numero di vittorie, ma questo non fermò il mio spirito nei mesi successivi dal provare a sovvertire questa tendenza. Giocare a scacchi era come un nostro rituale giornaliero, non importa dove o quando, ma prima di dormire dovevamo aver giocato.

Nonostante le mie vittorie, la maggior parte delle partite finiva sempre a favore del mio sfidante per colpa di quella dannata torre destra. Frank era eccellente a muovere le sue torri e questo gli consentiva di intrappolare mortalmente i miei pezzi facendole collaborare, la torre destra era la sua prediletta ed era sempre quella usata per dare il colpo di grazia al mio re.
Non mancarono però anche momenti di orgoglio dalla mia parte, come quando riuscii con il mio cavallo ad infilarmi nella sua formazione e porre in scacco matto il re nemico mentre esso era circondato dai suoi stessi pezzi. Fu più un colpo di fortuna che un'azione ben voluta, ma questo ovviamente era ed è completamente irrilevante.

E così il tempo della mia giovinezza passò tra giochi all'area aperta con gli altri fanciulli e le giornaliere partite a scacchi con Frank. La vita era così semplice e tranquilla allora, il peso del vivere e l'incertezza per un futuro capriccioso e beffardo erano ancora a me ignoti; si viveva giorno per giorno senza pensare al domani, senza alcuna preoccupazione. 

Der Wächter an der WandDove le storie prendono vita. Scoprilo ora