Comprendo, gentile lettore, che leggere le vicende della mia prima infanzia possa apparire al tuo occhio attento come un'attività noiosa e futile in confronto alla volontà di conoscere la mia storia nell'epoca folle da cui io ora ti scrivo. Tuttavia dovrai sopportare la mia ostinazione nel parlare dei giorni prima della caduta; credo infatti che la vita tenda assai a darci segni ed esperienze per ammonirci su eventi futuri. La finita mente umana, però, non può coglierli con facilità; notandoli di norma solo quando l'albero è ormai caduto.
Proprio come le rondini permettono alla propria prole di lasciare il nido, quando ritenute capaci di volare e sopravvivere nel nostro spietato mondo, pur provvedendo loro per un certo periodo in modo che il trapasso non sia troppo violento; così i genitori iniziano a dare maggiore autonomia ai figli gradualmente quando li ritengono sufficientemente maturi.
All'età di otto anni, nell'anno 829, mi fu permesso di poter vagare nei boschi limitrofi al villaggio insieme ai ragazzi della mia età. Agli abitanti di un centro abitato potrà sembrare imprudente permettere ciò a dei bambini senza supervisione, ma vivendo in un piccolo paese circondato da foreste conoscevo già quel labirinto di arbusti come i nostri coetanei della città le strade. I miei genitori non mi avrebbero invece mai lasciato solo in un centro abitato, per la loro visione del mondo correvo molti meno rischi nella natura che tra gli uomini: un animale infatti attacca un'uomo solo se si sente minacciato e assai raramente per cibo, non siamo un piatto molto sostanzioso, mentre gli uomini sono disposti a uccidersi per dei semplici metalli.
La mentalità del villaggio però, non fermò mio padre dal cercare di ritardare il più possibile la firma di questo contratto sociale; mosso da quel istinto materno che per uno scherzo del fato aveva deciso di risiedere nella sua anima e che lo spingeva a proteggermi. Mi ricordo ancora una discussione che i miei genitori ebbero una sera dopo l'ora di cena su questo preciso argomento.
Dopo l'ultimo pasto della giornata giocavo ogni tanto con mio padre a scacchi, erano partite di poco valore poiché mi lasciava sempre vincere ma che comunque rallegravano il mio spirito dopo le usuali sconfitte che subivo da Frank. Era la primavera del 829 e dopo il mio ennesimo trionfo avevo ritirato le pedine dentro lo spazio vuoto sottostante la scacchiera, come ero solito fare, e avevo riportato il tutto nel suo spazio apposito in soffitta.
Ero prossimo a scendere le scale per tornare in sala da pranzo, quando sentii la voce di mia madre provenire da quest'ultimo luogo con un tono deciso: "Non possiamo tenerlo per sempre sotto la nostra fronda, deve avere la possibilità di esplorare il mondo", preso dalla curiosità mi sporsi dalle travi verticali, poste nella parte interna della scala, per vedere meglio: mio padre era ancora seduto nella sua sedia mentre mia madre era di fronte al rubinetto, l'acqua sulle mani indicava che aveva da poco smesso di lavare i piatti.
Nella sua solita calma e tranquillità mio padre le rispose: "Non dico di tenerlo rinchiuso per sempre, ma potremmo solo aspettare che i tempi siano più maturi prima di dargli questa responsabilità". La sua compagna fu presa da un'impeto: "E come pensi che potrà diventare maturo se non gli permettiamo di fare esperienze? Non è un'arbusto che cresce dove piantato!". Egli non demorse e anche lui alzò il tono: "Lo so benissimo e credo in mio figlio, come sai non ho mai avuto problemi a farlo uscire con Otto! Ma con un ragazzo della sua età mi pare ancora troppo presto". Volse lo sguardo da lei sdegnato incrociando però il mio, il suo viso si gelò di colpo trafitto dalla vergogna e paura.
Non rimasi a guardare oltre, mi girai di colpo scendendo le scale e corsi nella mia camera sbattendo la porta dietro di me. A posteriori è facile giudicare, ma la mia umile mente infantile, ancora estranea dal peso e dalla fatica di avere responsabilità, fu distrutta da quello che vide come un segno di sfiducia. Nessun infante vorrebbe vedere litigare i propri genitori e, ancora di più, sentirsi dire di essere incapace da uno di loro. Mi ricordo che piansi.. piansi per la vergogna di non essere ritenuto degno, piansi per essere scappato dal problema dimostrando la mia immaturità, piansi per la paura che quelle aspre parole trovassero l'origine nella mia incapacità di relazionarmi e piansi per altro che, grazie al cielo, la mia mente non riesce a ricollocare.
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Der Wächter an der Wand
AdventureViandante che scorri le tue mani su questo volume dimenticato. Non sperare di trovare, in questa fievole storia, raccontate le gesta e i dolori del corpo di ricerca e dei guerrieri di Marley. Leggerai nelle mie pagine quei giorni di follia, lotta, a...