17 settembre di due anni fa. Seduta su una panchina di legno mezzo marcio ai bordi della solita e monotona pensilina, la sua, la settima, accaldata dal pallore del sole delle undici di mattina, Allison contemplava paradiso, inferno e purgatorio, come suo solito fare in situazioni del genere e non solo, stringendo nervosamente tra le mani il verbale compilato da due controllori qualche istante prima.
Fu in quell'esatto momento che, usciti da scuola, tutti assieme si incontrarono per la prima volta alla pensilina sette, i veterani di quello che poi sarebbe diventato un gruppo sempre più ampio, stimolante ed unito.
~ o ~
Luce. Una panchina. Capelli Biondi. Occhi azzurri baciati dal gentil sole. Vestiti semplici ma curati. Un foglietto nelle mani libere e una serie di imprecazioni ad accompagnarlo. Queste le prime impressioni che ebbe di lei.
La vide sollevare il chiaro viso, pulito e lentigginoso, verso Aisha e raccontarle di come aveva preso una multa per non aver obliterato il biglietto. Numi del cielo, chiunque lassù ci sia, grazie. Grazie per questa amicizia con Aisha. Perché altrimenti non avrebbe mai potuto incontrarla, non avrebbe mai potuto sapere il suo nome. Allison - una preghiera, la speranza di un legame. Così forte, così potente era un nome. Voleva conoscerla.
Riusciva a prevedere cosa sarebbe successo - sarebbero saliti sul pullman, si sarebbero seduti insieme e avrebbero iniziato a parlare del più e del meno, giusto per conoscersi, per capire se sarebbe stato meglio dimenticare quell'incontro o invece considerarlo come il debole germoglio di un futuro rapporto. Sperava con tutto se stesso nella seconda.
Si sistemò i capelli, sperando di avergli dato una forma piuttosto di aver peggiorato la situazione. Controllò le scarpe. Erano, fortunatamente, quelle nuove, pulite (aveva sempre ritenuto che le scarpe fossero molto indicative di una persona). Si sistemò anche i vestiti, già che c'era: era pronto.
Si sedettero, una di fronte all'altra. Lui era più alto, perciò gli bastò scivolare un attimo più comodo sul sedile e le loro ginocchia si toccarono.
Le piaceva, come ragazza. Era semplice, senza pretese.
Parlava spontaneamente, senza preoccuparsi troppo di come doveva apparire, in un susseguirsi di bestemmie, parolacce e pensieri - un circolo vizioso, una catena di pensiero ormai collaudata. Se le frasi sono scene teatrali, allora lei era un film di Stanlio e Olio.
Solo che in quella scena non c'era lui, ma Henry. Henry, maledetto stupido, certo era il suo migliore amico ma in quel momento avrebbe voluto solamente che se ne andasse. Avrebbe voluto urlargli di stare zitto, di andar via, ma sapeva che era solo invidioso. Invidioso perché faceva quello che lui avrebbe voluto fare. Parlarle.
Ma, maledizione, anche se aveva un anno in meno di lei non sarebbe stato quello a fermarlo. Era un ragazzo carino, mediamente intelligente, e quando voleva sapeva essere interessante. Poteva farcela, avrebbe fatto bella mostra di ogni qualità del suo arsenale.
Ma prima ancora che potesse aprir bocca, fu lei a compiere il passo e a parlare con lui. Era così semplice, e lui si era incasinato la testa pensando a tutt'altro.
Scoprirono di essere anime affini.
Voleva ardentemente conoscerla meglio, diventare suo amico e poi - chissà mai cosa può succedere nella vita - magari qualcosa di più.
Ma, ripercorrendo la sua vita amorosa, iniziò a ripensare a quell'ultimo stadio. In effetti, la sua storia sembrava più una puntata di Alta Infedeltà che un dolce teen romance. Forse c'era qualcosa che non andava in lui, una volta passata l'emozione della conquista scemava l'interesse.
Ma con Allison voleva un rapporto stabile. Non l'avrebbe fatta soffrire inutilmente come le sue ex.
No, decise, lei non sarà mai la mia ragazza.
~ o ~
Quel giorno, il lungo tragitto in pullman per tornare a casa sembrava essersi dimezzato, forse per l'atmosfera di intesa mista ad interesse amichevole che si era creata fin da subito tra i ragazzi, forse per l'abitudine di ripercorrere mentalmente e fisicamente sempre la stessa noiosa strada mossi da una fame immane, o forse, semplicemente perché c'era meno traffico rispetto al solito.
Comunque, scesi dal pullman, avevano avuto solo il tempo di chiedersi a vicenda a che ora avrebbero cominciato il giorno dopo, sperando di far combaciare gli orari di ognuno, prima che Allison iniziasse a correre scompostamente verso la coincidenza (che altrimenti avrebbe perso), gridando un mal pronunciato ma semplice saluto.
Due parole di congedo un po' gergale, "ciao raga", ma solo una voce di risposta era quella che lei sperava inconsciamente di udire tra le altre: quella di Dylan.
Ed ebbe modo, mentre l'autista si dirigeva verso il suo paesello sperduto, di pensare, riflettere, fantasticare, su chi potesse essere quel ragazzo, sbucato come dal nulla. Voleva capire se avrebbe rispecchiato l'apparenza, e, beh, se così fosse stato...
Voleva, forse, provare a costruirci un rapporto di amicizia, impegnarsi. Questo ragazzo, alto, magro, castano, aveva attirato quel non so cosa della sua mente e pensava a lui in continuazione.
In fondo con lei aveva sempre funzionato così: bianco o nero. Lui, decisamente, rientrava in una sfumatura pura, purissima, di bianco lucente.
Ed era solo il primo giorno.
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Quella volta in cui l'amore (non) sbocció
ChickLit-piacere, Allison -piacere, Dylan un innocuo saluto, tutto quello che servì a far sbocciare quello che poi sarebbe stato il rapporto più complicato di sempre Lei è Allison, una ragazza insolitamente comune, quando tutto è iniziato aveva sedici anni...