Maremoto

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Dopo essersi rivestito, Tommaso Labate bussò al camerino di David.
"Ci sei? Posso entrare?"
Era nervoso, aveva lo sguardo basso e con l'altra mano nella tasca dei pantaloni, le dita giocherellavano freneticamente con una monetina che era lì dentro.

Quando varcò la soglia, il giornalista padovano era immerso nel fumo di una sigaretta. Aveva la cravatta allentata, e la sua giacca sartoriale blu che aveva indossato per la diretta era appoggiata al bracciolo del divano.

"Pensavo avessi smesso di fumare" disse Labate con un tono più ironico, cercando di smorzare il nervosismo per tranquillizzarsi.

"Avevo, ma ci sono ricascato. Evidentemente ho mentito a me stesso" rispose David, esalando il fumo a un paio di metri dalla faccia di Tommaso.
Aveva il mozzicone tra due dita, che spense in un posacenere blu, con disegnata la bandiera dell'Unione Europea al centro, sul tavolo.

La puntata era ormai saltata, e David Parenzo ripose in ordine un folto mucchio di carte sul tavolo di fronte allo specchio del camerino.
Sbuffò, aveva gli occhi affossati che evidenziavano un pessimo umore. Non rivolse neanche lo sguardo al collega, evitando di incrociarlo direttamente con il suo. Anzi, a ben vedere, lo schivava proprio.
Le labbra erano serrate.
Il padovano stava preparandosi per andarsene. Avrebbe voluto sparire, a maggior ragione davanti a Tommaso.

"Ascolta..." disse Labate, spostandosi i capelli dalla fronte e prendendo un bel respiro.

David fece finta di non sentirlo. Cercava le sue cose come fosse un ladro che doveva fuggire via al più presto.

"David, volevo parlarti" insistette Labate.

Il camerino era intriso nell'odore di sigaretta. C'era una finestra semi-aperta, ma non serviva ad arieggiare la stanza da quel pungente tanfo di tabacco mista a carta bruciata.
Tommaso Labate non aveva il coraggio di incrociare direttamente il suo sguardo. I suoi occhi vagavano frenetici per tutta la stanza, percorrevano tutto il perimetro e quello che c'era al suo interno.
Nascose entrambe le mani in tasca.
David si fermò di fronte a lui come se si fosse bloccato improvvisamente. Smise di riempire il suo zaino e fu come se qualcosa lo svegliò da uno stato di agitazione.

I due si ritrovarono faccia a faccia, poco prima di sedersi l'uno affianco all'altro sul piccolo divano rosso in pelle che era accostato ad una delle pareti bianche del camerino.
David Parenzo alzò lo sguardo verso il collega cosentino, che a sua volta lo osservava quasi come se stesse per esplodere in lacrime. I due occhi celesti di Tommaso Labate brillavano come due diamanti incastonati nel viso. I riflessi nelle iridi color del cielo creavano una scia di luci simili a quelle che crea il sole sul filo d'acqua del mare, al tramonto.
Tommaso Labate stava per piangere. Stava per piangere davanti a David Parenzo, era evidente dai suoi occhi arrossati e gonfi, ma ancora riusciva a trattenersi.

"Non so che cosa mi sia preso" confessò mortificato David, mantenendo un'aria più distaccata.
Cercò di articolare le parole, ma non riuscì a sfilarle dalla sua bocca con la stessa agilità con cui, in diretta televisiva, disquisiva di politica estera.
"Credo di essere impazzito, non lo so. Io... io non ero... non ero in me in quel momento. Non so perché lo abbia fatto, davvero. Ti... chiedo scusa.
Ti chiedo perdono".

David prese un bel respiro. La voce vacillava come su un filo. Ma non era troppo sopraffatto dall'emozione e riuscì a confidarsi lucidamente col collega. Ciò che temeva di più era che Tommaso fosse arrabbiato nei suoi confronti. Che non l'avrebbe mai più voluto vedere, né lavorare con lui.
Insomma, nel peggiore dei casi, che avrebbe chiuso i rapporti con lui.
Il giornalista padovano avrebbe voluto andarsene in quel preciso istante.

"Credo di averti soltanto messo in imbarazzo, e mi... mi dispiace. E poi non è da me. Ho mia moglie Nathania, i miei figli... Devo essere impazzito. Scusami".

Parenzo gesticolava teso, e Labate non levò mai lo sguardo da quelle mani che si agitavano come un maremoto.
Altro che "In Onda", erano in un'intero tsunami di emozioni.

Tommaso posò la sua mano sul pacco del collega, dopo che quello si scusò per l'accaduto.

"David, va tutto bene. A me va bene" lo rassicurò dolcemente e gli diede un caldo bacio sulle labbra.

Rimasero soli nel camerino ancora per un po', poi David gli domandò un passaggio in scooter verso casa, dato che non aveva la patente.

Rimasero soli nel camerino ancora per un po', poi David gli domandò un passaggio in scooter verso casa, dato che non aveva la patente

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