GRACE
Passai la domenica a letto accompagnata da un mal di testa lancinante e un atroce dolore a muscoli e ossa. Il lunedì mattina Alan mi provò la febbre, misurando appena 37,5°, così rimasi a casa da scuola nonostante mi sentissi meglio.
Verso le dieci del mattino di quel noioso lunedì, la mia routine Netflix-frigorifero-divano fu spezzata dal suono del campanello.
Sbuffai e mi avvolsi con il mio plaid peloso blu per andare ad aprire alla porta «Sì?» domandai cercando di coprirmi gli occhi dalla luce del sole.
«Buongiorno, sono qui per promuovere un nuovo prodotto della nostra azienda.» disse l'uomo, ma lo fermai subito dicendo, cordialmente, che non mi interessasse. Gli chiusi la porta in faccia e tornai a buttarmi sul divano.
Il campanello suonò nuovamente. Feci un lungo respiro e mi alzai ancora andando ad aprire alla porta.
Due donne mi sorrisero «Buongiorno, siamo qui per diffondere la parola di Dio.»
Sbattei le palpebre due volte, cercando di mettere a fuoco le due figure che avevo davanti, poi scossi la testa «Non sono interessata.» dissi bruscamente.
Chiusi la porta.
Mi lanciai a peso morto sul divano e feci partire l'ennesimo episodio di Shadowhunters, quando il campanello suonò di nuovo.
Lanciai il telecomando per la rabbia e mi alzai in piedi talmente velocemente che mi venne un capogiro. Quando mi ripresi, corsi alla porta «Non ho bisogno di alcuna fottutissima aspirapolvere, né di sapere cos'ha da dirmi Dio!»
Davanti a me comparve un torace ben piazzato e dovetti alzare lo sguardo per incrociarne uno alquanto confuso. I due occhi azzurri mi fissavano come se fossi appena uscita da uno show dei Muppet.
Caleb fece un sorrisetto «È una fortuna che io non sia qui per venderti aspirapolveri o per parlarti di Dio, no?»
Rimasi a bocca aperta a guardarlo. Non avrebbe dovuto essere a scuola?
«Che ci fai qui?» gli chiesi.
«Ero venuto a vedere come stessi, ma vedo che te la stai cavando alla grande.»
Avvolta dal mio plaid, rimasi a fissarlo con gli occhi semi chiusi. Gli sbattei la porta in faccia e tornai strisciando verso il divano.
Il campanello riprese a suonare, ancora e ancora, mettendo a dura prova il mio autocontrollo.
«Se ti lascio entrare la smetti di rompermi?» gridai riaprendo la porta.
Il suo dito era ancora fermo sul bottoncino del campanello, mi sorrise e lo suonò un'ultima volta «Certo.»
Sospirai e gli lasciai lo spazio per entrare, richiudendo subito la porta alle sue spalle. Sapevo che mi sarei pentita a breve di quella scelta, ma avrei fatto di tutto pur di far cessare quell'orribile suono.
Mi raggomitolai sul divano il più possibile lontano da lui, con la scusa della febbre e tutto il resto.
Lui non parve bersela e si mise accanto a me «Come stai?»
Lo guardai di sbieco e cercai di interpretare la sua espressione. Non capivo se fosse sinceramente preoccupato, o se tutto quello fosse solo l'ennesimo suo tentativo di farmi "cadere ai suoi piedi".
Decisi di rispondere con circospezione «Sto meglio.»
Ripresi a guardare Netflix alla tv e lo ignorai, sperando che capisse di non essere proprio gradito e che scegliesse di sua spontanea volontà di andarsene.
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La mia vita è un cliché
RomanceC'è una cosa che Grace Dekker odia tanto quanto gli spoiler di un finale di stagione: i cliché, peccato che la sua intera esistenza lo sembri. I suoi genitori persero la vita in un brutale incidente d'auto e fu la zia ad occuparsi di lei e di suo fr...