GRACE
Finimmo di suonare quella melodia per la terza volta, era la loro preferita. I nostri genitori ci guardarono orgogliosamente dal fondo della stanza, con un sorriso sul volto. Entrambi applaudirono quando io posai il violino all'interno della custodia ed Alan allontanò le sue piccole dita affusolate dai tasti del pianoforte. Mio fratello ed io ci guardammo contenti per poi raggiungere i nostri genitori per abbracciarli.
«Siete stati bravissimi.» ci disse nostra madre «Ora andate a dormire: è molto tardi e domani avete scuola.» ci baciò entrambi sulla fronte, poi ci accompagnò nella stanza che Alan ed io dividevamo. Sfiorai con le dita l'abito lungo di seta che indossava quella sera. Era bellissima.
«Mamma, non sono stanco.» esclamò Alan quando fu costretto a mettersi sotto le coperte. Sentendo i suoi capricci, nostro padre ci raggiunse e si sedette sul mio letto, poi ci guardò entrambi «Se non vi addormentate immediatamente, domani non andiamo a prendere il gelato.» e fu allora che sia Alan che io chiudemmo gli occhi. Amavamo il gelato.
Mamma e papà parlarono sottovoce con la nostra babysitter, nel frattempo io sgattaiolai fuori dal mio letto e mi avvicinai in punta di piedi a quello di Alan. Lo scossi leggermente.
Lui si voltò a guardarmi «Che c'è?» mi chiese tutto scocciato. Io gli indicai le ombre minacciose che si proiettavano sul muro davanti a me «Ho paura... posso stare qui con te?» ed a quel punto lui non seppe cosa rispondermi se non «Salta su.»
Ci addormentammo in un batter d'occhio e fu subito mattina. Quando aprii gli occhi mi sentii più carica che mai e cominciai ad urlare per svegliare anche mio fratello «È mattina, Alan! Svegliati, presto!» ma lui non si decise ad ascoltarmi e si voltò dall'altra parte. Allora scesi dal letto e corsi in camera dei miei genitori, accesi la luce e cominciai a gridare nuovamente «Mamma, papà, è mattina!» ma loro non c'erano. Pensai subito che fossero già scesi a preparare la colazione, ma in casa regnava il silenzio. Tornai da Alan un po' perplessa, lui ancora non si era deciso ad alzarsi «Alan, mamma e papà non ci sono.» e non appena dissi così, lui si drizzò sul letto e mi concesse la sua piena attenzione «Forse sono giù a preparare la colazione.» negai subito. Scendemmo insieme le scale, mano nella mano come facevamo sempre, la cucina ed il salotto erano deserti.
«Alan, ho paura.» gli dissi, sentendo già gli occhi colmi di lacrime. Dalla finestra del soggiorno filtravano delle luci provenienti dal nostro giardino. Esse si alternavano da rosse a blu. Mio fratello cerò di rassicurarmi stringendomi ancora più forte la mano «Non ti preoccupare, magari ci vogliono fare una sorpresa.»
Proprio in quell'istante, la porta d'ingresso si aprì e comparve una donna che riconobbi essere mia zia.
«Zia Kath?» chiesi stupita. Lei abbassò lo sguardo su di noi, i suoi occhi erano rossi e gonfi. Non capivo perché lei fosse a casa nostra a quell'ora del mattino.
«Oh, piccoli miei.» mormorò con un tono stanco e disperato. Alan ed io non capimmo per quale motivo fosse in quello stato, ma l'abbracciammo e lasciammo che lei continuasse a piangere.
«Che succede, zia Kath?» chiese mio fratello.
Lei non ci rispose subito, continuava a borbottare frasi senza senso e cose del tipo "mi dispiace", ma né io né mio fratello riuscivamo a comprendere. Ci guardammo più e più volte, con uno sguardo preoccupato.
«Dov'è la mamma?» chiese Alan, ma ancora una volta, nostra zia non ci rispose.
Entrò un uomo in divisa, aveva dei fogli in mano. Nessuno ci disse che cosa stesse succedendo, rimanemmo fermi lì cercando di carpire qualche informazione. Nostra zia piangeva mentre discuteva insieme a quell'uomo, capii solo alcune parole ma ancora non avevo la più pallida idea del loro significato.
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La mia vita è un cliché
RomanceC'è una cosa che Grace Dekker odia tanto quanto gli spoiler di un finale di stagione: i cliché, peccato che la sua intera esistenza lo sembri. I suoi genitori persero la vita in un brutale incidente d'auto e fu la zia ad occuparsi di lei e di suo fr...