Angeli nel Fango

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«Nonno, ma la prima volta che l'hai vista, indossava questo meraviglioso abito? Allora, veramente era una principessa!» la bambina domandò, seppur non avesse tirato fuori la testa dal baule. L'aveva trovato in soffitta, impolverato e con i cardini arrugginiti, ed era corsa a chiamare il nonno; aveva, poi, trascinato l'anziano uomo su per la rampa di scale e gli aveva mostrato la sua scoperta, fiera dell'impresa. Probabilmente, il fratello stava ancora tentando di scovare qualcosa in cantina, ma il tesoro l'aveva rinvenuto lei e aveva vinto. Sorrideva e gongolava, e non notò il guizzo di commozione baluginato negli occhi del nonno. «Sono sicura che sia il tesoro di un re!» aveva esclamato, saltellando sulle assi di legno che ricoprivano il pavimento.

«No, è il tesoro di una principessa...» l'uomo tossì e strinse con vigore il suo bastone da passeggio, «era il baule di tua nonna, la mia Rachele.» rispose con voce mesta. L'uomo aveva intravisto la vecchia sedia a dondolo appartenuta alla moglie e si era trascinato fino a raggiungerla per, poi, sedersi cautamente. «Puoi aprirlo se vuoi, non è chiuso a chiave. Mi piace venir spesso qui e tuffarmi nei suoi ricordi. Voglio fartela conoscere, così potrai comprendere quanto fosse straordinaria.»

La bambina aveva annuito, gaia, e si era avvicinata al baule, stando attenta alla polvere poiché non voleva macchiare l'abito lilla che indossava. L'aveva aperto, forzando le braccia esili e aveva immerso la testa al suo interno, rimanendo folgorata dalla bellezza del vestito che vi aveva trovato. Era completamente bianco e di pizzo, lunghissimo e ancora splendente, e un luccicante velo era steso al suo fianco. «Che cosa state facendo lì?» un bambino, identico alla piccola esploratrice, fece capolino dalla porta. «Hai trovato il tesoro del re?»

«No, questo è il forziere della principessa.» Marta rispose e, dopo, portò le pupille vispe sul viso dell'uomo. «Nonno, ma la prima volta che l'hai vista, indossava questo meraviglioso abito?»

«No, quando ho conosciuto la mia amata Rachele, lei era sporca di fango.» l'uomo reclinò il capo sul poggiatesta della sedia a dondolo e si lasciò cullare da essa e dai ricordi.

«Sporca di fango?» Marta e Tommaso strabuzzarono gli occhi; il bambino sedette a terra, accanto al nonno, mentre la sorella tornò a guardare all'interno del baule. Una fotografia, priva di colori e ingrigita dal tempo, attirò la sua attenzione. «Ma era davvero sporca di fango!» Marta esclamò e passò l'istantanea al fratello.

«Perché la fotografia è così scura?» Tommaso chiese, stranito.

«Sessant'anni fa, le fotografie non erano a colori, ma in bianco e nero.» Un uomo e una donna varcarono la soglia della soffitta, tenendosi per mano. L'uomo aveva risposto alla domanda del figlio, benché non avesse mai smesso di incastrare le iridi azzurre in quelle dell'anziano padre, così simili alle proprie. «Papà, racconta a Marta e Tommaso come vi siete conosciuti tu e la mamma e spiega loro perché era sporca di fango.»

L'anziano, e stanco, uomo annuì. «La mia Rachele era bellissima quel giorno, nonostante i suoi vestiti fossero lerci e strappati. Era sporca di fango perché lei...» inspirò sommessamente e asciugò una lacrima che aveva solcato la guancia, «era un angelo!»

«Un angelo sporco di fango?» Tommaso si stranì mentre la sorella strattonava il suo braccio per farlo tacere, affinché il nonno continuasse a raccontare.

«Avevo fame, avevo sete, la paura si annidava sottopelle e il freddo trapassava le ossa. La stanchezza si era avvinghiata ai miei occhi, avevo trascorso l'intera giornata a trascinarmi in ogni antro della città, senza sapere dove andare o chi provare a cercare. Non ero riuscito a trovare nessun parente o amico, sembravano fossero svaniti nelle acque melmose. I miei genitori erano partiti la sera precedente, nonostante le mie numerose proteste. Pioveva ininterrottamente da giorni e non volevo che si mettessero in viaggio, ma loro dovevano raggiungere Genova, laddove mia nonna materna stava per morire.» l'uomo riprese fiato e sospirò. «Mi sembra di sentire ancora le parole di mio padre: "Sono nato agli albori della Grande Guerra e ho combattuto la Seconda, cosa vuoi che sia per me un po' di pioggia."» strinse le labbra. «Un po' di pioggia... Solo dopo seppi che i ponti venivano giù dopo il loro passaggio, si erano salvati per un soffio, mentre io mi ero svegliato nel cuore della notte con un metro d'acqua dentro casa e non ricordo neppure come sia riuscito a uscir di lì.»

«Ma cosa era successo?» Marta domandò con le pupille velate dalla commozione. Tommaso tirò su con il naso e la madre andò a sedere accanto a lui, lo strinse a sé e gli baciò la fronte.

«La bestia impazzì, fu un attimo di follia; era arrabbiata, stizzita, con gli uomini, la sua gente, e con la terra e mostrò, fiera, la sua potenza.» l'anziano guardò il soffitto e gli sembrò di rivedere la furia avanzare prepotente.

«Che cosa significa?» Tommaso balbettò.

«L'Arno, il nostro adorato fiume, straripò e ruppe gli argini, invadendo la città. Era la notte del quattro novembre del 1966 e la mia Firenze perse figli e magnificenza, seppelliti sotto una coltre di mortificante melma. Perdemmo tutto, l'alluvione portò via ogni nostro avere e ci lasciò solo la rassegnazione. Poi, avvenne il miracolo.»

«Quale miracolo? Arrivò nonna Rachele, l'angelo che fece sparire il fango?» Marta scattò, si era curvata nelle spalle mentre il nonno raccontava, ma un guizzo di speranza infiammò il suo cuore.

Il nonno sorrise, nonostante rimembrasse gli amici e i parenti persi. Quella notte, l'Arno spazzò via uomini, animali e cose, ma mostrò quanto poteva essere potente la solidarietà. «Sì, arrivò lei e arrivarono anche tutti gli altri angeli per far sparire il fango e riportare luce in una città che era sempre stata illuminata. Giunsero da ogni città d'Italia e, pure, dalle altre nazioni. Dovete sapere che la mia Firenze è sempre stata una città meravigliosa, ricca di storia e di cultura. I nostri musei e le nostre Chiese erano ammirati in tutto il mondo e, quando le prime immagini della devastazione apparirono in televisione, uomini e donne, adulti e giovani, partirono da ogni paese per strappare dalla rovina tutte le opere d'arte, i quadri, le statue e i libri che sono, ancora oggi, patrimonio dell'umanità grazie a quegli angeli.»

I bambini erano rapiti dal racconto, così come i loro genitori, benché l'avessero già udito infinite volte.

«Nonna Rachele era una studentessa dell'accademia delle Belle Arti di Napoli e, in seguito, mi raccontò di essere inorridita dinnanzi alle immagini del telegiornale. Non ci aveva pensato su, aveva preso la sua auto, l'aveva caricata con beni di prima necessità, pane sfornato nel panificio di famiglia e tutto quanto riuscì a procurare da amici e parenti, e partì subito, senza conoscere bene neppure la strada da percorrere. E come lei, tantissimi altri.» un colpo di tosse incrinò la voce dell'uomo.

«Papà, vuoi andare a riposare?» avanzò, il figlio, ma lui innalzò la mano e lo zittì. Voleva continuare a narrare, desiderava che la storia arrivasse alle orecchie dei nipoti e anche dei loro compagni di scuola, affinché nessuno dimenticasse mai.

«La vidi in una Chiesa, stavo cercando ristoro in un luogo riparato ed entrai laddove si erano sposati i miei genitori. La nonna aveva un badile tra le mani, la schiena curvata per la stanchezza e la determinazione negli occhi. Mi ero accasciato su un banco e Rachele accorse per sostenermi, anche se pesavo più di lei. Mi fece sedere, mi diede acqua e cibo e, poi, mi confortò.» le palpebre dell'uomo calavano lentamente e lui battagliò contro lo sfinimento, così come gli aveva insegnato l'adorata moglie. «Mi disse: "Posso capire il tuo dolore, ma non puoi permettergli di asservirti alla rassegnazione. Questa è la tua città! È stata ferita e umiliata, e tu, che sei uno dei suoi figli, hai il dovere di rimboccarti le maniche per riportarla allo splendore." Mi tese la mano ed io intrecciai le falangi alle sue, smanioso di asciugare le lacrime di Firenze che stava piangendo i suoi morti. Da allora, non lasciai più la mia Rachele.» Il dondolio della sedia avvolse l'uomo nel torpore. «Possiamo continuare un altro giorno? Sono molto stanco...» le palpebre si abbassarono e il respiro divenne leggero.

«Mamma, mi serve uno straccio per pulire il baule di nonna Rachele.» Marta sussurrò, sperando di non disturbare il sonno del nonno.

«Tesoro, ti sporcherai il vestito nuovo!» la madre la ammonì.

«Mamma, non m'interessa essere una principessa perfetta, voglio essere l'angelo della polvere.» la bambina innalzò il mento, soddisfatta di sé. «La storia non ti ha insegnato nulla? Dove ci sono amore e solidarietà, è possibile veder fiorire la bellezza anche dal fango. Sarò bellissima, anche se sporca, perché avrò aiutato nonno a non impolverarsi quando vuole vedere i ricordi della nonna.»

Il nonno sorrideva, seppur fosse avviluppato al mondo dei sogni; un angelo, con la giacca a vento e gli stivali da pioggia, si era sdraiato accanto a lui e stringeva il suo corpo, sussurrando: "Nulla di quello che accade agli uomini deve risultarci estraneo."(*)

Fine



(*)Papa Giovanni XXIII.

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