Verso l'inferno tra ebbrezza e manipolazione del corpo

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Passò il quarto anno di superiori, in cui mi imposi di fare pace con la mia mente e avere un attimo di resa: sospendere i pensieri e le mie contraddizioni, fare le cose senza riflettere troppo. Fu il periodo più lungo nel quale non scrissi assolutamente nulla nel mio diario personale. Tutto sommato devo dire che non fu un anno poi così male, ma a posteriori posso sicuramente affermare che fu "la quiete prima della tempesta". Cercai di alternare momenti in cui contenermi con l'alcool, ad altri in cui inevitabilmente perdevo il controllo, ma la differenza rispetto a prima è che non mi facevo più domande, e, se me le facevo, non mi impegnavo a fondo nel cercare una risposta.

Tutto si concretizzò quando mi accorsi di aver preso del peso in quella dannata estate, in cui non solo andai a Madrid, ma anche a San Francisco, e non facendomi nessun tipo di accortezza, mangiai forse male e tanto, fregandomene perché tanto per me il cibo era solo un qualcosa che occupava le ore del pranzo e della cena, niente di più. Ma quel peso mi stava stretto, non avevo nemmeno la forza di pesarmi, così passai l'inverno con la convinzione che, si, tanto per l'estate mi sarei rimessa in forma.

La bestia ancora taceva.

Dopo Pasqua però cominciai a darle carta libera e sguinzagliarla piano piano. Il mio unico pensiero fu: "bene Arianna. Non riesci ad emergere per quella che sei? Non riesci a migliorare il tuo carattere INEVITABILMENTE SBAGLIATO? Allora puntiamo su altro, su qualcos'altro di più FACILE da maneggiare, qualcosa su cui puoi avere il controllo e migliorare."

Cosa poteva mai essere quel "qualcosa"?

Il mio corpo, ovviamente. La mia immagine, che altro non era se non il mio biglietto da visita per chi poteva avere a che fare con me. Se potevo perdere peso, se potevo dimagrire, potevo essere finalmente notata. All'inizio la mia ambizione non era nemmeno diventare più magra delle mie amiche: semplicemente mi bastava che perdessi quel peso accumulato dalle vacanze. Ma così facendo, la bestia dentro di me cominciò ad approfittarsene di questa piccola libertà, e cominciò a tirare, tirare, tanto che andai oltre e persi il controllo. Assurdo, perché all'inizio mi ero completamente messa di totale dedizione a questo "compito": la mia parte ambiziosa e perfezionista non poteva tollerare un altro fallimento, non più, non ora, non adesso. Se non ci fossi riuscita mi sarei ammazzata probabilmente, perché davvero non trovavo più motivo ancora per esistere, se non quello di dimagrire e apparire più bella e più desiderabile.

Cominciai così il mio cammino verso l'inferno, completamente inconsapevole di cosa mi avrebbe riservato il futuro. Il mio solo e unico motivo di soddisfazione era vedere i chili scendere con una mia dieta fai-da-te che avevo scritto in modo puntiglioso e precisato all'interno di una cartella excell. L'ossessione però ancora non era evidente, dormiva nei meandri della mia coscienza: pensavo bastasse mangiare solo frutta a cena e fare sport ogni giorno. Ciò mi bastava per rimanere a posto con la coscienza. Mi pesavo ogni settimana e ogni settimana rimanevo sorpresa nel vedere quel numero calare. Le persone cominciavano a farmi i complimenti e io finalmente mi sentivo importante. In questo modo però l'Arianna animalesca ed istintiva era ancora più repressa dall'eccessivo rigore, dall'estrema razionalità con cui affrontavo tutta quella situazione, e proprio non riusciva a contenersi in tutto quell'ammasso di regole. Così, nei weekend, ripresi di nuovo a bere in maniera smodata perché "tanto è solo una volta a settimana" e quindi era uno sgarro che potevo permettermi con la dieta che stavo intraprendendo.

I miei genitori erano preoccupati nel vedere che continuavo a mangiare poco, ma io NON VOLEVO ASCOLTARLI. Arrivata quasi alla soglia dell'estate del 2012 persi 4 chili e, per forza di cose, vedendo i risultati, ero convinta di essere sulla strada giusta. Fui mandata però quasi a forza da una dietologa che mi analizzò la massa corporea e mi diete un piano alimentare bilanciato secondo la mia costituzione, per farmi perdere peso in maniera lenta e graduale, cercando di bilanciare quell'eccesso di massa grassa che ancora leggermente avevo. Ma io non ne volevo sapere: la velocità era la mia parola d'ordine. Non volevo risultati lenti ma IMMEDIATI, anche perché l'estate era vicina e non avrei sopportato UN ULTERIORE FALLIMENTO. Ero decisa in maniera imperterrita verso la mia distruzione. Non calcolai minimamente quel piano alimentare e continuai a fare di testa mia. Passai una settimana al mare comunque abbastanza spensierata senza troppi pensieri ossessivi, mi sentivo in pace con me stessa se andavo avanti, di giornata in giornata, mangiando insalatissime riomare, con un pensiero quasi positivo sul peso che poi avrei ottenuto una volta tornata a casa. Ma dopo un'altra settimana con i miei amici in montagna, il classico campo estivo, in cui a mensa non potevo tollerare che ogni giorno dovessi mangiare primo, secondo contorno sia a pranzo che a cena, con dolci a colazione e a merenda, facendomi così corrodere dal sacrificio nel vedere invece tutte le mie amiche mangiare senza problemi (prime tra tutte proprio Linda).. cedetti ed ebbi la mia prima vera crisi. Me la ricordo come se fosse ieri. Tornata finalmente a casa, dopo una bella doccia rinfrescante, mi guardai allo specchio e notai una pancia enorme (in realtà era solo gonfia) e scoppiai a piangere e ad urlare. Così, siccome ancora non ero contenta, decisi di continuare imperterrita il mio piano. Nel frattempo, l'altra parte di me che fuoriusciva solo con sostanze superalcoliche, perse il controllo quando arrivò il 9 agosto 2012. Ebbi la malsana idea di andare a ballare a Riccione, di nascosto ai miei genitori. Avevo un bisogno IMMANE di staccare la spina da tutto lo stress che mi ero creata e quindi, una cosa così in grande come quella che stavo per fare, mi sarebbe servita da antidoto per resistere ancora verso la discesa del mio peso. Tutto avveniva semplicemente in nottata: prendere il treno con una mia amica (pazza anche lei come me) verso l'ora di cena, arrivare in stazione di notte, passare qualche ora tra i bar ad imbottirmi di shots, prendere la prima navetta verso qualche famoso locale (Cocoricò, Baia Imperiale, Peterpan) e sballarmi per tutta la serata fino a mattina, senza avere nemmeno la certezza di tornare il giorno dopo.

Ma il giorno dopo tornavo eccome, sfattissima, quasi non mi riconoscevo davanti allo specchio, con un sorriso beffardo che esprimeva tutta la mia insoddisfazione, tutta la mia vendetta nei confronti di questa Arianna sempre così perfettina e cosi rompicoglioni. Mi ero davvero stufata di tutta quella doppia faccia, di quella mia parte così incredibilmente metodica e razionale, e già lì godevo a farmi del male da sola, a sfracassarmi il fegato fino allo sfinimento, a mandare a puttane i miei neuroni che non mi facevano ricordare neanche metà della serata passata, ad avere il vomito e la nausea per due giorni di fila per smaltire la sbornia enorme che ormai riuscivo ad avere solamente con non meno di 12 shottini in un'ora e mezzo.

Venne il momento in cui i miei genitori mi scoprirono, ma anche li non fui nemmeno così tanto pentita, scrissi una lettera strappalacrime di scuse, ma sempre con quel sorriso beffardo che mi rendeva tutto sommato fiera della mia auto distruzione. Difatti continuai a fare ancora altre nottate simili.
Ho rischiato lo stupro: ancora adesso le mie mani tremano mentre lo racconto, perché non c'è cosa più brutta di aver sfiorato la tragedia ma non ricordarne nemmeno i contorni, di modo che l'unica cosa che ti rimane è solo un senso di vuoto e di angoscia. Quella mattina sul treno verso il ritorno mi accorsi di essere senza mutande e con il reggiseno scomposto (quello me lo fece notare la mia amica dal momento che io non ci avevo nemmeno badato). Sapevo di essere entrata in un hotel nella stanza di uno sconosciuto, ma non avevo e non ho la minima idea di cosa fosse successo là dentro, ricordo solo che avevo il cellulare spento (forse era stato lui a spegnermelo?) e che ero scappata via mettendomi il cambio delle scarpe in ascensore. Dalle ricostruzioni che ho riprodotto nei giorni seguenti penso di essere stata lì dentro una decina di minuti, fortunatamente, non di più.

Cominciai allora a darmi un minimo di regolata, perché capivo che un ritmo del genere non era più sostenibile, e anche le mie amiche cominciavano a farmelo presente. Era difficile però, perché quell'Arianna così scoordinata, sbadata, ingenua e non-pensante era davvero diventata una parte di me CONSISTENTE, e finii per affezionarmici, di modo che mi fu sempre più difficile cercare di non cedere alla voglia di abbuffarmi di alcool, di nuovo riutilizzato come antidoto per cercare di respirare in tutti quegli schemi che dovevo rispettare per sentirmi finalmente bene con me stessa e con la mia immagine.

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