Tutta colpa di quel bacio alcolico

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La soluzione la trovai in una sera, una delle prime notti che passavo in discoteca, proprio a metà del mio percorso liceale (circa la terza superiore), quando bevvi qualche bicchiere in più del dovuto e finii per andare lingua contro lingua con un perfetto sconosciuto.

Eccolo, il mio primo bacio.

Ecco tutti i miei castelli rotti in frantumi. Ma dov'era quel principe azzurro che tanto aspettavo? Forse non esisteva. Mi ero ridotta a baciare il primo sotto mano pur di non sentire la pesante angoscia che mi opprimeva e che mi ripeteva che ero diversa, che ero indietro, che ero sbagliata. Presi questo fatto come un enorme fallimento. Arianna, la brava ragazza che andava sempre a messa, che ambiva ad un primo bacio spettacolare degno di fuochi d'artificio come quelli che vedeva nei cartoni animati (vivevo a pane e Piccoli Problemi di Cuore), si era lasciata andare ad un istinto animalesco che nemmeno sapeva esistesse dentro di lei, e ha rovinato tutto. Cercai allora un escamotage per non sentirmi troppo "fallita", e creai una scusa ad hoc per salvarmi la pelle dal mio stesso orgoglio: avevo bisogno di allenarmi. Ma si! Cosa vuoi che sia, è solo un bacio! Alla fine per incontrare il "vero amore" devo esser pronta no? Quindi via libera ad incontri casuali, pieni di ebbrezza e vuoti di contenuto, via libera ad attimi fuggenti, a lingue scottanti, ad alcool strabordante. Avevo trovato un nuovo amico questa volta. Lasciato da parte il mio diario personale, mi concentrai solo ed esclusivamente sull'alcool.

Quel liquido che poteva prendere mille colori riusciva a cambiarmi, FINALMENTE. Finalmente potevo esternare quella parte di me che l'Arianna remissiva, l'Arianna ombra, quella soffocata dalla sua migliore amica, non riusciva ad essere. Finalmente, con l'alcool, non mi sentivo più così tanto diversa. Anche io ora potevo vantarmi davanti a tutte di aver avuto a che fare con qualche ragazzo (poco importava se non ricordavo il nome né la faccia), finalmente potevo sentirmi uguale alle mie amiche. Cominciai a prenderci la mano, e i weekend di sbronze diventarono sempre più ravvicinati, tanto che ormai non riuscivo più a farne a meno. Non c'era una serata in discoteca in cui non mi ubriacassi, più lo facevo più la soglia si alzava: da un gin lemon passai a 2, 3, 4, passai persino a prendere le bottiglie di alcool prima di entrare, assieme alle mie amiche, in modo tale che la sbronza potesse avvenire addirittura prima di entrare nel locale: così ero CERTA che la serata sarebbe andata al top, sicura che sarei andata nelle mani di qualche ragazzo sporco che voleva solo aumentare il numero delle sue pretendenti. Ma non me ne fregava nulla a chi potevo andare in braccio: l'importante era sballarsi, cancellare quell'Arianna sobria fallita e far emergere quella che tenevo per tutta la settimana soppressa nel mio subconscio. La cosa mi sfuggì di mano, perché mi ritrovai, ad un certo punto, completamente spaccata a metà. Altra crisi. Ero divisa in due: l'Arianna remissiva con le amiche, brava a scuola, educata con i genitori, credente in Chiesa; e l'Arianna istintiva, animalesca, in preda solo a perdere il controllo. Mi allontanai dalla religione e continuai a fare di testa mia, alleggerendo in questo modo il senso di pregiudizio che provavo nei miei confronti (o meglio, che l'Arianna remissiva mi rinfacciava ogni domenica mattina, cercando di smaltire la sbornia).

Il confine tra abitudine e dipendenza ormai era labile. Mi stavo rendendo assuefatta all'effetto inibitorio che l'alcool mi regalava ogni fine settimana. Ormai non lo usavo più per rendermi diversa, ma semplicemente per cercare di annebbiare la mente e i pensieri, appunto, per NON PENSARE PIU', per annullarmi. Erano troppo pesanti i rimproveri che facevo a me stessa ogni volta, e l'unico modo per farli scomparire, per far evaporare i sensi di colpa anche e soprattutto nei confronti dei miei genitori (con i quali avevo una doppia faccia, cosa che prima di allora mai avevo fatto, dal momento che con i miei ho sempre avuto un rapporto bellissimo e viscerale che si basava sulla fiducia e sulla condivisione delle mie esperienze) era prendere la mia testa e ficcarla dentro la sabbia, una sabbia superalcolica, appunto.

Le delusioni in amore erano sempre più continue, paradossalmente (si, perché pensavo che l'alcool fosse la soluzione). Ancora non ero riuscita nemmeno ad uscire con un ragazzo, e l'unica cosa in cui ero brava era farmene uno a caso nei sabato sera, mentre per il resto, l'unico bacio che riuscii a dare da sobria, il primo in assoluto, lo diedi ad un ragazzo che davvero mi piaceva tantissimo, una di quelle cotte estive che si sarebbero dovute esaurire al termine della settimana di vacanza al mare. Un bacio così sentito penso di non averlo più dato in vita mia. Mi ricordo ancora il cuore che batteva all'impazzata, perché FINALMENTE un ragazzo che mi piaceva mi contraccambiava, finalmente non mi sentivo poi così sbagliata.

Che illusa che ero.

Il giorno dopo venni a sapere che in quella stessa sera, lui si era scopata un'altra.

Ed ecco di nuovo quel senso di inferiorità, di schifezza nei miei confronti, del fatto che, ancora una volta, non ero abbastanza, non ero all'altezza, non ero giusta.

Già per me un bacio sobrio e sentito era un vero traguardo, figuriamoci il sesso. Neanche lontanamente pensabile. E le mie amiche, in quel periodo, già erano entrate a conoscenza di quel mondo a me oscuro, temuto e ambito allo stesso tempo. Ancora una volta mi sentivo indietro. Tutte, una dopo l'altra, annunciavano il fatidico evento, e io fui, in tutti quegli anni di superiori, l'unica ad ascoltare senza parlare, senza partecipare. Non potevo dire nulla, condividere nulla, perché loro l'avevano fatto e io no. Perché io ero diversa, perché io ero sbagliata.

Quella stessa estate andai a Madrid, alla GMG con la mia parrocchia. Paradossale, giusto, forse anche incoerente da parte mia, che non me ne fregava nulla di vedere il Papa o di condividere un'esperienza spirituale e religiosa, ma accettai per mettermi alla prova, per fare questa esperienza e chissà, magari cambiare. C'era anche la mia cara Linda. Tanto cara che in quelle settimane finii per odiarla, perché come al solito in quelle settimane altro non aveva fatto se non che ignorarmi, mettendosi al centro dell'attenzione. Tutti i ragazzi la ammiravano, tutti si rivolgevano a lei (e non a me), i complimenti andavano solo a lei, che riusciva a sfoderare le sue gambe ancheggiando alla perfezione, giusto per farsi notare ancora di più dai ragazzi (sebbene avesse già un fidanzato all'epoca). Di lei mi ricordo questo, in quel periodo. E mi ricordo di me che, nonostante le bellissime esperienze vissute, passai quei giorni con un sottofondo di rancore e di invidia nei suoi confronti.

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