Niagara Falls 12 Parte

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Al ritorno, andando verso Detroit, alcuni di loro sonnecchiavano buttati sui sedili della macchina, cercando di smaltire la stanchezza accumulata.

«È stata una giornata indimenticabile!» esclamò Amber, piena di gioia! «Sapete, io da bambina non ci sono quasi mai andata al luna park o in gita da qualche parte.»

Brenda accennò a un sorriso, ripensando alle poche volte in cui era stata in un parco divertimenti. Da piccola le giornate iniziavano presto all’alba. Poi seguiva la scuola, lo studio e infine in casa ad aiutare la madre nelle faccende domestiche. Doveva preparare la cena, lavare i piatti, badare ai tre fratelli più piccoli, aspettando che il padre rientrasse mentre la madre serviva ai tavoli in un fast food poco distante. Solo il cielo notturno era la ricompensa e la consolazione per il duro tribolare della giornata.

«Che ne dite di chiamare il pupazzo Niagara?» propose Kiki dall’ultimo sedile del van, interrompendo i suoi pensieri.

«No, che schifo!» si intromise Aberdeen.

«Neanche a me piace» disse Amber che stesa sul sedile si godeva la vista fuori.

«Bah, potremmo fare di meglio. Potremmo chiamarlo Andromeda, come la galassia?» suggerì l’intellettuale del gruppo, che per la stanchezza aveva riposto le sue guide nello zaino.

Chi non interveniva nella conversazione era Jacob, che sentiva i loro commenti, la loro ilarità e la distanza che li separava, come ore prima nella barca: mente i suoi compagni erano stretti tra loro cercando di non bagnarsi, di mettersi al riparo dalla natura, lui non aveva opposto resistenza lasciandosi trasportare ovunque la corrente avesse condotto la barca, come un destino a cui non prestare più attenzione.

Come lui Emily, seduta accanto a Brenda, non proferiva parola, si limitava ad ascoltare come se a nessuno interessassero le sue opinioni, benché quel giorno anche lei fosse stata parte del gruppo, quando sulla barca Amber le aveva stretto la mano, oppure quando Kiki le aveva comprato una felpa che non voleva assolutamente provare e che ora aveva addosso.

A fare da apripista, in direzione della dimora per quella notte, c’era il pick-up guidato da Logan, che amava la solitudine e il silenzio che lo aiutavano a pensare, a cercare una soluzione a quelle domande a cui da molto tempo cercava di dare risposte e che almeno per qualche ora era riuscito ad azzerare, grazie alla piacevole giornata trascorsa.

Alla fine della corsa, le luci si spensero in un anonimo motel, lungo la via in direzione di Detroit. Chiudendo gli occhi per lasciare spazio ai sogni della notte, i pensieri volarono a rivivere i ricordi di un giorno che non avrebbero dimenticato, uno di quelli che avrebbero voluto non finisse mai o che ricominciasse l’indomani allo stesso modo, uno dei pochi che si sarebbero portati dentro come uno dei giorni più felici.

E lasciando le preoccupazioni e i dolori di ognuno ad altri giorni, si concessero per poche ore a Niagara il privilegio di immaginare che tutto fosse possibile, come il sogno di sorridere per sempre, impresso in un’istantanea scattata distrattamente dietro ad una cascata, un po’ come quei sogni celati in fondo all’anima che nessuno può comprendere o quelli vaganti al di là dell’immaginazione umana, che nessuno può raggiungere.

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