Da Qualche Parte Nel Mondo

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Da qualche parte nel mondo

C’era una volta, da qualche parte nel mondo, un posto magico dove le distese pianeggianti sembravano infinite e le steppe sconfinate, a perdersi nell’orizzonte lontano. Gli alberi erano perennemente ricoperti di foglie, i fiumi scorrevano limpidi a gettarsi nei laghi pieni di pesci, mentre i fiori regalavano le forme e i colori più belli durante tutto l’anno. Il cielo era sgombro da nuvole, i riflessi del sole offrivano a tutte le creature, che in quel pezzo di terra vivevano, il loro caldo tepore e l’aria era intrisa dei profumi intensi della natura. Immerso in tanta bellezza, ogni essere che posava piede in quel luogo non avrebbe potuto chiedere niente di più, tutti infatti sembravano sereni e in pace.

Tra questi c’era un elefante, uno come tanti, visibilmente sovrappeso, impacciato e decisamente ingombrante. Uno che, quando passava, faceva sentire in tutto e per tutto la sua presenza. Nonostante non fosse fisicamente adatto, aveva fin da piccolo un grande sogno: quello di volare.

Così, quando riusciva ad alzare la testa al cielo, i suoi occhi riflettevano un colore così vivido, fino a smarrirsi incantati, perché in fondo sapeva da sempre di amare il firmamento. Ma lui era un quadrupede qualunque, uno come tanti, uno di fronte al quale non ci si ferma con ammirazione.

Eppure, quando i suoi occhi si spalancavano verso il cielo azzurro, sentiva una voce dentro che gli parlava e nel silenzio gli chiedeva di essere ascoltata. Diventava insistente e non smetteva di ripetere che esistevano strade che lui non aveva mai percorso, che portavano a luoghi e a sensazioni che lui credeva non potessero appartenere a un semplice elefante. E questa voce andava e veniva, mentre lui con la forza della ragione cercava di zittirla, ben cosciente che la realtà fosse un’altra cosa, che gli elefanti non volano, lo sapevano tutti. Fin da piccolo gli era stato insegnato che i compiti e i doveri di un elefante erano altri: andare in cerca di cibo, procurarsi dell’acqua, allevare la prole, cercare un riparo per la notte. La follia di seguire il proprio cuore e dove lui voleva condurlo non doveva essere assecondata, non c’era spazio per altro. Le fantasie dovevano essere lasciate all’infanzia, al periodo in cui tutto è possibile.

I giorni passarono lenti, come granelli nella clessidra del tempo, più o meno tutti uguali, alcuni più difficili altri più piacevoli.  A ogni caduta di un chicco, qualcosa andava perduto e cementava la dura realtà fatta di ore vuote, di lacrime ingoiate, il tutto permeato dalla rassegnazione che la vita fosse ben diversa da quella che ci si attende.

Ormai vicino alla morte, trascinandosi a fatica tra la polvere della savana, udì delle risate di gioia provenire poco distante, in prossimità di una splendida cascata che conosceva piuttosto bene. Si avvicinò con passo lento e stanco, mosso da una curiosità inaspettata per un vecchio animale in attesa di morire.

D’improvviso dalla sommità vide emergere una palla grigia che puntava verso l’azzurro del cielo, che tanto amava, saltando giù, tra urla euforiche. Non lo riconobbe subito, ma dopo aver aguzzato la vista, ormai non più lucida, notò un piccolo elefantino sprizzante di gioia. Sbatteva più che poteva gli enormi orecchi per stare su, ma la mole del suo corpo lo trascinava giù verso la pozza di sotto, gridando con tutto il fiato che aveva «Io volo».  E continuava ad arrampicarsi per poi saltare giù per la cascata, con tutta l’allegria di quel banale gioco, senza pensare che lui non avrebbe potuto volare o chiedersi che cosa ne pensassero i suoi simili.

Ma per il vecchio elefante incredulo e sbigottito di sotto, il giovane volava.  Impietrito, fu risvegliato da una voce, che non sentiva più da molti anni oramai, che portò a galla emozioni sopite. Gli si spalancò uno squarcio nel cuore assistendo alla prova tangibile che il suo sogno poteva diventare vero e che non esistevano limiti nel mondo dell’immaginario.

Di fronte all’euforia travolgente del piccolo, gli occhi divennero lucidi di commozione. Iniziò a piangere per aver sprecato i suoi giorni, rinchiudendo tutte le opportunità di vivere ciò che da sempre gli aveva fatto battere il cuore. Se avesse creduto fino in fondo a quello che provava, sarebbe stato un elefante felice. E tra le lacrime e ricordi, rivide tutte le cascate a cui era passato davanti, tutte le volte in cui aveva abbassato lo sguardo al passaggio degli uccelli sopra di lui, tutti gli inganni che aveva permesso a se stesso giustificando la breve vita delle farfalle che potevano comunque volare.  E quel vecchio elefante aveva lasciato andare la sua gioia più grande, il sogno che fin da piccolo si portava dentro e che aveva sempre e da sempre rincorso con il cuore. E pianse tutte le lacrime trattenute, perché amava il cielo eppure lo temeva. Aveva cercato la libertà, vivendo rinchiuso in una prigione che qualcuno aveva costruito per lui, insegnandogli che quella era la vita.

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