PROLOGO

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*presente*


Non avevo mai sentito i polmoni bruciarmi così forte, ormai è diventato impossibile controllare il respiro e il cuore sembra che stia per esplodermi nel petto. Un piede davanti all'altro, corri, corri, corri. Per quanto cerchi di asciugarmi gli occhi le lacrime non smettono di scendere abbondanti e si mischiano alle gocce di sudore. Pensare che questa volta ci avevo creduto così tanto. Stupida ingenua. Non esiste il lieto fine, avrei dovuto capirlo fin dall'inizio. È tutto finito, anche quell'ultima speranza si è spenta e ora mi sento più sola che mai. Ripenso a Espaor, alla Casa delle api, a mamma e papà, a nonno Gil, ma più di tutti ripenso a Vies. Non sono riuscita a mantenere la nostra promessa e un senso di colpa enorme mi rinizia a pesare sullo stomaco, pensavo di essermene sbarazzata ormai e invece lo scopro essere ancora lì.

Il ruggito dei raukar mi riporta alla realtà e istintivamente mi volto indietro, non riesco a vedere nulla, sento solo il terreno tremare, scosso di quando in quando da un boato. Calien! Inchiodo quando vedo un fascio di luce rossa invadere il cielo, vorrei tornare indietro per riparare ad almeno uno dei miei errori, sto per fare dietro-front quando nella mia testa sento di nuovo le parole di Calien. No, non posso fermarmi, non posso tornare indietro. Riprendo a correre e sento quel peso sul cuore farsi sempre più pesante. La breve pausa non mi ha fatto riprendere fiato, sembra anzi aver peggiorato il mio stato fisico, mi sento sempre più stanca. Per quanto cerco di insistere e di spingermi avanti sento che le gambe iniziano a cedere, non riesco più a tirarmele dietro, portare un piede davanti all'altro diventa sempre più difficile, mi sento svenire.

Noto all'ultimo un'escrescenza del terreno, non riesco ad evitarla e cado rovinosamente a terra sollevando tanto pulviscolo da farmi tossire. Punto le mani sul suolo e solo in quel momento mi rendo davvero conto di quanto sangue sto perdendo: un'enorme macchia rossa bagna la roccia polverosa dove giacevo poco prima, capisco che devo trovare un nascondiglio per fermare l'emorragia e riprendere fiato o morirò dissanguata ancora prima che i raukar mi trovino. Con le mani ancora premute a terra mi accorgo infine che il terreno non trema più, lo scontro deve essere terminato. 

Trattengo il fiato durante quei pochi secondi di silenzio che sembrano durare un'eternità, quel piccolo barlume di speranza va in frantumi quando sento di nuovo lo stridere delle bestie assassine. Lo sconforto mi attanaglia, sento gli occhi bruciare ed è più forte di me, mi sfugge un singhiozzo. Non ce l'ha fatta. Una parte di me vorrebbe solo rimanere qui a terra, in questo momento la morte non mi sembra una prospettiva tanto terribile, ma non posso permettermelo, so di avere una missione da compiere anche se ormai la sua riuscita sembra pura utopia. Mi rialzo gemendo e sento una tremenda fitta di dolore al braccio. Dannazione! Cerco disperata intorno a me un nascondiglio ma tutto ciò che vedo è solo terra arida e la foresta di Muji poco distante. «Nessun sano di mente entra dentro Muji, a meno che non stia cercando morte certa» erano state le esatte parole di Calien, ma in questo momento so che non ho nulla da perdere. 

Con le ultime forze rimaste corro verso la fitta trama di alberi, mi fermo ai suoi margini titubante: buio e silenzio, nemmeno un po' di luce filtra attraverso le alte chiome degli alberi, ma nonostante i colori cupi e morti è evidente quanto la foresta sia in realtà viva. L'atmosfera è inquietante, mi ricorda le storie di paura che il vecchio Gil ci raccontava davanti al falò della festa del Sithàri: vedo le sagome di tronchi e rami contorti e non riesco a non immaginare le braccia scheletriche di mostri pronti ad afferrarmi. Non si percepisce nessun rumore, niente scricchiolii o canti di uccellini, non sento nemmeno il frinire delle cicale che era così comune nelle giornate d'estate ad Espaor, eppure so che dietro quelle fronde si cela qualcosa. È così assurdo: nonostante la terra intorno sia secca ed arida, nella foresta si percepisce una strana umidità, la vegetazione al suo interno cresce indisturbata e poi all'improvviso si ferma lasciando spazio alla vastità di questo suolo polveroso e crepato; una nebbiolina copre la parte più profonda di Muji celandola ad occhi indiscreti, sembra quasi che si muova, che cammini spostandosi tra gli alberi e i cespugli come se stesse seguendo, o forse nascondendo, qualcosa.

C'è un punto dove la nebbia si sta diradando, mi sembra di vedere qualcosa dentro quell'oscurità ma all'improvviso sento il ruggito delle bestie volanti che si fa sempre più vicino, senza esitare oltre raccolgo tutto il mio coraggio e metto un piede dentro la foresta, il silenzio è così pesante che il rumore del mio respiro e dei miei passi sembra assordante. Ormai sono totalmente avvolta dalla nebbia sempre più fitta e la cosa, se da una parte mi fa sentire a disagio, dall'altra, mi rassicura perché so che nemmeno la potente vista dei raukar potrà scrutarmi qui in mezzo. Noto un grosso tronco caduto a terra, mi sistemo contro di esso e, nonostante non mi senta ancora totalmente al sicuro, tiro un sospiro di sollievo, sento un brivido percorrermi la schiena quando avverto un battito d'ali sorvolare la foresta. Sono qui. Trattengo il fiato e spero che non riescano a fiutare il mio odore.

Passano alcuni minuti prima che attorno a me torni il silenzio più totale, è in quel momento che mi accorgo del dolore lancinante che viene dal braccio sanguinante, l'adrenalina deve averlo tenuto a bada fino ad ora, ma adesso che il senso di pericolo è venuto meno sento fitte tremende scuotermi da capo a piedi. Controllo la ferita, ho perso troppo sangue e il taglio è molto profondo, non sono in grado di farlo rimarginare e non posso solo fasciarlo, farebbe infezione e rischierei di morire. Devo trovare un modo per ricucire la ferita. Mentre penso ad una soluzione i miei occhi cadono istintivamente sul simbolo rosso che mi marchia l'avambraccio destro e proprio mentre studio quei disegni scarlatti mi viene un'idea. Sono estremamente debole e non so se riuscirò ad accumulare abbastanza energia per farcela, ma devo provarci o rischio di lasciarci la pelle.

Chiudo gli occhi e penso agli insegnamenti di Calien: inspiro profondamente e mentre espiro dal naso mi concentro sul mio battito cardiaco, sento il calore del mio corpo e tento di visualizzare il sangue scorrermi dal cuore fino alla punta delle dita, inizio a percepire quel familiare formicolio e cerco di non perdere la concentrazione, ma la stanchezza rende tutto più complicato del solito. Ci riprovo e inspiro di nuovo, mentre espiro rilascio l'energia che mi rimane concentrandola tutta sulle dita. Mi sento improvvisamente debole, ma vedo con soddisfazione scintille e poi fiamme sprigionarsi sul palmo della mano. Ogni volta la cosa mi fa un certo effetto, è una delle magie più complicate che Calien mi ha insegnato ed è quella che faccio più fatica a controllare. Devo muovermi rapidamente prima che la fiamma si estingua, non sarò in grado di generarne un'altra. Con la mano libera raccolgo un ramo abbastanza spesso che giace al mio fianco, lo stringo tra i denti, chiudo gli occhi e con uno scatto porto lamano infuocata al braccio ferito. Un bruciore lancinante seguito dal dolore più tremendo che abbia mai provato divampa dal braccio sinistro fino a raggiungere tutte le mie terminazioni nervose. Mi scendono lacrime dagli occhi, un urlo strozzato mi esce di gola e si spegne sui miei denti che stringono quel pezzo di legno come se volessero spezzarlo. Quando il fuoco si estingue penso che sto per perdere i sensi o, peggio ancora, per morire tanto il dolore è forte. Sento il corpo afflosciarsi su un fianco e il terreno umido mi accoglie. La vista è annebbiata ma non sono svenuta, stordita mi guardo il braccio e noto che la ferita è stata cauterizzata correttamente. Ce l'ho fatta, la carne viva, rossa, spicca nel buio della foresta ma non perdo più sangue. Mi rimetto lentamente a sedere, la testa mi gira vorticosamente ed ogni movimento mi provoca una fitta di dolore lancinante. Cercando di usare solo la bocca e il braccio sano, strappo un lembo di tessuto per fasciarmi la bruciatura. Nonostante la vista annebbiata riesco a notare dei fiorellini bianchi spuntare poco lontano dai miei piedi, li riconosco subito: sono gli stessi che mamma usava quando da piccola mi ferivo giocando, non me ne ricordo il nome, ma so che mi daranno un po' di sollievo dal dolore e terranno la ferita pulita. Ne raccolgo alcuni e li mastico fino ad ottenere una poltiglia umida. La appoggio delicatamente sulla carne bruciata, poi seguo fasciando come meglio posso il braccio. 

Appoggio la schiena al tronco spezzato e mentre mi riprendo dal male cerco di mettere a fuoco ciò che mi circonda pensando a cosa fare. È in quel momento che sento uno scricchiolio proprio dietro l'albero su cui sono addossata. Mi volto di scatto cercando un modo per sfuggire al pericolo imminente, sono allo stremo: mi sento muovere come a rallentatore, cerco di alzarmi e correre ma la testa mi gira e mi rendo conto che ormai è troppo tardi. Una grossa ombra incombe su di me. Non ho via di scampo, mi hanno trovata.

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