INTERMEZZO

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INTERVALLO (marcia moderato)

Credo che casa mia sia poco accogliente.

Con le sue asfissianti pareti che paiono stringersi fino a soffocarmi e il vecchio citofono sempre rotto.
Anche lui, ennesima conferma che da un posto così si può solo voler uscire e mai entrare.

Le passeggiate solitarie, compiute ad orari improbabili fra i vicoli del quartiere, si rivelano in questo senso una buona distrazione da quella trappola.

Mi lascio scivolare lungo le strade silenziose e osservo i palazzi che torreggiano dai marciapiedi.
Le loro porte in legno sono insecchite dalla calura estiva e tutte le automobili parcheggiate nei pressi trovano sollievo sotto il manto degli alberi.

Quasi tutte.

Davanti al mio sguardo intenerito infatti si scioglie il cofano di un'Alfetta incautamente lasciata a friggere al sole.
Una mano si tende per accarezzare la pece della carrozzeria bollente.

L'altra invece resta ancorata al sacchetto colmo di gelati all'amarena appena comprati.
Che poi a me l'amarena nemmeno piace.
Le ho sempre preferito il limone.

Ma la piccola scatola, bloccata nei bordi ghiacciati di un congelatore, quasi a rivendicare spazio senza però ingombrare, mi ha commosso fra le corsie del supermercato deserto.

Credo di avere una tendenza ad esasperare le tensioni che già esistono.
E non so se è una tendenza ragionata.

Nella mia testa, avvertire il calore della cappotte di una macchina o scrostare il fondo di un freezer, serve a dare concretezza a situazioni che altrimenti sembrano quasi non averne.

Così accade qualche isolato più in là quando un leggero soffio di musica si solleva da una finestra aperta a ghigliottina e mi rapisce completamente.

«...ma tutto quel che cerca e che vuole è solamente amore...»

Ed è proprio nitida davanti ai miei occhi la piccola radiolina che gracchia queste parole, mentre immagino qualcuno ballarle in cucine adibite a palcoscenico.

«...ed unità per noi, che meritiamo un'altra vita, violenta e tenera se vuo-»

Il vetro si chiude impietoso a tranciare il senso di ospitalità di cui mi ero beato per qualche secondo.
Peccato.

Con l'andatura di un personaggio secondario che ha esaurito le sue comparsate, mi allontano.
Nessun pubblico coinvolto ad accompagnare il momento, soltanto un gatto che schizza via da un cassonetto divelto in strada.

E' l'ultimo tratto di strada rimasto per raggiungere casa, ma nel percorrerlo una terribile e immotivata angoscia arriva ad investirmi.
Arranco affannato manco fossi immerso fino alle ginocchia nel cemento quando, di colpo, un'idea geniale mi viene in mente.

Cominciare a correre.

            **

Ma come mi è venuto in mente.

Come cazzo mi è venuto in mente, penso mentre mi accascio esausto alle pareri del condominio e dò sfogo a tutta l'aria raccolta in quella fuga disperata da non so nemmeno io cosa.

Le mani tremolanti si attaccano al muro dietro in una grottesca riproduzione di due ventose e la testa sale pesante a guardare il soffitto.

Inspira ed espira.
Adesso mi calmo.
Adesso-

"Me so proprio scucciate!"

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