L'enorme massa di roccia bianca si ergeva erma e slanciata stagliando il cielo uggioso. Tutt'intorno il silenzio regnava sul territorio collinare venato da enormi calanchi sabbiosi. «Benvenuti nel paese fantasma!» Mormorò mio padre in tono silenzioso allargando le braccia verso me e i miei fratelli.
«Nemmeno arrivati e vuoi già spaventarli» lo ammonì divertita mia madre.
«Dobbiamo andarci per forza?» Brontolai «non ci voglio andare...»
«Sei sempre il solito fifone» Sogghignarono i miei fratelli.
«Risalite in macchina ed entriamo all'interno del borgo.»
La macchina ripartì e vedevo quella vetta biancastra diventare sempre più grande e pesante, scorgevo le mura antiche che circondavano l'intero borgo e la torre che svettava alta. Quel luogo era colmo di un'aura sinistra che gravava sulle nostre teste. Avvicinandoci sentivo la nausea che mi stringeva lo stomaco in una morsa sempre più stretta, guardai le mie mani sudate e gridai ancora una volta: «Non voglio venirci! Andate voi, ma io voglio tornare indietro.» I miei fratelli cominciarono a pizzicarmi sulle cosce e cantavano in coro: «fifone! fifone!» Mia madre disse loro di smettere, sorrise e mi accarezzò il ginocchio. Ricordo che quel gesto riuscì a calmarmi un po' e per non risultare il solito fifone guastafeste chiusi la bocca e restai zitto. Raggiungemmo una piazzetta sulla parte alta del borgo e scendemmo dalla macchina. Mio padre con fare orgoglioso da cicerone indicava i vari edifici spiegandone le caratteristiche e noi, fingendo di comprendere, annuivamo e ci mostravamo interessati al Palazzo Grossi o alla chiesa madre del XIV secolo.
«Una volta marinammo la scuola» disse con fierezza mio padre «e su quegli scalini Andrea Gaglione cadde e si spaccò il mento, gli misero 3 punti. Lo portai in ospedale col Piaggio Ciao, si lamentò per tutto il tragitto.»
«Ma dove sono finiti tutti gli abitanti?»
«Ve l'ho già detto, questo è il paese fantasma! Non vi abita più nessuno da molti decenni. Nessuno di vivo almeno. Ci vivono solo streghe e fantasmi!»
Un brivido mi percorse rapido la colonna vertebrale e i miei occhi squadravano frenetici quelle case diroccate. La curiosità mi portò a chiedere:
«E perché non c'è più nessuno?»
Mio padre non aspettava altro per continuare con le sue storie del terrore e rispose prontamente:
«Dicono per colpa di una frana...»
«Cos'è una frana?»
«Sta' zitto e fagli finire il racconto!»
«Come dicevo,» riprese mio padre «la gente crede che sia stato per colpa di una frana, insomma parte del territorio ha ceduto, scendendo verso il basso.» Le sue mani disegnavano nell'aria un cumulo che andava giù, noi seguivamo con gli occhi e le bocche spalancate.
«Ma io credo si tratti di tutt'altra cosa!»
«Cosa papà?» Chiedemmo all'unisono.
Mio padre sospirò, ci guardò uno per volta lentamente, l'attesa ci corrodeva, ma finalmente si decise.
«Alcune voci dicono che quello fu un misterioso suicidio di massa...»
«Andiamocene via, non voglio restare più.» Questa confessione di mia madre ci scosse tutti.
«Ma siamo appena arrivati. Ora hai paura anche tu come ai ragazzi?» Rispose mio padre indicandoci.
Sentivo chiaramente l'agitazione nel tono di mia madre, quando disse, sommessa, per non farsi udire da noi:
«Ho un brutto presentimento, dopo ti spiego.»
«Che cos'è?» esclamò mio fratello, indicando con l'indice l'orizzonte.
A una cinquantina di metri di distanza, una massa informe camminava sulla stradina sterrata verso di noi. Di colpo l'aria si fece greve e opprimente, i corvi gracchiavano volando bassi nel cielo come avvoltoi in cerca di carcasse.
«Salite subito in macchina!» Persino sul volto di mio padre comparse l'ombra della paura, a quanto pare non era uno dei suoi scherzi.
Entrammo in macchina, mia madre alla guida premette l'acceleratore a tutto gas. Io e i miei fratelli ci voltammo e dal lunotto posteriore della macchina riuscimmo a scorgere bene quella sagoma compatta.
«Le streghe! Le streghe!» Le urla acute di mio fratello rimbombavano in tutta la vettura.
Ci allontanavamo sempre di più da quella massa uniforme che in realtà era formata da tre donne che camminavano sottobraccio. Le teste chiuse in veli neri come la pece, i corpi ricoperti da lunghi abiti scuri. Al centro spiccava una ragazza giovane e bellissima dalle labbra di un focoso rosso sanguigno. Ai due lati, zoppicando adagio, si sorreggevano due vetuste anziane aggrinzite come mele marce. Il solenne trio era sempre più lontano, fino a diventare un'unica massa indefinita.
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Absurdum Reali storie di un mondo fittizio
Paranormal~Absurdum è una raccolta di racconti indipendenti di vario genere. ~Cercherò di coinvolgervi e tenervi con il fiato sospeso, e quasi sempre lascerò a voi l'interpretazione dei finali. ~Personaggi diversi, situazioni anomale e intrecci folli. Numeros...