Appena giriamo l'angolo e ci inoltriamo nel labirinto di corridoi del centro medico, tiro istintivamente un sospiro di sollievo e rilasso i muscoli delle spalle.
Giro gli occhi verso Martina, a spiare una sua eventuale reazione. Per un istante ritrovo sul suo viso l'espressione benevola e professionale che ha mantenuto di fronte a Ludovica. Poi Martina si accorge del mio sguardo e mi sorride in modo apparentemente più sincero e personale. Le nostre mani si ritrovano e le mie dita si intrecciano naturalmente con le sue.
Arriviamo ad un ascensore dalle pareti di grigia lamiera: è enorme, più grande ancora di quelli dei supermercati. Martina striscia il proprio badge sull'apposito lettore posto sulla pulsantiera e poi preme il tasto corrispondente all'ultimo piano.
"Dovrei andare in bagno, con una certa urgenza..." Non riesco a stare ferma e non vedo l'ora che l'ascensore arrivi a destinazione.
"Lo so, massimo due minuti e potrai fare pipì. Poi, dopo il prelievo del sangue, che va fatto a digiuno, ci sarà una colazione grandiosa, ok?"
Mi sento paralizzare per la fifa (non amo gli aghi e la vista del sangue) e stringo istintivamente la mano di Martina. Un brivido freddo mi attraversa e avverto uno strano formicolio dentro i Drynites. Quando mi rendo conto di quello che sta succedendo, faccio appena tempo a portare la mano libera all'inguine ed a piegarmi leggermente in avanti, limitando a poche gocce quello che avrebbe potuto essere un'inondazione completa.
Martina evidentemente si accorge che c'è qualcosa che non va. "Va tutto bene?"
Arrossisco, imbarazzata. Appena sono certa di aver ripreso il controllo, smetto di premere con la mano sul Drynites già saturo della mia pipì notturna. "Ehm, sì. È che..." non riesco a trovare le parole.
Quando si rende conto della mia incapacità di esprimermi, Martina si abbassa alla mia altezza e mi abbraccia. "Tranquilla, so che per te è un esperienza nuova e che hai un po' paura degli esami di oggi, ma ti assicuro che non hai nulla da temere. Fidati di me, andrà tutto bene."
Martina profuma di buono e il calore del contatto fisico con lei mi fa stare immediatamente meglio.
Finalmente l'ascensore rallenta e raggiunge il piano. L'ascensore ha qualche problema: la corsa in verticale si arresta con un piccolo sobbalzo e le porte si aprono molto lentamente ed in modo esitante, un po' a scatti, solo qualche frazione di secondo dopo aver raggiunto la destinazione.
Già dal primo spiraglio, mi rendo conto che siamo in un altro mondo rispetto al resto dell'edificio. Non c'è più l'odore pungente e aggressivo del disinfettante, ma predomina una fragranza dolciastra e vagamente ambigua. Qui il pavimento è in gomma morbida e i colori delle superfici e degli arredi sono molto più vivaci. Prevalgono l'azzurro ed il verde, ma non manca nessuno dei colori primari e delle loro rispettive combinazioni dirette. Non ho tempo di guardare i dettagli, ma ho la sensazione di essere di colpo uscita dal centro medico e di ritrovarmi in un asilo per bambini molto piccoli. Poco più avanti, in fondo ad un breve corridoio, vedo una stanza con delle ceste di giochi ed una montagna di animali di pelouche. Sento diverse voci di altri giovani ospiti, ma dalla mia attuale posizione non riesco a vederli.
Proprio accanto alla porta, però, c'è una scarpiera, che già contiene molte paia di scarpe appartenenti a piedi più piccoli dei miei. Senza aspettare le istruzioni di Martina, mi sfilo le scarpe da ginnastica senza slacciare le stringhe.
Anche Martina si toglie gli zoccoli da infermiera. La seguo attraverso una porta laterale subito a destra, in quello che dall'arredamento sembra essere il classico studio di un pediatra. "Spogliati pure e poi siediti lì a fare pipì."
In un angolo, dietro un paravento, c'è un vasino di plastica extra large color fuxia. Rimango interdetta e guardo Martina con aria interrogativa.
"I raccoglitori speciali come quello sono più pratici, quando occorre prendere dei campioni di urina per le analisi."
"Ok..." commento, non del tutto convinta.
Abbasso prima i pantaloni del pigiama e poi i Drynites fradici. Mi accovaccio sul vasino, chiudo gli occhi, espiro e cerco di immaginare di essere altrove.
Il rumore del getto di pipì, prima contro la plastica e poi via via più gorgogliante man mano che il livello all'interno aumenta, è però impossibile da ignorare. Mi sento strana, dentro la mia testa turbinano sensazioni contrastanti: sollievo fisico, imbarazzo, ma pure una sorta di rilassatezza. Sento il desiderio di fidarmi in modo incondizionato, sospendendo ogni giudizio e lasciando che qualcuno si prenda cura di me.
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Un fine settimana al centro diagnostico
Short StoryChiara deve affrontare una serie di controlli medici per capire perchè, a 12 anni, si fa la pipì addosso la notte.