Capitolo 34 - High Tension

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Gufo fece il suo trionfale ingresso in centrale subito dopo pranzo. Stringeva un plico di fogli sottobraccio e un sacchetto di plastica nell'altra mano. Anita si limitò a lanciargli un'occhiata torva, prima di rimettersi a leggere dei documenti.


Gufo si diresse verso la sua postazione e si accomodò di fronte a lei, su una sedia di pelle nera. Appoggiò il cappello a cilindro, il plico di fogli e la busta sull'angolo della scrivania di Anita e iniziò a fissarla, in attesa di qualsiasi suo gesto.


«Rottemberg esige informazioni. Spero tu abbia qualcosa», asserì lei, senza alzare lo sguardo dal tavolo. Era ormai chiaro che non stava effettivamente leggendo niente, e che quello era solo un modo per evitare il contatto visivo. L'imbarazzo che provava stava avendo la meglio sulla sua professionalità.


«Come va il collo?» chiese Gufo, senza un minimo di pudore. Anita arrossì immediatamente e iniziò a balbettare risposte confuse.


«Bene, credo, cioè insomma... bene», mugugnò lei, sistemandosi la sciarpa in modo da non far vedere il cerotto.


Dopo qualche secondo, decise di alzarsi dalla sedia per dirigersi ai distributori automatici. Un caffè le avrebbe fatto decisamente bene. La avrebbe aiutata a smettere di pensare a quel demente seduto davanti alla sua scrivania.

Inserì una moneta argentea nella fessura e attese che la bevanda calda fosse pronta. Trasse un lungo sospiro, prima di voltarsi per tornare a sedersi. Dovette arrestarsi subito, però, perché Gufo sostava esattamente dietro di lei, e la sua vicinanza la spaventò talmente tanto che rovesciò il caffè che teneva in mano, sopra la camicia di Gufo. Dopo una sequela di bestemmie dovute al calore della bevanda a contatto con la pelle sensibile del suo petto, lui si tolse la camicia, rimanendo impalato davanti a lei mezzo nudo.


Esattamente quello che voleva evitare, sospirò Anita fra sé.


«Pensi di spostarti?» berciò lei, astiosa.
«Avete delle camicie di riserva?» chiese Gufo, bloccandola fra lui e il distributore, facendo finta di ignorare quanto quella vicinanza la stesse facendo vibrare.
Anita si limitò a indicare con un gesto del mento un armadietto abbandonato sulla sua destra, per poi tornare a fissare un punto imprecisato nel vuoto.


«Grazie», sorrise Gufo. «Ti ho portato da mangiare, comunque», proseguì, indicando la busta sulla scrivania di Anita con un cenno del capo, e facendosi sempre più vicino all'orecchio di lei.
Anita si sentiva incredibilmente debole. Appoggiò le mani sul petto di Gufo, spingendolo con poca convinzione lontano da lei. Il calore che avvertiva al bassoventre sembrava assolutamente contrario a quella sua idea, rendendola talmente debole che non sarebbe riuscita a spostare neanche una piuma. Gufo doveva essersene reso conto, perché contrastò la pressione delle sue mani, facendosi sempre più vicino alle sue labbra.


«Che stai facendo?» sospirò lei, con voce tremante.
«Lo vuoi anche tu, Anita», asserì lui, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli scuri. Anita avvertì un brivido che percorse tutta la sua spina dorsale.


«Non so di cosa tu stia parlando»
«Parlo di noi», rispose Gufo, alzandole il viso per bloccare il suo sguardo nel proprio.
Anita rise amaramente, «Non c'è nessun noi».


Gufo sembrò accusare il colpo per un breve istante, poi si riebbe e decise di allontanarsi da lei, lasciandola libera dalla sua presa.
Lui si diresse verso l'armadietto e ne estrasse una camicia nera, semplice, senza alcun decoro. Anita lo vide infilarsela e guardarsi allo specchio, poco convinto.


«Ti sta bene», commentò lei. «Finalmente qualcosa della tua taglia»
Gufo sorrise, poi tornò a sedersi davanti a lei.


«Ho portato i fascicoli falsi che mi ha dato Jep. Dovrete far finta che siano quelli veri», spiegò Gufo. «In questo modo potremmo depistarlo».


Anita annuì, mentre afferrava la sua busta del pranzo. L'ennesima bestiolina indifesa fece capolino, spezzandole il cuore. Se ne nutrì in pochissimi secondi e i suoi occhi ripresero il loro colorito naturale.


«Nel mentre, io cercherò di appropriarmi dei fascicoli veri», concluse Gufo, mal celando un tremore della voce, segno che la vista della donna dei suoi desideri, che si nutriva davanti a lui lo aveva colpito di nuovo. L'odore del sangue fresco risvegliò qualcosa dentro di lui, ma decise di ignorarlo.


«Mi sembra lineare», commentò Anita, afferrando il primo dei fogli che le aveva mandato Jep.
Erano stati manomessi incredibilmente bene, lo stile di scrittura era molto simile a quello che avrebbe utilizzato Brick. Anita ne rimase impressionata.


Nei fascicoli falsi, ovviamente, si diceva poco o nulla su Vin. Era, però, pieno di informazioni su Alexander Restev.
Anita rimase attonita di fronte alle informazioni che apprese.


«Sono bugie queste, vero?» mormorò Anita, squadrando Gufo.
«Ho detto che non sono i fascicoli segreti di Brick, non che non si trattasse di informazioni vere»
«Dobbiamo renderli pubblici», realizzò Anita, non riuscendo a nascondere una certa stanchezza nel tono di voce.



Fortunatamente la giornata si concluse in modo indolore. Rottemberg era tornato in centrale comunicando che Gus avrebbe ripreso servizio la settimana successiva, e poi aveva lanciato un'occhiataccia a Gufo.


Anita gli aveva chiesto un momento per poter parlare con il suo capo da sola, e durante quel tempo gli raccontò tutto: dalla conversazione che aveva sentito nascosta dietro alla finestra di Tucci, alla complicità di Gufo e, soprattutto, quello che aveva trovato su quei maledetti fascicoli.


«Quindi tu mi stai dicendo che Jep Tucci, fingendosi Brick, ci starebbe comunicando che Alexander Restev ha pagato dei misteriosi mercenari per far uccidere sua figlia, Natalia?»
Anita annuì, perplessa e preoccupata.

Rottemberg lanciò uno sguardo ad Anita, perlustrando i suoi occhi verdi, e subito dopo un altro all'uomo inquietante che la stava aspettando fuori dal suo ufficio.


«Dobbiamo far trapelare la notizia per non far insospettire Jep del coinvolgimento di Gufo nelle nostre indagini», asserì seria. «Prendiamo tempo per riuscire a ottenere i veri fascicoli».


Rottemberg annuì, passandosi una mano fra i capelli ricci sale e pepe.


«Dammi il tempo di fare qualche telefonata»
Anita lo ringraziò con uno sguardo e fece per uscire. Il caposquadra la richiamò.

«Non fidarti troppo di lui, Nit. Ora siete uguali, ma questo non annulla quello che ti ha fatto»
Anita annuì, con gli occhi lucidi, come se avesse appena ricordato qualcosa di importante.
«Hai ragione, Rott. Ti voglio bene».


Rottemberg strinse forte la penna che stava usando per scrivere degli appunti.
Non sentiva quella frase da talmente tanto tempo, che non ricordava più come si rispondesse. Anita seppe tutto senza il bisogno di sentirselo dire. Uscì dalla stanza e raggiunse il Gufo.

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