Capitolo 36 - Mischief

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La villa sotterranea di Jep Tucci riluceva la solita luce spettrale, oltrepassava le finestre di vetro temperato e le inondava il viso, nascosto fra i cespugli di plastica, pesanti e ruvidi al tatto. La notte, fortunatamente, copriva l'atmosfera come un grosso guanto su una mano callosa.


Non aveva visto Gufo né entrare né uscire da quella casa, tanto che iniziò a pensare che gli fosse capitato qualcosa. Non avvertiva il suo odore neanche a distanza.
L'aria era rarefatta e colma di odore di sigaro, misto al sangue che permeava costantemente sulla pelle di Jep.


Anita mosse qualche passo incerto, cercando di rimanere sempre piegata sulle ginocchia.
Non sembravano esserci tracce neanche di Vin. La volta precedente l'odore della donna le aveva invaso le narici, pungente, ricordava un mix di coriandolo e cannella. Quella volta, invece, non sembrava essere presente.


C'erano solo lei e Jep. Come una macabra resa dei conti.
Si chiese per un secondo se Gufo non le avesse mentito sulle sue intenzioni per quella serata, quando il fetore fugace della sigaretta acre che fumava di continuo la raggiunse.
Voltò subito il viso verso l'ingresso del cancello e lo vide, illuminato dai raggi sporadici di luce artificiale, emanava una forza che lei non avrebbe mai posseduto.


Gufo non sembrò rendersi conto della sua presenza, forse l'odore del fumo riusciva a mascherare il resto, ma non ci sperò troppo. Gufo la trovava sempre, alla fine.
Lo vide dirigersi all'entrata della villa e sparirvi all'interno. Anita rilasciò il respiro che non sapeva neanche di star trattenendo e si spostò nuovamente, stavolta dietro la corteccia della sequoia finta su cui Gufo la stava quasi...


Scacciò il pensiero con un gesto della mano. Non poteva in alcun modo deconcentrarsi in quel momento.
Jep non era stupido, anche un minimo passo falso le sarebbe potuto costare la vita.
Per un attimo si chiese se fosse il caso di avvisare i suoi colleghi del posto e della situazione in cui si trovava, ma poi cambiò idea. Non voleva dare adito ad altre dicerie su di lei e Gufo. Se avessero saputo che si trovava nei guai per aiutare lui avrebbero reagito malissimo.
Anita comprese che era un momento buono per agire, quindi fece un enorme balzo felino e atterrò aggraziatamente sul primo balcone della villa. La porta a vetri era spalancata e affacciava su una delle stanze per gli ospiti. Anita entrò, sfoderando la sua Smith&Wesson e puntandola verso il nulla.


La stanza dove si trovava era spoglia, arredata frettolosamente solo con un armadio e un letto. Sembrava più fredda del resto della casa e sicuramente più sporca.
Per sicurezza, Anita controllò all'interno dell'armadio. Sull'anta sinistra c'era attaccata una foto, di quelle vecchie polaroid sfocate e con evidente filtro che tendeva all'arancio. Ritratti nella foto c'erano un bambino biondo e Jep Tucci, molto più giovane e stranamente sorridente. Anche il bambino biondo sembrava essere felice.


Anita strappò la foto dall'anta e la voltò. Dietro di essa appariva una didascalia:


Distretto Dritch – 2648 – Jep e Devon

Devon?


Anita si infilò la foto in tasca e lanciò un'occhiata al contenuto dell'armadio.
Purtroppo riconobbe la maggior parte di quei completi, eleganti e colorati, che indosso a qualcuno sembravano sempre di tre taglie più larghi.
Anita accarezzò la giacca beige che Gufo indossava spesso e richiuse le ante.


«Ti avevo già detto di non venire più qui, Anita».



River strinse i pugni, pieno di rabbia. Come aveva potuto prenderlo in giro in quel modo? Già stava soffrendo per quella ridicola storia d'amore fra lei e quel torturatore sadico, non poteva sopportare anche la sua risata sarcastica parlando dei suoi sentimenti.
River diede un calcio a un ciottolo, proprio quando vide Anita uscire da casa loro.
Sapeva perfettamente riconoscere quando Anita stava nascondendo qualcosa; quindi, ci mise una frazione di secondo per decidere di seguirla.


River aveva avuto a che fare con i Diversi qualche tempo prima; quindi, era ben conscio del fatto che potevano captare qualsiasi odore a distanza di almeno cinque metri.
River fece attenzione a tenersi sempre settanta passi dietro di lei, senza mai rischiare di perderla di vista.
Percorse la Streitmeier e poi si infilò in una delle parallele, scomparendo alla sua vista. River allungò il passo, giusto in tempo per vedere un fugace caschetto nero infilarsi nel Sotterraneo dei Complessi Artificiali. Lì sotto vi erano tutte le Ville dell'alta società.


River pensò che stesse andando a casa di Restev per una ulteriore ispezione, ma poi un altro pensiero gli ghiacciò il sangue nelle vene.


Jep Tucci.


River mandò un messaggio di testo a Rottemberg, nonostante l'ora tarda, e si avventurò nel Sotterraneo dietro di lei.



Anita era legata alla sedia, con un bavaglio stretto sulla bocca. L'impossibilità di tenerla chiusa la stava costringendo a sbavare e le impediva di proferire alcuna parola.
Gufo, dietro di lei, le teneva una mano poggiata sulla spalla minuta.
Jep sedeva davanti a loro, con un sorriso soddisfatto e gli occhi puntati in quelli di Anita.


«Mia piccola Anita, sei di nuovo qui con me».


Il suo tono era dolce e premuroso, come se fosse stato sinceramente felice di riaverla con lui. Anita scalciò con tutta la forza che aveva in corpo, ma la sedia non cadde, a causa della presenza vigile di Gufo, pronto a tenerla ancorata a terra.


Avrebbe voluto guardarlo negli occhi, ma non riusciva a voltarsi essendo legata mani e piedi.
Solamente incontrando il suo sguardo ghiacciato avrebbe capito se quella che stava vivendo in quel momento era solo una sua messinscena, oppure se la stava veramente tradendo in quel modo.
Voleva capire se ci fosse mai stato qualcosa di vero in lui. Se avesse mai provato davvero qualcosa.


«Falla parlare, Gufo», acconsentì Jep, con un gesto lieve della mano destra.
Gufo le slegò il bavaglio e Anita iniziò a urlare.
Non erano urla di terrore, ma di odio. Ed era tutto nei confronti dell'uomo immobile dietro di lei.


«Gufo! Mi fai schifo! Come hai potuto?»


Lacrime calde e rabbiose le scorrevano lungo le guance, ma lei non sembrava neanche rendersene conto.
Jep produsse una risatina fastidiosa.


«Le hai spezzato il cuore», commentò, con palese soddisfazione sul suo volto.
Anita avvertiva i conati di vomito salirle dall'esofago fino in gola. Quella situazione non poteva in alcun modo essere reale.


Fu a quel punto che Gufo mosse dei passi verso di lei, inginocchiandosi davanti al suo viso.
Anita non scorgeva più niente nei suoi occhi. Quella follia bonaria che lo aveva contraddistinto fino al giorno prima sembrava essere sparita, lasciando il posto a una lastra di ghiaccio finemente intagliato e posto su un cumulo di macerie.


«Perché?» gli chiese Anita, in un sussurro.
Gufo le carezzò la guancia, portandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Perché mi piace torturarti, amore mio», rispose lui, distendendo un sorriso.

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