☫ 19. ᴏᴅᴏʀɪ ᴅɪ ᴄᴀꜱᴀ ☫

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Le ore di arte gotica erano ormai un ricordo lontano, il tempo di Jimin scivolava via come la polvere nel vento mentre Jungkook restava immobile nel suo angolo di quiete apparente. La lezione si era conclusa, eppure la sua mente, insoddisfatta, non riusciva a liberarsi dal pensiero che ogni minuto lontano da Jimin fosse un passo più lontano dal centro del suo universo. Non c'era altro che quello: Jimin, sempre e comunque.

Jungkook non capiva, ma accettava questa nuova dipendenza con una calma che sfiorava il disprezzo verso se stesso. Le sigarette non facevano altro che colmare il vuoto che cresceva. Ogni boccata, un passo più profondo dentro una gabbia che lui stesso aveva costruito. Ma ogni volta che esalava il fumo, ogni volta che lasciava che il tabacco bruciasse nel profondo dei suoi polmoni, era come se tutto attorno a lui sparisse. Non c'era altro se non la punta ardente della sigaretta tra le sue dita e il volto di Jimin.

Era strano come qualcosa di così banale potesse avere il potere di portarlo lontano, ma forse non era la sigaretta che gli dava sollievo. Forse, era il semplice fatto di aspettare, nell'inquietudine di un'ansia che cresceva inesorabile dentro di lui, il momento in cui avrebbe visto Jimin.

Ogni giorno, a quell'ora, Jungkook si trovava a guardare l'ingresso dell'edificio che ospitava le lezioni. Era lì che Jimin passava, in fretta, spesso con la testa bassa, quasi a sfuggire agli sguardi. Jungkook sapeva che non era una coincidenza, che non si trattava di casualità. Era come un richiamo. Come se tutto fosse legato ad un filo sottile che li univa, invisibile, ma tangibile, quasi fisico. Un filo che vibrava ogni volta che Jimin passava e che lo attirava verso di lui come un magnete, un potere oscuro che sembrava impossibile da scoprire eppure non si poteva ignorare.

Fu allora che, improvvisamente, qualcosa cambiò.

Urla. Un suono stridente e angosciato, che riempì l'aria con una carica elettrica. Jungkook sentì un gelo pervadere la sua spina dorsale, e senza pensarci, lasciò cadere la sigaretta appena accesa e si precipitò fuori dalla sua stanza. Il suo corpo si mosse come se fosse stato guidato da una forza esterna, eppure dentro di sé sapeva che quella forza era qualcosa che non riusciva a controllare. Ogni passo lo portava più vicino a ciò che temeva. Ogni passo lo avvicinava al caos.

La biblioteca era in fiamme. Le lingue di fuoco si alzavano alte, avvolgendo tutto ciò che trovavano sul loro cammino. Il fumo denso, acrido, invase la stanza con una forza incontrollabile, ed il calore improvviso sembrò bruciare l'aria stessa. Le urla continuavano, mescolandosi al suono del legno che scricchiolava, consumato dall'incendio.

Ma c'era qualcosa di più in quel fuoco. Qualcosa che lo attirava lì, come se il cuore stesso di Jungkook fosse legato a quella fiamma, come se ogni scintilla che prendeva vita fosse una rappresentazione della sua stessa mente, distrutta e consumata dalla passione che provava per Jimin, ma anche dall'incertezza, dal rimorso che non sapeva come gestire. Forse, il fuoco non era altro che un riflesso del caos interiore che da tempo lo tormentava. Un fuoco che divampava dentro di lui e che ora aveva preso forma, distruggendo tutto ciò che lo circondava, annichilendo ogni speranza.

E poi lo vide.

Jimin.

Era lì, nel cuore dell'inferno, accovacciato nel centro della biblioteca. La sua figura, piccola e fragile, sembrava perdere la presa sulla realtà, confusa e smarrita come se fosse intrappolata in un mondo che non riusciva più a comprendere. I suoi occhi, solitamente così vivi e pieni di emozioni, ora sembravano vuoti. La sua mente era altrove, lontano dal fuoco, lontano da tutto, come se fosse in un altro luogo, forse in un altro tempo.

Jungkook si fece strada tra le fiamme, ignorando il dolore che il calore gli infliggeva. Il suo corpo si muoveva come se fosse stato guidato da un'istinto primordiale, come se la sua intera esistenza fosse diretta verso quel punto, verso Jimin. Non gli importava più del fuoco. Non gli importava più del rischio. In quel momento, non c'era nulla che fosse più importante di lui.

Si avvicinò piano, cercando di non fare rumore, come se il semplice fatto di interrompere quella solitudine in cui Jimin sembrava essere immerso avrebbe potuto mandarlo in frantumi. Ma non c'era tempo. Non c'era spazio per paura.

"Jimin..." la sua voce fu un sussurro soffocato, ma abbastanza forte da farsi strada tra il caos. Jimin non reagì. Le sue mani erano saldamente sulle sue orecchie, come se volesse impedire al mondo di raggiungerlo. La sua bocca mormorava parole incomprensibili, ma Jungkook le riconobbe. Non c'era nulla di razionale in quel momento, solo una disperata necessità di fuggire da qualcosa che non riusciva a controllare.

"Lasciami stare..." Jimin ripeteva, e le sue parole erano cariche di paura, come un grido inascoltato che s'infrangeva contro le pareti di una mente ormai lacerata dalla sofferenza.

Jungkook si avvicinò ancora di più, il suo corpo ora accovacciato accanto a quello di Jimin. La biblioteca era avvolta da un incubo, ma in quel momento, Jimin sembrava l'unica realtà. La sua paura era qualcosa che Jungkook poteva sentire, che poteva quasi toccare, ed era un peso che lo schiacciava. Un peso che non riusciva a capire.

Le sue mani, tremanti, afferrarono le braccia di Jimin con delicatezza, ma fermezza. Lo sollevò, cercando di portarlo via, ma non era facile. Jimin era troppo immerso nel suo stesso dolore per rispondere. Era come se il fuoco lo avesse intrappolato, non solo fisicamente, ma mentalmente, spiritualmente. La sua mente era in un altro posto, e il suo corpo sembrava una carcassa che non riusciva più a riconoscere.

"Jimin... guarda me," disse Jungkook, la voce più forte ora, come se quella fosse l'unica cosa che potesse ancora fare: richiamare Jimin alla realtà. "Non sei solo, non sei più solo."

Jimin alzò finalmente lo sguardo, i suoi occhi brillavano di lacrime, eppure c'era qualcosa di più profondo in loro. La consapevolezza di essere stato trovato, di non essere stato dimenticato. Ma la paura rimaneva. La paura che l'ombra di Revi fosse ancora lì, invisibile, a guardarlo. A tormentarlo.

Jungkook lo prese tra le braccia, come se non ci fosse più nulla da fare, se non portarlo fuori da quell'inferno che non era solo fisico, ma anche mentale, esistenziale.

E mentre il fuoco continuava a consumare la biblioteca di Aberdeen, Jungkook sapeva che quella non era la fine. Era solo l'inizio.

ᴀʙᴇʀᴅᴇᴇɴDove le storie prendono vita. Scoprilo ora