3. Porte chiuse

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Let me know that I've done wrong
When I've known this all along
I go around a time or two
Just to waste my time with you

Tell me all that you've thrown away
Find out games you don't wanna play
You are the only one that needs to know

I'll keep you my dirty little secret

(The All American Rejects)

***ROBIN***

Raccolgo i miei effetti personali, gettandoli alla rinfusa nella borsa. Non vedo l'ora di lasciare quest'ospedale e questa città. Controllo ancora una volta le chiamate sul mio cellulare. Niente. Nessuno mi ha cercato negli ultimi due giorni. La morsa dell'angoscia si serra di nuovo intorno alla mia gola. Sean non ha risposto ai miei messaggi né alle mie chiamate. Sembra scomparso nel nulla. Non mi faccio illusioni sulla causa del suo distacco, deve essere furioso.

È tutta colpa mia. Sono venuta meno al mio impegno, non l'ho raggiunto al convegno come d'accordo. So che il suo atteggiamento distaccato è un modo per punirmi, e ha ragione. Mi sento profondamente in colpa. Chissà com'è andata la sua presentazione. Spero che la mia assenza non gli abbia causato problemi.

Ho sbagliato tutto. Non me lo perdonerei mai se avesse fatto una figuraccia a causa mia.

Sospiro, l'unica soluzione è raggiungerlo al più presto e chiedergli perdono. Ormai sarà tornato al MIT. Gli spiegherò come sono andate le cose. Spero che capisca. Non potevo prevedere di avere un incidente e di rischiare il congelamento. Scuoto la testa. So che non conta che io sia viva per miracolo. Lui non accetta queste debolezze e sono certa che me la farà pagare.

Mi butto la borsa sulla spalla e esco a passi rapidi dalla stanza, facendo un rapido cenno di saluto all'infermiera. Prima di partire ho bisogno di una doccia e di un cambio d'abito. Non voglio disturbare mio padre, chiamerò un taxi per farmi portare a casa dei miei.

Cammino a passi rapidi, non vedo l'ora di raggiungere l'uscita. Mentre passo lungo il corridoio, un'immagine cattura la mia attenzione, attraverso il varco di una porta. In una delle stanze c'è Parker, seduto al capezzale di una giovane donna. Sta piangendo in silenzio. Tiene tra le sue una mano inerte della ragazza. Ha il capo chino, i capelli scomposti. Grosse lacrime cadono sulle loro mani unite, senza che lui si preoccupi di asciugarle. Mi si stringe il cuore. Non sta singhiozzando, e questa è la cosa più terribile. Le sue spalle sono ferme, non si sente un gemito. Il suo è un pianto quieto e composto e taciturno, quasi rassegnato.

Mi fermo, troppo curiosa per passare oltre. A giudicare dalla quantità dei macchinari a cui è collegata, lei deve essere molto grave. La osservo: nonostante il suo pallore mortale e il viso scavato dalla malattia, è molto bella. Ha lineamenti delicati e radi capelli, chiari e ricci. Non deve avere più di venticinque anni. È sua sorella? La sua ragazza? È difficile dirlo. Ma di certo deve essere molto importante per lui.

–È sua moglie, Alice – una voce nota accanto a me mi fa sussultare. Mio padre come al solito sembra leggermi nel pensiero. Lo guardo, sconcertata. Non sapevo che Parker fosse sposato.

–Sembra molto grave...– è tutto quello che riesco a dire, in un sussurro.

–È in coma. Da due anni, ormai– le sue parole risuonano terribili e definitive. Lo guardo, sgranando gli occhi. Mio padre è un uomo ottimista, non sono abituata a sentirlo usare questo tono così rassegnato e categorico.

Guardo l'uomo in lacrime, incorniciato come un quadro dallo stipite rettangolare della porta. Il suo dolore, che prima mi aveva rattristato, ora mi inonda come una marea e mi toglie il fiato. Due anni. Due anni! Capisco ora perché è così quieto nel suo pianto. Mi chiedo con angoscia quante lacrime abbia già versato. Sono dispiaciuta, ora, di essere stata sgarbata con lui.

Non vedo che teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora