Prologo

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Avevo freddo.

Tanto freddo.

La pioggia mi aveva inzuppato i vestiti, il tessuto bagnato e pesante dei jeans mi metteva a disagio e la maglietta mi si era appiccicata addosso. Non riuscivo a vedere a un palmo dal mio naso, talmente pioveva forte; i miei occhi non riuscivano a rimanere aperti. Le gocce di pioggia mi scorrevano sulla pelle, tra le ciocche ramate dei miei capelli; seguivano un percorso predefinito fino a riunirsi con le loro sorelle a terra, in una pozza ai miei piedi, o nelle mie scarpe, facendo annegare i miei calzini con le righe. Non sentivo più le dita delle mani. Mi strinsi le braccia al petto per trovare un po' di calore, mentre lui se ne stava lì, immobile, di fronte a me, lo sguardo fisso sulla mia figura. La pioggia ci avvolgeva, ma nessuno dei due era intenzionato a muoversi o a rientrare in casa.

Io non sarei mai rientrata in quella casa.

Non dopo quello che avevo scoperto.

«Chi sei?» mi costrinsi a dire, le parole affidate al vento gelido che accompagnava la tempesta.

«Forse volevi dire, cosa sono?» ribatté lui con un ghigno.






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