CAPITOLO 1 - L'inizio della fine

36 4 0
                                    

Stella

Ecco come stavano le cose: non mi sarei mai innamorata di Jackson Hollow se mia madre non avesse puntato – e perso – tutti i nostri risparmi sul numero 7 nero alla roulette all'Empire City Casinò tre giorni dopo averla accompagnata personalmente nel miglior centro di riabilitazione di New York. Forse sarei stata ancora nel mio letto, con le lenzuola di seta e il cuscino di vere piume d'oca, o a bere caffè e mangiare croissant caldi preparati freschi ogni mattina dal nostro chef, se mia madre non ci avesse distrutto la vita. Forse avrei ancora potuto passeggiare lungo la Fifth Avenue, incontrare Stacy per un brunch in quel locale vicino a casa sua che ci piaceva tanto, fare jogging a Central Park o perfino spostarmi da un punto all'altro della metropoli senza prendere la metro, perché Juan mi ci avrebbe portato guidando la berlina nera con cui scorrazzava me e la mia famiglia da ben due generazioni, se mio padre non avesse truffato la sua azienda e fosse scappato in uno di quei paradisi fiscali lasciandoci in mutande, con mia madre che cominciò a bere e a drogarsi per zittire le voci, i pettegolezzi, i mormorii che ci avevano raggiunte perfino tra i corridoi del nostro palazzo e me e mia sorella a rimboccarci le maniche per continuare la farsa di famiglia felice, lavorando di nascosto di notte e andando a scuola e al college di giorno come se niente – o meglio, nessuno – avesse distrutto la nostra piccola bolla di perfezione esistenziale.

Vedete, e questa è la parte migliore della storia, mia sorella Gwen aveva sposato l'erede di una delle famiglie più ricche e influenti di New York – di cui non dirò il nome per la privacy... la mia, non la sua, non posso rischiare che voi scopriate chi sono – e da un giorno all'altro aveva smesso di considerarsi una... ah, non posso scrivere il nostro cognome... be', aveva smesso di considerarsi parte della nostra famiglia e aveva deciso di dimenticarci. Lo so, lo so, cattiva sorella, perfida, eppure... io non le portavo rancore. Non potevo. Lei era riuscita a farcela, le auguravo ogni bene. Io, al contrario, finito il liceo non ero potuta andare al college – per ovvi motivi – mi ero presa cura di mia madre, che non aveva mai accennato a un miglioramento, ma non per questo avevo lasciato perdere. Facevo due se non tre lavori e studiavo economia per corrispondenza.

Licenziati il personale e la servitù, andata via mia sorella, in quella enorme casa vuota eravamo rimaste solo io e mia madre, le nostre versioni più sbiadite, incapaci di mantenere quello stile di vita e allora avevo venduto l'appartamento, con i soldi avevo assicurato il posto in clinica a mia madre e il resto l'avevo messo in banca, al sicuro e da far fruttare, anche se ormai la crisi del 2008 sembrava essere tornata, ma di certo non potevo tenermi i risparmi sotto il materasso.

Pensavo che le cose, finalmente, avrebbero preso la giusta piega, invece mia madre era riuscita a rovinare tutto, e aveva costretto l'unica figlia che le era rimasta accanto, l'unica famiglia che le restava, a farla arrestare per possesso di stupefacenti, guida in stato di ebrezza e furto – non ero stupida, avevo aperto il conto a mio nome, ma mia madre aveva ancora certe conoscenze e aveva fatto in modo di avere i soldi, peccato che anch'io avessi le mie conoscenze e un ex compagno di corsi di mia sorella entrato in polizia mi aveva aiutato.

Chi riesce a convivere con il peso di aver mandato la propria madre in galera?

Io. Io non me ne pentivo. Forse stare al fresco le avrebbe fatto bene. Forse l'aiuto che avrebbe ricevuto in carcere le avrebbe aperto gli occhi. Fino a quel momento, me ne sarei stata lontana. Lontana da lei, da New York, da una vita che non consideravo mia da tanto tempo ormai.

Avevo venduto ogni cosa, rimanendo davvero solo con lo stretto necessario per sopravvivere.

Con i soldi ricavati avevo comprato il biglietto più economico che avevano alla stazione dei treni. Mi ero recata di buon'ora alla Penn Station e mi ero ritrovata seduta al 6b su un treno diretto a Boston, dove avevo preso un autobus per Brunswick, nel Maine.

DestinatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora