CAPITOLO 3 - Agrumi e cannella

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Stella

Caldo.

Avevo tanto caldo.

Mezza addormentata, scostai le coperte, che già erano finite parzialmente in fondo al letto, ma la sensazione di dormire direttamente nel camino non cessò. Fu solo quando rotolai sulla schiena e allungai braccia e gambe a mo' di stella marina, per ricevere più fresco possibile dal cotone del coprimaterasso ormai scoperto, che compresi il vero motivo per cui stavo sudando, pur essendo inverno.

Sasha.

Sasha doveva essersi intrufolata nella stanza durante la notte. Aprì gli occhi e mi guardò. La fissai a mia volta, immaginandola alzarsi su due zampe e fare leva sulla maniglia per aprirla. Mi rivolsi alla porta: socchiusa.

E brava Sasha.

Avrei dovuto chiudere a chiave.

Controllai il telefono, ormai carico: le 6:34.

Ero sveglia. Davvero sveglia, ogni traccia di sonno era sparita. Di solito non ero una persona mattiniera, ma trovarmi in una stanza che non era quella in cui ero cresciuta, in un luogo estraneo, con persone estranee, avevano fatto drizzare le mie antenne della vigilanza.

Alta la guardia, sempre.

Se c'era una cosa che mi avevano insegnato i miei genitori, era che non ci si poteva fidare delle persone, che tutti nascondono qualcosa e che alla fine, non si finisce mai per conoscere tutto di una persona. Mamma e papà erano stati bravissimi a insegnarmi la diffidenza.

Stiracchiai braccia e gambe e mi strofinai gli occhi, togliendo gli ultimi residui di sonno. Rimanere nel letto avrebbe solamente aumentato la mia frustrazione. Decisi di prendere un caffè. Se avessi fatto piano, magari non mi sarei ritrovata nonna Hollow in cucina, a intimarmi di non fare niente. Avrei anche potuto preparare qualcosa per tutti per colazione.

Nonostante avessimo un cuoco e mangiassi quasi sempre fuori, a volte a casa cucinavo. Cucinavo con mio padre. Mi piaceva moltissimo. Lui non era originario di New York e non proveniva da una famiglia agiata. Mamma era quella ricca di famiglia. Se chiedevi loro come si erano conosciuti o potuti innamorare, essendo così diversi, loro rispondevano semplicemente: Destino.

Be', il Destino aveva sbagliato, visto come era andata a finire.

Osservai le mie valigie, sparse per la stanza, mezze aperte, con vestiti che penzolavano metà fuori e metà dentro.

Scossi la testa.

Non avevo voglia di cambiarmi, in quella casa faceva davvero caldo, perfino i pavimenti erano riscaldati. Mi diedi una sistemata veloce in bagno e decisi che mi sarei fatta una doccia dopo essermi rimboccata le maniche in cucina. Per fortuna non avrei dovuto cucinare per trenta persone. Molti se ne erano andati dopo la cena, solo la famiglia in senso stretto – i nonni, Margaret e i figli con compagni, come piaceva loro definirsi – erano rimasti a dormire.

Preparare waffle e pancake o magari dei French toast per neanche dieci persone era un'impresa più che fattibile. Aprii la porta cercando di non fare rumore e feci cenno a Sasha di raggiungermi. Si limitò a inclinare la testa con aria interrogativa e a riappoggiarla sul materasso, chiudendo gli occhi.

Sorrisi. Mi ero già affezionata a lei.

La lasciai dormire e percorsi le scale in punta di piedi.

Fui contenta di arrivare in cucina e trovarla vuota.

Presi dal frigorifero ben fornito gli ingredienti necessari alle preparazioni e mi feci coinvolgere completamente dal presente, senza pensare a colazioni passate, una famiglia ormai sfasciata, dubbi e incertezze sul futuro, sul mio domicilio, i soldi, un lavoro.

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