Il sole ad accecarmi, una lenta brezza a scompigliarmi i capelli e a rendere quella fastidiosa luce più sopportabile.
Neanche una nuvola riusciva a coprirla sembrava che si fossero dissolte tutte nell’aria, sciolte come lo zucchero si scioglie nel caffé, un attimo prima è lì e puoi vedere e sentire la consistenza un attimo dopo è scomparso lasciando posto al nero che lo ha inghiottito. Aspettare il treno non è mai stato così difficoltoso, faticoso o estenuante. Il calore però mi faceva perdere le forze. Ormai mancavano pochi minuti, il che riusciva sicuramente a
farmi tornare il buon umore.
”Allontanarsi dalle righe gialle, il treno diretto a Londra è in arrivo alla linea B2”
Tutti si scostarono dalla linea e un rumore assordante si insinuò nelle orecchie come un fischio, che arriva direttamente al cervello. Il treno si fermò e tutti i passeggeri scesero lasciando spazio a noi che stavamo salendo. Questo era un treno particolare, uno di quei treni a cabine, per le persone che devono intraprendere dei lunghi viaggi.
Iniziai a camminare nella vana speranza di trovare una cabina da solo, ma con mio gran rammarico dovetti rassegnarmi all’idea che non sarei stato solo. Considerando che tutti i posti erano occupati, continuai a camminare fino in fondo e aprii l’ultima porta scorrevole.
Le cabine erano semplicemente fatte da divanetti ai lati attaccati ai muri e una grande finestra ad illuminare il luogo e a mostrare il panorama che si dipingeva fuori. Prati e colline verdi contornavano il paesaggio e il cielo non era mai stato tanto sereno. Seduto al lato di sinistra, assorto nella lettura, c’era un giovane ragazzo. Era più piccolo di me, ma sembrava strano, diverso. Entrai e mi chiusi la porta alle spalle, lasciandola scorrere e lasciando che la maniglia si bloccasse da sola. Misi il mio borsone al posto di destra, vicino alla porta e mi sedetti vicino alla finestra. Rimasi a fissare per un po’ il ragazzo che era talmente preso dal suo libro da non essersi
accorto della mia presenza. Al fianco di quel ragazzo c’era un borsone simile al mio ma più piccolo. Era leggermente aperto e dall’esterno si poteva notare il contenuto di quella borsa: era piena di libri. Erano l’unica cosa che si riusciva a vedere dalla mia posizione, ne
potevo contare otto e con quello che stava tenendo in mano ne facevano nove. Come può fare una persona a leggere tutti quei libri? Tornai a fissare il ragazzo, lo guardai attentamente cercando di cogliere tutti i dettagli più piccoli. Era vestito con un paio di pantaloni neri attillati, una camicia blu scura aperta che lasciava intravedere dei tatuaggi sul petto. Un paio di stivaletti marroni consumati e una
bandana verde tra i capelli. La cosa che risaltò di più ai miei occhi però, furono le collane che portava al collo. Una rappresentava una croce mentre l’altra rappresentava un aereoplanino di quelli fatti con la carta, quelli che possono distruggersi da un momento all’altro.
Ero intento a fissarlo quando all’improvviso alzò la testa e mi guardò di sfuggita senza nemmeno vedermi, bloccando il suo sguardo fuori dal finestrino, preso dai suoi pensieri. Solo dopo due minuti realizzò quello che aveva visto e si girò di scatto verso me. Mi dedicò un lieve sorriso di cortesia e prese a scrutarmi con i suoi grandi, verdi e
profondi occhi che fissavano i miei, dei quali riuscivo a vedere ogni più lieve sfumatura che possedevano, dall’azzurro interno al grigio esterno che se ne stava a contornare quel verde brillante. Mi fermai a pensare che fossero gli occhi più belli che avessi mai visto. Continuò a sorridermi e allungò la mano verso di me.
”Piacere, mi chiamo Harry” strinsi la sua mano titubante e sussurrai un lieve “Louis”.
Ero intimorito da quel ragazzo. Sembrava vivesse in un mondo tutto suo, la mia paura era quella di rompere l’aurea che si era creata intorno alla sua figura.
”Piacere mio Louis” disse prima di girarsi di nuovo verso il finestrino perdendosi ancora
una volta nei suoi pensieri. Era davanti a me, di profilo. Potevo osservare ogni suo tratto, ogni parte del suo viso dal naso grande leggermente all’insù alle labbra piene e rosse dello stesso colore delle ciliegie mature in estate. Mi persi nella foresta dei suoi capelli.
Ogni riccio era ben definito con sfumature di ogni tonalità di castano esistenti sulla terra. Non aveva neanche un accenno di barba. La curiosità mi spinse a chiedere “Quanti anni hai?” come i bambini dell’asilo, intimoriti
dalla paura di poter infastidire il bimbo che si trova accanto a loro. Il ragazzo si girò ancora verso di me e un sorriso partì dalla sua bocca e si rifletté nei suoi occhi permettendomi così di vederli sorridenti e pieni di vita, e permettendomi di osservare con tutta la meraviglia di cui poteva essere capace un bambino, quelle fossette che si erano venute a creare ai lati delle sue labbra, a scavare le sue guance come solchi sulla sabbia.
”Ho 19 anni, ne dovrò fare 20 il primo di febbraio-continuò sorridendomi- tu Louis quanti anni hai?” chiese Harry con molta calma e gentilezza.
”Oh, io sono più grande di te, ho 21 anni e ne devo compiere 22 a Dicembre”
Il ragazzo di fronte a me sorrise e abbassò la testa mantenendo sempre quel sorriso completo di fossette. “Che giorno di preciso?”
”Il 24 Dicembre” Risposi e sorrisi alla spontaneità delle sue domande. “Quindi sei del capricorno… io sono acquario. Siamo il numero quattro, come aveva detto lei…” Rimasi a fissare dubbioso Harry e lui sorrise di nuovo.
”I segni zodiacali possono essere compatibili e non. Sono divisi in categorie da 1 a 5. La categoria uno è quella che ti persuade dal continuare o iniziare una relazione la posizione 5 invece è quella posizione che ti convince ancora di più ad andare avanti. Noi siamo alla posizione che ti convince ancora di più ad andare avanti. Noi siamo alla posizione quattro.”
”E’ una cosa bella?” “Solo se pensi che lo sia” “Tu ci credi?” “Devo ancora scoprirlo.”
Morì lì il discorso.
Harry riprese il suo libro e lo fissò un po’ per poi riporlo nella sua borsa
e chiuderla.
“Sai Louis, mi incuriosisci come persona. Parlami un po’ di te.”
Il suo sguardo ad incontrarsi e scontrarsi con il mio, i suoi occhi a cercare i miei che
imperterriti continuavano a sfuggirgli, come un gatto cerca un topo o come una persona parla con un’altra mentre gli ha appena raccontato una bugia e non vuole che se ne accorga. Ero in soggezione, non volevo guardarlo, non volevo leggere nei suoi occhi quale fosse il motivo della sua curiosità.
”Emh…cosa vuoi sapere in particolare? La mia vita non ha niente di interessante” Gli dissi
io con lo sguardo abbassato, arrossendo leggermente.
”Ma questo non lo posso sapere se non me la racconti” Rispose lui con quella sua calma disarmante dipinta sul viso
”Ho quattro sorelle che si chiamano Charlotte, Félicité, Daisy e Phoebe. Mia madre ha divorziato due volte, io sono il figlio del primo marito ma ho preso il cognome dal secondo,
mentre le mie sorelle sono figlie del secondo. Adesso ha un compagno ed è di nuovo incinta di gemelli – dissi sorridendo all’idea che avrei avuto altri due fratelli o sorelle più probabilmente visti i precedenti-, siamo molto contenti.”
Harry mi fissava le labbra, l’aveva fatto per tutta la durata del mio breve discorso. Quando capì che non avrei aggiunto più niente alzò lo sguardo verso me e scosse lentamente la testa sorridendo.
”In questo modo hai parlato della tua famiglia e non di te. Voglio sapere qualcosa di te.”
Sinceramente non avevo idea di cosa dirgli, era proprio questo il motivo per cui volevo
partire, anzi, per cui ero partito, scoprire me stesso. Non quello che tutti descrivevano.
Non sapevo ancora chi fossi, non ne avevo idea “La gente mi ha descritto come un tipo solare, allegro e sempre pronto a regalare un sorriso a chiunque ne abbia bisogno…
–Harry mi interruppe dicendo un flebile “ma” – ..ma non so chi sono.”
E’ difficile parlare di alcune cose con le persone che conosci, puoi parlare delle cose semplici, delle cose facili. Puoi parlare di una brutta giornata, di piccoli dolori. Ma quando si tratta di cose più serie, di quello che senti davvero…bhe, a quel punto non riesci più a parlare così apertamente con loro. È più facile parlare di questioni che ti preoccupano di più con le persone che non conosci perché sai che loro non potranno giudicarti perché in fondo non sanno come sei e soprattutto chi sei veramente.
Mi fissò attentamente negli occhi e mi sorrise.
“Hai mai pensato ai cavernicoli Louis? Loro non avevano una personalità, erano delle
macchine che uccidevano e mangiavano. Per loro era impossibile avere una personalità, non potevano capire chi fossero realmente. Loro potevano essere considerati tutti la stessa persona, avevano la stessa corporatura, facevano le stesse cose e non avevano una personalità. Con il tempo però, nonostante tutto si sono evoluti, hanno scoperto il fuoco, la ruota. Le persone che hanno fatto queste scoperte sono quelle che viaggiando e guardando
il mondo che li circondava sono riusciti a sviluppare un pensiero loro, personale. Da
cavernicoli quali erano si sono trasformati in umani, non che prima non lo fossero, ma
a quel punto avevano caratteristiche fisiche specifiche, si distinguevano tra di loro per aspetto e pensieri. Sviluppandosi si sono notate sempre di più le loro diversità, fino a
diventare delle persone ben distinte le une dalle altre.”
Non riuscivo a capire il motivo per cui mi stesse raccontando tutto questo, ma ero sicuro che una volta arrivato al punto sarei riuscito a capire la metafora che stava creando. Infatti non passò neanche un minuto che riprese a guardarmi negli occhi e continuò a parlare.
“Adesso potresti definirti come un cavernicolo, come una di quelle persone che ancora non hanno caratteristiche ben definite, senza un carattere e una sensibilità loro, tua
personale. Se le persone continuano a dirti quello che sei, non potrai mai capirlo davvero, non potrai mai dire tu, a te stesso e agli altri, chi sei davvero”
”Non ho capito, stai forse dicendo che devo evolvermi?” Non riuscivo davvero a capire.
Ero una persona come lui, non dovevo cambiare, non ne avevo bisogno.
Lui esplose in una risata liberatoria, in una di quelle risate che sanno riempirti il cuore di felicità senza un vero motivo, una di quelle risate contagiose. Notai solo in quel momento quanto fosse rauca e cupa la sua voce, anche quando rideva. Mi chiesi come non avevo fatto a notarlo prima e continuavo a chiedermi come facesse la sua voce a sapere di casa, di famiglia e non ad incutere il timore che avrebbe dovuto mettermi addosso. E pensaianche che sarei potuto rimanere ore ed ore ad ascoltarlo parlare, perché la sua voce mi
tranquillizzava. Ritornò alla sua compostezza e fissò nuovamente i suoi occhi nei miei, come a studiarmi. E fu in quel momento che capii perché non avevo notato il timbro della
sua voce. Non potevi essere capace di notare qualcos’altro in lui che non fossero quegli
smeraldi che aveva come occhi. ”No, non fisicamente, ma interiormente, dentro. Devi evolverti, separarti dagli altri e guardarti intorno. In questo modo riuscirai a diventare tutto ciò che vuoi” continuò.
Lo guardai, scrutai ogni tratto di quel viso. Aveva cambiato espressione, aveva distolto lo sguardo e aveva preso quel ciondolo in mano, quello a forma di aereo di carta.
Gli avevo raccontato tutto quello che pensavo, adesso era il suo turno, volevo conoscere la storia di Harry.
”Ora tocca a te” Mi fissò con occhi sgranati. Non si aspettava che dopo quel discorso avrei continuato a parlargli. Mi aveva praticamente definito come una persona senza carattere per poi darmi la soluzione ai miei problemi. Questi non sono pensieri che si sviluppano su due piedi, questi sono pensieri maturati con il tempo, mi aveva raccontato dei pensieri di una storia già vissuta.
“Siamo molto simili. Se ti raccontassi la mia vita ti svelerei alcune cose che devi scoprire da solo. Io scendo qui. Il mio viaggio si è appena concluso.. Ho incontrato te, questo era il mio compito e l’ho svolto. Qualche mese fa sono stato dalla signora Ruth, lei mi ha svelato
il mio scopo nella vita, cioè quello di aiutare gli altri, però mi ha parlato di un treno e di un
ragazzo dagli occhi blu come il cielo splendente, di un sorriso che nascondeva altre verità.
Mi ha detto che avrei dovuto incontrarlo, aiutarlo e parlargli proprio come era scritto sulle carte e nei miei occhi. Il mio compito è finito e non ho più niente da fare qui.”
La voce meccanica annunciava la fermata per Bringhton. Il ragazzo guardò prima
fuori poi me, si alzò e prese il suo borsone sulle spalle. Si avvicinò a me chinandosi e sussurrandomi all’orecchio
“Grazie Louis”, lasciandomi un bacio caldo tra i capelli, si alzò e aprendo la porta scorrevole uscì, senza voltarsi. Guardai il punto in cui era appena uscito e pensai a tutto quello che aveva detto. Il suo
compito era finito, stava aspettando solo me per scendere da quel treno, aspettava l’arrivo del ragazzo che gli era stato descritto dall’indovina.
Mancavano pochi minuti all’arrivo a Londra. Avevo mille domande nella mia mente, ma un solo nome: Harry.
Era l’unica cosa a cui riuscivo a pensare.
Harry dai capelli ricci, Harry dagli occhi verdi, Harry dal sorriso mozzafiato.
Harry, la persona che mi aveva appena cambiato la vita.
E avrei scommesso di aver notato nostalgia nei suoi occhi quando si era chinato su di me. E avrei scommesso che lo avrei rivisto, che lo avrei trovato.
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Dreamer's Road ~Larry Stylinson~
Fiksi Ilmiah-OS- La curiosità mi spinse a chiedere "Quanti anni hai?" come i bambini dell'asilo, intimoriti dalla paura di poter infastidire il bimbo che si trova accanto a loro. Il ragazzo si girò ancora verso di me e un sorriso partì dalla sua bocca e si rifl...