Prologo

595 39 3
                                    


Julian aprì gli occhi: si trovava disteso nel buio. Sbatté le palpebre più volte nell'oscurità che lo avvolgeva, ma non riuscì a intravedere nemmeno un pizzico di luce.

Subito si accorse che tutto il dolore era sparito; lo stomaco non gli bruciava, la testa non gli martellava più, le ossa avevano smesso di fargli male e di dargli la sensazione che si sarebbero disintegrate da un momento all'altro.

Forse era morto; oppure stava sognando e presto il male fisico sarebbe riemerso.

Chiuse gli occhi e li spalancò poco dopo, non era cambiato niente. Si trovava ancora immerso nel buio, un buio che non lo aiutava a capire dove fosse finito.

L'angoscia lo investì come uno tsunami.

L'ultima cosa che ricordava era lo specchio andato in frantumi sul pavimento. Il rumore dei vetri rotti gli era riecheggiato nella testa, forte e assordante.

L'oscurità opprimente, ora, sembrava volerlo schiacciare. Cercò di mantenere la calma, prese un profondo respiro e sciolse le mani intrecciate sul petto lasciandole scivolare lungo i fianchi. Il semplice gesto di muovere le dita non gli trasmetteva più le fitte che fino a poco prima l'avrebbero fatto contorcere dal dolore. Probabilmente anche alzarsi e camminare non sarebbe più stato una tortura. Provò a sollevarsi, ma non ci riuscì. Era come incastrato.

Si morse il labbro inferiore, non capiva perché non riuscisse ad alzarsi.

Il panico aumentò d'intensità e il cuore iniziò a martellargli nel petto, sempre più veloce, dandogli la conferma di essere vivo.

Julian sorrise sollevato, ma la gioia momentanea che lo aveva investito lo abbandonò nel giro di un attimo quando alzò le braccia e toccò qualcosa di liscio e morbido sopra di sé.

«Ma che diavolo...» mormorò inorridito. No, non poteva essere possibile.

Un pensiero orribile gli balenò nella mente e lui lo scacciò all'istante, mentre la paura aumentava. Emise un verso soffocato e le mani presero a tremargli in modo incontrollabile.

No, no, e ancora no, non era possibile che stesse succedendo proprio a lui.

Sbatté gli occhi nel buio e rabbrividì. «Calmati, sei vivo» si disse, ma il panico non se ne andò.

Abbassò le mani e le dita sfiorarono ancora quel tessuto morbido che lo circondava. Il respiro gli si fermò nella gola. «Non può essere vero» sussurrò con un filo di voce, incapace di aggiungere altro.

Sono rinchiuso in una bara!

Iniziò a urlare a squarciagola. Niente. Nessun rumore dall'esterno, nessuno l'aveva sentito.

Gridò ancora, con la consapevolezza che prima o poi l'aria a disposizione sarebbe finita.

E con orrore si ricordò di aver sentito il pianto dei suoi genitori e i gemiti dei domestici, ma non aveva avuto le forze di aprire gli occhi e di dire loro che era solo svenuto. E adesso molto probabilmente era già sotto terra. In quel momento li odiava, li detestava tutti. L'avevano creduto morto e chiuso in una bara. Idioti. Come avevano potuto fargli una cosa del genere?

Per colpa della loro stupidità sarebbe davvero andato all'altro mondo, imprigionato in una trappola senza vie d'uscita. Julian era fuori di sé per la rabbia e la paura.

«Tiratemi fuori!» ringhiò. Iniziò a tempestare di pugni il coperchio che incombeva sopra di lui. Provò di nuovo a sollevare le gambe in quello spazio ristretto ma non ci riuscì.

Forse non l'avrebbe mai aperta.

Ricominciò a urlare finché non sentì la gola secca e le forze mancargli. Gli occhi si riempirono di lacrime. «Fatemi uscire...» implorò con voce strozzata.

Era tutto inutile, nessuno sarebbe mai giunto in suo aiuto.

Con gli occhi chiusi aspettò il momento in cui sarebbe morto sul serio, mentre il suo cuore, intenzionato a non fermarsi, continuava a battere come impazzito.

Poco dopo un rumore gli arrivò alle orecchie. Era un suono debole, di passi, sovrastato dal martellare del suo cuore. Alimentato da una piccola fiamma di speranza, spalancò le palpebre e ricominciò a urlare.


Mezzo vampiroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora