Levi girò le chiavi nella toppa, aiutando l'uscio ad aprirsi con un colpo di spalla; diventava sempre più difficile entrare in casa senza caricare la porta come un giocatore di football che tenta di conquistare l'ultima yard.
Il buio lo accolse, fedele compagno di vita, invitandolo ad attraversarlo col suo silenzio, tetro e ingombrante. Abitava quelle mura quasi fosse un essere senziente: respirava la sua solitudine, si nutriva del suo tormento, si beava delle colpe di cui si era macchiato. Levi non si preoccupò di accendere la luce. Non gli era mai pesato convivere coi propri peccati, tanto meno aveva mai creduto vi fosse qualcuno da cui strisciare e appellarsi in cerca di clemenza, dall'altro lato della barricata. Eppure, quella notte le pareti scolorite dell'appartamento gli sembravano più cupe del solito, l'assenza di suoni un pugno nello stomaco che gli dava la nausea, il tanfo di chiuso una colla nei polmoni già pieni di catrame per le troppe sigarette di contrabbando.
Avanzò nel corridoio, lasciando le scarpe all'ingresso, come se così facendo potesse preservare il lucido inesistente del pavimento, appendendo il chiodo rattoppato al gancio sbilenco sulla sinistra. Andò a lavarsi le mani, strofinandole con energia per rimuovere lo sporco della serata: residui di droga, i germi delle banconote luride, il sangue di quel tossico che aveva allungato un dito di troppo e aveva mangiato la suola dei suoi anfibi, decorando il marciapiede con i pochi denti gialli e scheggiati che gli erano rimasti prima di toccare l'uomo sbagliato. Forse poteva andarci più piano, considerando quanto fosse scheletrico a causa della dipendenza e dell'evidente malnutrizione che lo affliggeva, ma non aveva pensato a nessuna di queste cose nel tirargli il primo dei tanti colpi con cui aveva sfogato la propria rabbia repressa.
Era passata una settimana da quando l'aveva scampata nel territorio del Guercio. Da quando un demone lo aveva salvato. Da quando Eren era sparito, veloce tanto quanto era comparso.
L'acqua scorreva, trascinando con sé sudiciume e bolle di sapone che si perdevano in un turbine gorgogliante sul fondo del lavabo.
Non riusciva a smettere di pensare ai brividi sinistri che aveva sentito lungo la schiena quando quelle pepite d'oro, incastonate nell'onice, gli erano scivolate addosso con la stessa bramosia di un affamato: Eren lo desiderava, anelava il suo corpo e ciò che rappresentava per lui, qualunque cosa fosse. Se la barriera non lo avesse protetto, a quell'ora Levi si sarebbe trovato tra le sue grinfie e non era affatto sicuro che ne sarebbe uscito tutto intero.
Cos'aveva lui di così importante da spingere un essere simile – longevo, potente, letale – ad abbandonare le viscere della terra per proteggerlo? Era ovvio che gli servisse vivo e vegeto, ma soprattutto che fosse consenziente; come se farsi scopare a sangue da un demone rientrasse nelle favole da "Le mille e una notte"...!
Il volto di Eren, il suo sorriso beffardo, le sue mani grandi e quelle labbra all'apparenza morbide e seducenti fecero capolino nel suo cervello provato dalle poche ore di sonno, scatenando una reazione fisica inaspettata e di cui non voleva occuparsi. Ripensò a quel tipo disgustoso, certo che il suo volto tumefatto e insanguinato avrebbe funzionato meglio di una doccia ghiacciata.
Con sua somma sorpresa, invece, ottenne l'effetto opposto.
Vide con chiarezza le dita di Eren stringersi intorno al collo sottile dell'uomo – colpevole di aver bramato ciò che gli apparteneva di diritto –, così forte che lo schiocco che seguì, rimbombandogli nelle orecchie e nella testa, fu inevitabile come il sorgere del sole. Il figlio di Babele lo osservava con la lussuria dipinta negli occhi: due affreschi dalle tinte ipnotiche, intimidatorie e ammalianti insieme.
Levi sentì il calore risalire il petto, le spalle, le guance e irradiarsi giù nel basso ventre dove l'accenno di gonfiore, invece di sparire, divenne impossibile da ignorare. Non era stato il macabro scenario ad averlo eccitato, bensì il pensiero che quello avrebbe potuto essere solo uno degli infiniti cadaveri che Eren si sarebbe lasciato più che volentieri alle spalle, se fossero serviti a reclamarlo per sé. Avrebbe smembrato un intero esercito e non gli sarebbe costato niente. Oltre al bisogno di possesso, però, sapeva che non vi sarebbe mai stato alcun sentimento che non fosse l'avidità a muovere il demone, e questo bastò a far scemare il folle bollore che gli era serpeggiato impazzito sottopelle. Possibile che fosse… deluso?
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Devilish Sin
FanfictionLevi ha sempre vissuto camminando sul filo del rasoio, eternamente in bilico tra giusto e sbagliato. Si guadagna di che mangiare nell'unico modo che conosce, l'illecito, e quando la sua audacia sta per costargli la vita accade l'impossibile: un ess...