Sunshine - Elisa Olivieri

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Sunshine - Elisa

Tutto prendeva luce da lei: era lei il sorriso che illuminava tutto, d’ogni intorno. […]
Scese, evitando di guardarla a lungo, come si fa col sole, ma vedeva lei, come si vede il sole, anche senza guardare.
~ Anna Karenina, Lev Tolstoj

 
Quando mi sono sposata, ormai poco più di trent’anni fa, non avrei mai immaginato che la mia vita avrebbe preso questa piega.

Da ragazzina, come tutte le mie amiche d’altronde, sognavo di incontrare il principe azzurro, quell’uomo perfetto che avrei poi un giorno sposato, con tanto di matrimonio in grande stile e col quale avrei formato una famiglia e vissuto una vita lunga e felice. Immaginavo nel mio futuro anche un lavoro che mi desse soddisfazioni e mi rendesse libera di essere me stessa.

Alcune di queste cose le ho avute, altre no, e non sempre per scelta.

Il principe azzurro però l’ho trovato - il mio amato Carlo lo era. L’amore di scuola, quello conosciuto tra i banchi, quello che nessuno si aspetta diventi poi l’amore di una vita intera, e invece…
Una volta finito entrambi il liceo, Carlo aveva iniziato a lavorare, con lo scopo di mettere da parte i soldi che ci sarebbero serviti con tutta calma per sposarci, non appena io avessi terminato gli studi, giacché avevo deciso di intraprendere la facoltà di giurisprudenza.
Volevo fare l’avvocato, era il mio sogno sin da bambina, e lui mi appoggiava. Credeva sarei diventata un'ottima donna di legge, per via del mio carattere forte e deciso.
La gravidanza era stata un ‘imprevisto' lungo il cammino.
E si sa, trent’anni fa le cose erano diverse. Certo, non stiamo parlando del Medioevo, ma la gente non esitava a spettegolare non appena scopriva di figli fuori dal matrimonio, un’onta per la società di allora, e la notizia della mia gravidanza non era ovviamente passata inosservata al gossip cittadino.
Carlo non aveva esitato, però, e si era rimboccato le maniche per poter dare una casa alla nostra bambina in arrivo e affrettato i tempi per sposarmi prima della sua nascita.
Inutile sottolineare che non avevamo una lira, anzi. Tra le spese per i miei studi e lui alla ricerca della sua vera strada lavorativa, i soldi a malapena bastavano.

Ci sposammo in fretta, o perlomeno più in fretta che potevamo. Alla festa c’erano giusto i nostri familiari più stretti e i testimoni. Perfino gli abiti li avevamo in prestito, perché non potevamo permetterci spese superflue con una neonata in arrivo. Il mio me lo aveva gentilmente prestato una mia amica, mi cadeva largo nonostante io fossi già oltre il sesto mese. Ma non mi importava, in quel momento, l’aver dovuto rinunciare al matrimonio da favola che avevo sempre sognato, alla Rolls Royce bianca, ai mille invitati e all’abito bianco, unico e fatto solo per me, che ogni bambina sogna fin da piccola.
C’era l’amore, e tanto bastava.

Dopo il matrimonio lasciai l’università nonostante mi mancassero ormai pochi esami alla laurea, ma quelle spese erano improponibili con l’ormai prossimo arrivo della mia bambina. Senza contare le eventuali voci di paese che avrebbero trovato un altro modo di alimentare il chiacchiericcio sulla mia famiglia, sul come potessi perdere tempo sui libri con una bambina piccola da crescere. Come ho già detto, erano altri tempi.
Ma tutte quelle rinunce non mi pesarono, quando dopo il parto strinsi per la prima volta tra le braccia Chiara. Tutto in quell’istante passò in secondo piano.
Carlo ed io eravamo felicissimi.
Ci ripromettemmo di darle tutto il possibile, e quando sarebbe stata abbastanza grande io avrei avuto modo e tempo di riprendere gli studi e compiere il mio sogno, se lo avessi voluto.
Non avevamo in programma di avere altri figli a breve.

Ma la vita decide da sé, ha spesso altri piani che non tengono quasi mai conto dei tuoi, e pochi mesi dopo la nascita di Chiara, scoprii di essere nuovamente incinta.
Stringemmo i denti un’altra volta, cos’altro potevamo fare?
Di fronte alla seconda gravidanza, chiusi definitivamente il cassetto dei sogni, calandomi completamente nel ruolo di mamma a tempo pieno. Quando è nata Anna, mi sono detta che era giusto così.
Avevo rinunciato ai miei sogni, ma i loro sorrisi e il loro amore valevano di più. Le loro manine attorno alle mie dita quando le cullavo per metterle a dormire, mi ripagavano della decisione presa. Allo stesso tempo, però, non volevo che i miei sacrifici fossero vani. E nemmeno Carlo lo voleva.
Fu chiaro a entrambi che era necessario da allora in poi fare tutto il possibile affinché le nostre figlie potessero realizzare i loro di sogni, affinché potessero raggiungere tutto ciò che volevano nella loro vita, senza i vincoli che erano toccati a me.
E allo stesso tempo sapevo anche che Carlo non mi avrebbe impedito, più avanti, di riaprire il cassetto dei sogni, se lo avessi desiderato. Anzi, mi incoraggiò più volte a ricominciare a studiare, quando le bambine si fecero più grandi, ma io ormai avevo fatto la mia scelta. E il sogno di vedermi con la toga è rimasto tale.

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