Capitolo 3

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Un brivido.
Fu esattamente quello a svegliarmi.
Un dannato brivido che percorreva ogni centimetro del mio corpo.
Un brivido che risvegliò il dolore che il mio corpo provava.

Cercai di stiracchiarmi e ricordare cosa fosse accaduto, ma i miei muscoli non aveva dimenticato nulla.
Il mio torace bruciava ancora, il mio collo si era gonfiato così tanto che non riuscivo nemmeno a deglutire e i miei polsi avevano dei segni evidenti. Erano rossi ed erano esattamente come le mie nocche.

Con tutto quel cercare di lottare e resistere, non mi ero accorto di quanto stesse lesionando la mia pelle.

Una lacrima rigò il mio viso al ricordo di quello che era accaduto la sera prima. Perché questo significava che non ero salvo come speravo. Ogni speranza era morta ieri.

Faticando, mi misi seduto e mi guardai intorno, come se cercassi una qualsiasi cosa per dimostrare a me stesso che mi sbagliavo a perdere le speranze e soprattutto che questa notte avevo fatto realmente il possibile per liberarmi di quel mostro.

La finestra era ancora aperta, così decisi di alzarmi e avvicinarmi ad essa.
Guardai fuori, cercando di capire come avesse fatto a scendere per di lì e proprio quando mi arresi dal volerlo comprendere, ebbi l'illuminazione.

Parkour? Dopotutto, sotto la mia finestra c'è un piccolo balconcino del piano rialzato. Era facile salire per di lì. Il muro aveva dei ganci per appendere delle decorazioni come, ad esempio, dei vasi. A mia madre piaceva decorare anche l'esterno della nostra casa.
Era particolare.

Sorrisi al suo pensiero, ma tornai serio sentendo una fitta alla gola.

Mi girai, dando le spalle agli infissi. Scrutai attentamente ogni millimetro della stanza. Non so il motivo, ma una parte di me aveva il timore che avesse installato delle telecamere e proprio per ciò frugai ovunque disperatamente e ossessivamente.
Mi calmai solo quando riuscì a convincermi che non ci fosse nulla. Né telecamere, né microfoni.

Il mio sguardo, però, cadde a terra. Su un piccolo pezzo di carta stropicciato.

Inizialmente indietreggiai spaventato, ma mi ripresi un attimo dopo. Nonostante avessi un leggero tremore, sospirai per quel poco che riuscivo. Scrollai le spalle, per eliminare la tensione e mi avvicinai lentamente.
Alla fine era solo un biglietto, se pur stropicciato. Era innocuo.

Lo presi tentennando per qualche secondo e cercando di non deglutire troppo forte per l'ansia improvvisa, lo aprì e lo lessi.
Mi bloccai. Sentì il mio sangue congelarsi per qualche istante e iniziai a pensare di essere spacciato. Se prima provavo a convincermi di non dover perdere le speranze e probabilmente avevo anche trovato qualche motivo, adesso le avevo perse del tutto.

"Ti vengo a prendere ragazzino.
K.L."

Queste erano le parole scritte all'interno di quel pezzo di carta e per la seconda volta, un'altra lacrima rigò velocemente il viso visibilmente provato.
Se non ero morto ieri sera, sarò morto domani o oggi e se non morirò in questi giorni, morirò per l'inferno che probabilmente vivrò.

Piegai quel pezzo di carta e lo appoggiai sulla scrivania. Guardai il mio armadio e con uno scatto veloce lo aprì, prendendo immediatamente le prime cose che capitavano. Mi vestì velocemente e ripresi il biglietto, fregandomene delle fitte che mi ricordavano il mio stato.

Corsi fino all'ospedale dove c'era la nonna, perché quella mattina avrei saltato gli allenamenti a causa degli avvenimenti accaduti in queste ore e credo che sia anche comprensibile.
Volevo passare del tempo coi miei genitori, fargli vedere il biglietto e non farli preoccupare più del dovuto, anche se era quasi impossibile.

Sapevo perfettamente che sarebbero impazziti se fossi scomparso senza un motivo, a loro, apparente. Almeno, così, sapevano cosa mi era capitato.

Entrato nella struttura ospedaliera, cercai i miei genitori al solito piano dove collocavano mia nonna e fortunatamente li trovai nello stesso punto in cui ci mettevano sempre.
Quando mi videro non potei non scoppiare a piangere.
I loro volti erano un misto tra la preoccupazione e il voler rompere qualcosa.

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