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telephone number ; junko ohashi
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«Un cetriolo di mare, un cetriolo di mare! Gojō guarda qua, guarda che schifo!»

Una risata fragorosa si levò dalla spuma del mare.

«Oh Dio è orrendo, dammi qua! Che schifo schifo schifo, è così molle!»

Erano giunti alla spiaggia di Okinawa appena mezz'ora prima, ma non c'era stato verso di trattenerli: Satoru e Riko già si erano messi a inseguire paguri e a tormentare ogni povero cetriolo di mare che trovavano sul fondale, e in quel breve lasso di tempo avevano trovato il modo di perdere l'unico boccaglio che si erano portati dietro. Poco importava quanto Suguru cercasse di mantenere un'espressione neutrale: nel vedere Riko divertirsi così tanto per quella che doveva essere la prima volta che si tuffava nell'oceano - e nel vedere Satoru che assecondava ogni sua richiesta perché fisicamente incapace di dirle di no, e che anzi sembrava godersi la giornata ancor più di lei -, un morbido e genuino sorriso gli fece capolino sulle labbra, rischiarando i suoi lineamenti tesi.

Doveva essere lo stesso anche per Kuroi, si disse, quando si voltò per chiedere la crema solare alla donna che aveva organizzato l'intera gita. Appariva così serena; come se ogni preoccupazione che con insistenza le aveva martellato sulla tempia durante il viaggio in aereo si fosse dissolta assieme al dileguarsi delle nuvole.

«Satoru, Riko, venite pure voi a mettervi la protezione solare!» li richiamò il ragazzo, facendo non poca fatica a causa dell'elastico nero che teneva tra i denti. Con gesti meccanici si legò i lunghi capelli in una crocchia ordinata, agitando poi il tubetto di crema solare in direzione degli altri due adolescenti. «Non vorrete mica diventare del tofu arrostito?»

«Non voglio! No!» Nonostante la negazione, Riko continuò a cercare la conchiglia che diceva di aver visto in sogno - "Era uno di quei coni a spirale, di quelli che senti le onde del mare se li tieni vicino all'orecchio! Ed era azzurro, quindi lo voglio azzurro!"

«Satoru...»

«Vieni a prenderci, Suguru! Tanto mica si scioglie in acqua, la crema solare,» e gli fece la linguaccia. Suguru, abituato alle bambinate del suo migliore amico, non si scompose e fece spallucce. Tanto già sapeva che non avrebbe moderato la forza del ceffone sulla schiena di Satoru, il giorno seguente, non appena avesse osato lamentarsi della pelle che bruciava e cadeva a pezzi. D'altro canto, era pieno luglio.

Suguru non riuscì a concentrarsi molto sul libro che si era portato dietro, però. Ignorare i semi d'anguria che casualmente si ritrovava nei capelli - per inciso, già immaginava che fossero Satoru e Riko a sputaglieli addosso; non era difficile da intuire - si stava rivelando un'impresa più ardua del previsto, stando ai suoi nervi. Gli ci volle poco per mollare sotto l'ombrellone la lettura de "Il violoncellista Gōshu" e rincorrere gli altri due in acqua con il solo scopo di tirar loro i capelli e dare ad entrambi una bella strigliata.

«Idiota, ti ho preso!» Ficcare sotto le increspature dell'oceano la testa di Satoru non avrebbe dovuto essere così divertente, così come non avrebbe dovuto essere così divertente guardarlo sputacchiare l'acqua salata che aveva bevuto per sbaglio. La linguaccia che ricevette in risposta doveva essere la terza, forse la quarta, della giornata. Già che c'era, profittò del momento per caricarsi Riko sulle spalle e lanciarla all'indietro - con del preavviso, ovviamente! di qualche secondo -, per poi vederla riemergere con una miriade di bolle a segnalare la sua presenza. Quelle bolle scoppiarono sulla superficie in un'altra risata cristallina, e oh quanto era piacevole vedere i suoi amici divertirsi con così poco, con la salsedine sulle sopracciglia e le guance arrossate dal sole. Satoru e Suguru si dissero che fermarsi un giorno in più non sarebbe stata la fine del mondo, e non ebbero nemmeno bisogno di esprimere quelle parole a voce alta. Fu sufficiente uno scambio di sguardi accompagnato da un'occhiata a Riko, che sorrideva più radiosa del Sole.

Il gelato artigianale che Kuroi aveva preparato a casa con le sue stesse mani aveva un gusto fruttato: sapeva di arancia, di brezza estiva e di spighe di riso. Perfetto, se accostato ai tatuaggi all'henna, ai costumi a righe blu e bianche e alle magliette con la stampa "i ♡ okinawa".

«Dopo andiamo all'acquario? Vi prego, voglio vedere la flora oceanica e poi Jinta lo squalo balena e anche tutti i pesci colorati che ci sono - quelli blu e gialli a macchie, come si chiamano?»

«I pesci chirurghi o i pesci farfalla?»

«Quelli belli.»

«Sono tutti belli, dopo ci andiamo! Io voglio vedere i coralli. E toccare le stelle marine. Oh, chissà se sono molli come i cetrioli di mare!»

E fu così che Suguru, quella sera, si ritrovò davanti al famoso mare di Kuroshio ad ammirare miriadi di creature marine nuotargli davanti agli occhi. La danza psichedelica dei loro colori, immersa in un corridoio buio illuminato solo parzialmente dalle luci soffuse situate per terra, faceva compagnia alla figura di Satoru che lo abbracciava da dietro, mento poggiato sulla sua spalla. I cristalli blu dei suoi occhi gareggiavano contro le squame dei pesci chirurghi e dei pesci farfalla, in una competizione per contendersi la sua attenzione.

Gli venne naturale, rilassarsi sotto al tocco dell'altro ragazzo. Suguru ebbe l'impressione di poterci naufragare dentro, in quel neroblu abissale. Suguru ebbe anche l'impressione che gli sarebbe parso più dolce d'una carezza, ma gli fu impossibile dispiacersene.

TIME WILL TELL, satosuguDove le storie prendono vita. Scoprilo ora