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midnight cruisin' - Kingo Hamada
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«Suguru Suguru Suguru muoviti! Qua!»

Sopracitato Suguru chiese educatamente scusa a ogni passante a cui, nolente, dette spallate e spintoni. Satoru lo stava trascinando per il polso in mezzo alla zona più affollata della piazza, situata tra Chiyoda e Shinjuku, per dirigersi verso chissà quale stand che aveva adocchiato da lontano. Note di musica tradizionale miscelate con i rumori della città notturna rimbombavano nelle sue orecchie, rendendo difficile discernere le parole che Satoru gridava per farsi sentire. Suguru riuscì a distinguere soltanto i termini "pesce" e "sesamo".

Luminarie gialle e arancioni illuminavano il quartiere con sottotoni soffusi: il Bon Odori era sempre atteso con impazienza da tutti gli abitanti della città, che non vedevano l'ora di celebrare l'Obon e dedicarsi ad amici e famiglia, e di conseguenza era uno dei festival più popolari dell'anno. E, si sa, più un festival è popolare, più è ricolmo di gente.

«Guarda quel pesce, ha le squame nere e dorate, come il sesamo! Voglio prenderlo e chiamarlo Goma.»

Finalmente in grado di recepire il messaggio che il suo amico aveva ripetuto perché prima non aveva ricevuto una risposta, Suguru voltò il collo verso un padiglione con al centro un grande acquario pieno di pesciolini. Riuscì a individuare quello di cui stava parlando Satoru solo quando glielo indicò con chiarezza.

"Come diavolo hai fatto a vedere quel pesce da laggiù, dove eravamo prima?", voleva chiedergli Suguru, ma sapeva sarebbe stato inutile. Satoru aveva una vista disumana e basta, senza motivazioni a giustificarla. Ricordandosi però anche dei contro che quel dono arrecava al suo migliore amico, si crucciò nel notare che non aveva i suoi soliti occhiali da sole tondi in testa.

«Hai lasciato gli occhiali all'istituto?»

Satoru, spiazzato dalla domanda improvvisa, si toccò il capo alla ricerca degli occhiali, senza trovare nulla. «Oh. Sì. Ma non fa nulla, per ora non mi fa male la testa. Pensiamo piuttosto a un modo per prendere Goma, ché se qualche bambino ce lo soffia via io non posso rubarglielo. O forse sì?»

«Non l'hai ancora vinto e già gli hai dato un nome,» con un sospiro, Suguru si disse che, dopo aver preso Goma, sarebbero andati in un posto più tranquillo. Con meno luci artificiali e colori troppo vividi. Il Nihonbashi faceva al caso loro: al buio, con le luci delle lanterne dell'Obon come unica illuminazione limitrofa e una pausa dal chiasso del centro quartiere, il fiume era il posto perfetto per non forzare troppo gli occhi di Satoru.

«Centotrenta yen a corsa. Avete due minuti per vincere un pesce rosso,» stava spiegando il proprietario dello stand a un gruppo di bambini. Satoru, ovviamente, li aveva già raggiunti e dopo aver mollato gli yen nella mano del proprietario, prese una paletta dal manico lungo e si mise a inseguire Goma con lo sguardo. Suguru non poté che guardarlo divertito quando, per la terza volta, il pesce prescelto saltò via dalla superficie dell'utensile.

«Su-gu-ru! Non stare là impalato a sfottermi, aiutami!»

Con una risata, il diretto interessato pagò il suo turno e dopo aver sfilato di mano la paletta al ragazzo dai capelli bianchi, impiegò appena una trentina di secondi per catturare Goma. Mise il pesce nel rispettivo sacchetto e lo consegnò a Satoru, la sua espressione arrogante in contrasto con lo sguardo allibito dell'altro. «Devi livellare la carta con l'acqua e tirare su in fretta, prima che altri pesci ci salgano sopra,» fece spallucce, «l'ho sentito dire in qualche vecchio canale tv, tempo fa.»

E prima che Satoru potesse ribattere, aggiunse: «Se avessi scelto un pesce qualsiasi tra le centinaia che stavano nell'acquario, sarebbe stato più semplice.»

«Io non mi accontento.»

«Certo. Vieni, adesso faccio strada io.»

«Ohhh, dove mi porti?»

«Lanterne di carta. Nihonbashi.»

Ti era mancato scrivere i tuoi desideri sulle lanterne dorate, eh, Suguru? La strada non era lunga, ma c'era un che di pacifico nel trascorrere il tempo in silenzio accanto a Satoru, quest'ultimo a canticchiare una canzone che quel pomeriggio aveva ascoltato in loop senza sosta - l'ennesima hit city pop che accompagnava le loro giornate. A Suguru il city pop non aveva mai fatto impazzire, ma di recente aveva scoperto che non gli dispiaceva affatto avere come colonna sonora pomeridiana le playlist dell'IPod del suo migliore amico.

Il caos della capitale non si attutì di molto, ma scemò notevolmente lo stress visivo e auditivo una volta che arrivarono al fiume. La coda sembrava non finire mai - anche se, rispetto alla coltre di figure indistinte che si ammassavano nei punti di maggiore interesse, era molto più semplice da sopportare.

Con un movimento più automatico che volontario, Suguru si portò una mano al polso alla ricerca del suo elastico nero, senza trovare però nulla. Alcune ciocche gli si erano attaccate alla nuca a causa del sudore, e dovette ignorare il fastidio. Aveva dimenticato d'averlo lasciato a scuola, l'elastico, sotto insistenza di Satoru di lasciare i capelli sciolti, quella sera - "Perché portare i capelli lunghi e legarli sempre? Sono ancora più belli quando li tieni sciolti".

Per fortuna, almeno i loro yukata erano più leggeri di altri che avevano visto in giro. Quello di Satoru era semplice, nero con l'obi blu scuro, e gli calzava giusto di spalle, anche un po' corto. Suguru, invece, ne portava uno a strisce verticali, grigio e blu, legato dall'obi nero. Gli andava leggermente largo, comprato un paio di anni prima pensando che "tanto poi cresco, e quelle due taglie in più le riempirò". Non le riempì, ma non gli dava fastidio. Aveva una preferenza per i capi larghi rispetto a quelli su misura.

«Guarda i capelli di quel tipo, con tutto quel gel sembrano una leccata di mucca.»

«Satoru, abbassa la voce. Non è il caso di dire 'ste cose.»

«E quella tizia laggiù? Perché ha la frangia così corta oddio-»

«E non indicare!»

Quando si fece il loro turno, insieme si diressero verso il portico per comprare una lanterna ciascuno e scrivervi sopra il desiderio che avrebbero rivolto alla Fortuna. La carta era sottile, semitrasparente, e la piccola candela al suo interno - ancora da accendere - ricoperta di una campanella protettiva per non incendiare il materiale. Prima di scrivere le brevi parole che già aveva in mente, Suguru lanciò un'occhiata a Satoru e notò che l'altro lo stava già guardando. La sua espressione generalmente giocosa aveva lasciato spazio ad una più seria, assorta e attenta. A Suguru parve quasi di sentire il cielo dei suoi occhi marchiargli la pelle in modo permanente, e si ritrovò a pensare che la cicatrice a forma di stella che sarebbe rimasta non gli avrebbe dato alcun fastidio.

A te il city pop non aveva mai fatto impazzire, Suguru, ché tu hai gusti più raffinati. Eppure, il desiderio espresso sulla tua lanterna mi suggerì che Kingo Hamada ti piacesse più di quanto tu non volessi ammettere.

TIME WILL TELL, satosuguDove le storie prendono vita. Scoprilo ora