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time will tell - Hikaru Utada
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"Una scappatella dalla scuola non sarà mica la fine del mondo," si erano detti, "basterà rientrare prima di domani mattina, ché se Yaga ci becca poi ci tocca la ramanzina". E no, Suguru, in quel caso vi sareste beccati la ramanzina - tutti e due, non solo Satoru. Per sfortuna d'esistere era sempre l'albino a vedersi addossata la colpa, colpa che Suguru liquidava con una scrollata delle spalle perché tanto era Satoru lo studente anticonformista e lui quello diligente ed era ovvio che, tra i due, Yaga si fidava più di del secondo. Però era stata stata sua l'idea, quella sera, di aspettare il coprifuoco per sgattaiolare fuori dalla struttura, e anche nel caso li avessero beccati Suguru non riusciva a trovare un millimetro di se stesso a cui sarebbe importato. La Via Lattea si vedeva troppo bene per pensare al mattino successivo.

Gli steli d'erba oscillavano silenziosamente nel buio, il fruscio delle foglie degli alberi l'unico suono a tener loro compagnia oltre all'unisono dei loro respiri che s'affiancavano.

È che ci teneva così tanto, Suguru, a fargli vedere le stelle. Satoru era nato in centro città, lontano dalle campagne e dalla natura, e cresciuto in una famiglia oppressiva che mirava soltanto a crescere una bambola scultorea e delicata, perfetta da esporre in una cristalleria, senza badare minimamente alla controparte umana. Fu inevitabile l'abbandono del suo clan non appena raggiunse la maggiore età, così come fu inevitabile che poche furono le volte in cui ebbe l'occasione di ammirare gli astri, vuoto di ogni pensiero.

Quella notte particolare vedeva protagonista un cielo limpido come uno specchio appena pulito, ricco di sorrisi galleggianti. Dava l'impressione di poter saltare da una stella all'altra con pochi, piccoli balzi.

«Dove stiamo andando?»

«Sulla collina, nel punto panoramico. Hai presente il parco dietro la scuola? Là vicino, ma più sotto.» Suguru indicò la via che, attraverso il parco, conduceva al punto panoramico di cui stava parlando. «Stanotte c'è anche poco movimento, quindi si sta bene.»

Satoru annuì, mani in tasca e mento rivolto verso il telo senza nuvole. La Luna osservò i due ragazzi con aria pensosa. Se lei avesse avuto fattezze umane, Satoru era certo che avrebbe tenuto le braccia conserte sul petto, palpebre socchiuse e naso che pizzicava. Un piccolo sospiro sarebbe sbuffato dalle sue labbra.

Non impiegarono molto tempo per arrivare a destinazione. Dopotutto, entrambi avevano percorso quella stessa strada infinite volte per occupare le altalene arrugginite che li aspettavano, nei pomeriggi più assuefatti dalla noia. Che se non fosse stato per Suguru, Satoru sarebbe rimasto sulla giostra ogni singola volta fino a tarda ora per soffiare il posto a un povero bambino che voleva giocare; per il solo gusto di avere la meglio su di lui. Non che Suguru non trovasse quelle scene divertenti: preferiva, tuttavia, risparmiarsi un pianto disperato a riecheggiargli nelle orecchie per ore intere, e un genitore irato che inveiva contro il suo amico perché "cosa ci faceva là un adolescente come lui, mica era un bambino".

Comunque fosse, in quel momento era notte inoltrata, e di bambini capricciosi e di genitori stanchi non si vedeva neanche l'ombra. Solo delle campanelle di sottofondo, canti dei grilli e lampioni malfunzionanti. Un gatto dal pelo tigrato passò accanto a loro, accucciandosi sul prato. L'insegna di un ristorante si spense, lasciando spazio alla Luna e alle stelle d'illuminare per intero le loro figure. E d'un tratto è come se fossero tornati a quella gita in montagna, a Chikimori: la Via Lattea si diradava nelle iridi di Satoru come la nebbia alla fine di un temporale, facendosi meno fitta ed evidenziando ogni goccia di vapore rimasta, e così facevano le volte celesti.

«La Luna è bellissima stasera, non trovi?»

Satoru si voltò verso Suguru, senza rivolgere alla Luna un secondo sguardo. «Già, è davvero meravigliosa.»

I loro nasi si sfiorarono. La Luna sorrise. Si stava proprio bene.

TIME WILL TELL, satosuguDove le storie prendono vita. Scoprilo ora