Il ballo dei narcisi

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 La stanza venne inondata da una luce gialla. Come in un caleidoscopio, i colori stavano cambiando. "Chi sei?" Voleva chiederlo di nuovo, ma aveva le labbra sigillate. Avvertì un movimento d'aria impercettibile. La figura si era spostata di lato, si vedeva la mano non più scheletrica, ma di un bel colorito roseo.

Trattenne il fiato, quando questa avvicinò la mano al cappuccio e lo tirò giù in modo secco.

Non è possibile, pensò.

Due occhi neri come il carbone lo stavano fissando. Un volto ovale, aggraziato, le labbra carnose, i lineamenti armoniosi, il mento volitivo.

«Eleonora!» gridò. «Ma, allora».

Lei gli fece cenno di fare silenzio.

Fece per correre verso di lei.

«Fermo!» gli intimò. «Non ti avvicinare.»

«Ma, non capisco. Cosa sta succedendo?»

«Non è tutto come sembra», rispose lei.

La luce gialla si stava intensificando.

«Ricordi, il ballo dei narcisi?» gli chiese.

Il giallo era onnipresente in quella festa del loro borgo, dedicata allo splendido fiore, che regalava fioriture spettacolari nel periodo estivo. Gli parve anche di sentirne l'odore e le sue narici si riempirono di quella fragranza così conturbante.

Si erano conosciuti in quell'occasione, lui ed Eleonora. Lei gli era apparsa come una creatura ultraterrena. Era leggiadra come una farfalla e il suo vestito giallo, come quello dei narcisi.

I loro occhi si erano incatenati in un gioco di sguardi, verde contro marrone scuro, guizzi di luce, ammiccamenti, inviti.

Eleonora emanava un odore di fragranze che gli davano alla testa. Quando le si era avvicinata, aveva sentito il suo cuore battere furiosamente e lei, indovinando i suoi pensieri, gli aveva preso la mano e l'aveva condotta verso il suo petto, per fargli sentire che anche il suo cuore era impazzito.

Erano fuggiti mano nella mano, mentre i campi di narcisi sfolgoravano alla luce del tramonto. Quando Eleonora era stata abbastanza sicura di essere al riparo dagli sguardi altrui, aveva aperto le braccia e si era lasciata scivolare sopra al tappeto verde di erba.

«Adoro tutto questo!» aveva detto con espressione soddisfatta. Aveva le guance rosse per lo sforzo della corsa ed era ancora più bella.

Il desiderio di baciarla era diventato impellente. Si era seduto vicino a lei, le aveva preso il mento tra le dita.

«Sai, è da molto tempo che ti osservo. Vengo sempre al porto», gli confessò lei con un sorriso malizioso, arrossendo.

Aveva pensato che quel rossore intorno alle sue guance fosse la cosa più bella che avesse mai visto.

Avrebbe voluto farla sua in quel campo, in mezzo ai narcisi e al loro profumo, mentre intorno a loro il sole stava irradiando la terra con i suoi ultimi raggi, mentre alle orecchie arrivavano i rumori della festa: musica, risate.

Aveva poggiato le labbra sulle sue, assaggiato il suo sapore, un aroma di vaniglia e pesca, se ne era impossessato, fino a farle dischiudere. Fu un bacio che sbocciò come un fiore selvaggio.

A quel ricordo la luce gialla sembrò aumentare d'intensità.

«Il narciso è un fiore che simboleggia l'incapacità di amare. È legato al mito di Narciso, che morì annegato, dopo essersi specchiato nelle acque del lago ed essersi innamorato di se stesso», disse la figura.

Eleonora era scomparsa.

Due penetranti occhi blu lo stavano osservando.

Due penetranti occhi blu lo stavano osservando

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L'aspetto ingannevole delle coseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora