Dopo qualche mese, la tensione e l'odio che ci aveva fatti incontrare si erano tramutati radicalmente in un'amicizia platonica, noi del gruppo eravamo come fratello e sorella gli uni con gli altri. Non ci importava di nulla se non della musica, del fumo e dei sogni ed erano proprio queste cose che ci avevano portato a questo tipo di legame fraterno.
Vivevamo più la notte che il giorno. Tutta la giornata stavamo ad aspettare il momento più eccitante ovvero le otto di sera, per il gusto di girare fra i locali e suonare. Ci dirigevamo in stazione e nell'attesa del arrivo del treno parlavamo per ore in uno di quei bagni, mentre fumavamo hashish girandoci il tubo del narghilè, facendo ognuno un tiro. Ricordo il giorno in cui per la prima volta ci hanno chiamati per suonare roba progressive in un club giovanile. Stavamo per fare seratona. Sara aveva impiegato ore per scegliere i nostri abbigliamenti fra tutte le sue cose e alla fine aveva optato per un vestitino dorato e con un'ampia scollatura sul seno per lei e uno di pizzo nero piuttosto trasparente per me. Devo ammettere che ci stavano proprio bene. Abbiamo poi raggiunto i ragazzi, che ci aspettavano fuori. Achille si era messo il gel ai capelli e portava una camicia completamente sbottonata: stava chiudendo il bagagliaio dell'auto. Marin aveva invece i capelli ossigenati e i jeans strappati, era senza maglietta e aspirava il fumo dalla sigaretta, appoggiandosi all'auto. Alla nostra vista sono rimasti letteralmente incantati. Non hanno fiatato per almeno cinque minuti. "Vedi, i miei sforzi sono serviti a qualcosa" ha enunciato Sara con sfarzo. Poi Achille ha strappato il silenzio esclamando: "ragazze, siete stupende!". Poi siamo entrati in macchina. La cabrio aveva i sedili rivestiti in pelle nera, Achille e Sara si sono entrambi seduti nei posti inferiori e quasi facendolo apposta io sono stata costretta a sedermi a fianco a Marin. Ora eravamo definitivamente partiti. Da dietro si sentivano urla di gioia e adrenalina.
Nel caos Marin ha sussurrato:
"sei viziata piccolina eh".
"nah, sei tu che guardi"
"beh, non ti saresti vestita così se non volessi che io ti guardassi"
"hai ragione, ma cosa ti fa pensare che voglio essere guardata da te"
"dal modo in cui tu mi guardi"
"ah e per curiosità in che modo ti guardo?"
"nel modo in cui si guarda qualcuno che si ama"
....
Il tragitto era abbastanza lungo per dove abitavano noi, da San Basilio a Roma centro siamo andati in macchina e poi in treno, ma per la sua partenza mancavano ancora più di venti minuti. Così Marin ha cacciato dell'hashish dalla tasca dei suoi pantaloni, facendola dondolare come fossero diamanti e ci siamo recati subito nei bagni, correndo. Loro erano abituati all'hashish, ne facevano uso da due o tre mesi qui avanti, mentre io no. Non sapevo neanche cosa ci si dovesse fare con quella roba. I bagni erano sporchi e quasi del tutto vuoti, noi siamo entrati nell'ultimo in fondo. Così mi sono limitata ad osservare gli altri per farmi trovare preparata quando sarebbe arrivato il mio turno. Ognuno di loro piegava la testa all'indietro e teneva il tubo in alto. Ha iniziato Marin, poi ha passato il tubo ad Achille e infine a Sara, la penultima del semicerchio che s'era creato, quando Sara ha finito, ha saltato il mio turno, ripassando il tubo a Marin e facendogli cenno di rimetterlo a posto. Senza neppure pensarci ho domandato irritata: "e io, vi siete dimenticati?"
"hai detto di non fumare, così non te l'abbiamo passato" ha azzardato Achille.
"si, ma faccio parte anch'io del gruppo. E poi ho proprio voglia di fare un tiro." In realtà non avevo alcuna voglia, ma non volevo sentirmi esclusa.
"d'accordo, scusa, scusa" ha risposto Achille frettolosamente.
Marin mi ha passato il tubo e poi ho fatto un tiro in quel modo strano. Ma io non sentivo nulla. Assolutamente nulla. Ancora ignoravo che durante le prime tirate non si sente nulla, ma ho fatto finta di essere anch'io sul pezzo. Alla fine il treno è partito e noi siamo saliti.
...
Arrivati lì, eravamo tutti strafatti e scatenati da matti. Esteticamente, il nightclub era bello. Era tutto patinato e offuscato da una nebbia che era un adagio tra il look dei colori fluo, i glitter e le sospensioni psichedeliche. Era ricoperto da un'atmosfera, una nebbia, onirica e vellutata.
Ricordo che quando sono entrata mi sentivo in bilico tra il sogno e la realtà. C'era un atmosfera stupenda, anche se compensata da un enorme putrefazione, probabilmente dettata dall'ammasso di gente: i videoartisti, gli scrittori in erba, i fumettisti di turno, gli studenti universitari, i consumatori, quelli di sinistra, quelli di destra, i puttanieri e le ragazze nude.
Noi abbiamo incominciato a suonare abbastanza presto, verso le dieci della sera, ma devo ammettere che abbiamo proprio spaccato. Suonavamo come se fossimo presi da un orgasmo. I giovani che ballavano sembravano assorti da ogni turbamento. Era inebriante. Ancora non l'ho detto, ma durante le varie prove mi ero trovata proprio bene con i ragazzi, insieme eravamo perfetti. La chitarra di Marin, il basso di Sara, la batteria di Achille si fondevano magnificamente insieme alla mia voce e riuscivamo a creare scenari e atmosfere psichedeliche, al contempo insopportabilmente cupe e irresistibilmente intense. A me piaceva molto il gruppo anche perché apprezzavano i testi che scrivevo e il loro significato. Spesso mi dicevano che i miei testi erano poesia, altre volte invece che celavano le paure, le angosce e gli strazi dell'anima, ma io non facevo che rispondere "non posso evitare di sentire quello che sento". Abbiamo perciò deciso di chiamarlo phobia.
Appena abbiamo finito di suonare scendiamo dal palco e ci mischiamo tra il pubblico. Ci mettiamo a ballare anche noi e contemporaneamente sale un'altra band, che avrebbe finito a suonare alle tre di notte, ovvero all'ora di chiusura del night club. Erano abbastanza bravi. Si chiamavano i Twilight Overdose Fever.
Dopo poco mi sono accorta che Achille e un'altro ragazzo dai capelli rosa e alcuni piercing in viso, stavano ballando insieme. Sembravano davvero felici. In una decina di minuti si sono baciati e, con i corpi incollati fra loro e presi dall'impeto, sono andati in un luogo più appartato per scopare. Quel bacio era alquanto mesto, pareva un inno alla sconsolatezza, all'infelicità, all'afflizione. Ma ovviamente loro non assapororano nulla di tutto questo. Per loro era un bacio come tanti. Uno di quelli che si danno per noia, passività e delusione.
Quella sera non ho più visto Achille e ho perso Marin e Sara tra la folla.
Fra il pubblico era evidente che erano tutti fatti, molti anche sotto uso di acidi ed eroina. Questi mi affascinavano e al contempo inorridivano. Avevo terrore di loro ma allo stesso tempo li ammiravo. No so spiegarmi, ora come ora, il motivo o la causa di questa sorta di attrazione fra me e loro, ma era come se avevo sempre avuto le dosi in corpo, come se fosse stato per me un'ultimo passo da compiere per sprofondare nelle tenebre in cui ero quasi annegata. Che cosa cambiava? Meglio una fine prossima ma felice che una lontana ma nostalgica, o no? E così, pensavo, mentre le macchine si schiantavano, i clacson stridevano, la gente laterava, il cielo tuonava, il mondo fremeva e la luce scompariva; il buio mi avvolgeva.Persa fra i miei pensieri sono uscita dalla porta di sicurezza (lasciata ovviamente incustodita dai buttafuori) fuori dal night club e mi sono accasciata per terra di fianco ad un bidone verde della spazzatura, con la schiena al muro. Non mi sentivo bene. La testa mi pulsava e girava, tuttavia ho incominciato a bere una bottiglia di vino rosso da un litro e mezzo senza scrupoli. Dopo poco la bottiglia era vuota. Quella putrefazione che prima mi era sembrata magnifica, al contrario, in quel momento mi pareva nauseante: la gente sembrava ballare e esultare come i figli di importanti diplomatici in una piccola stanzetta che ti lasciava soffocare lentamente. Parevano solamente sagome puzzolenti, spoglie di vita e di orgoglio. Dai volumi dei cadaveri, pesanti, nauseanti, sconcertanti... Presto, ho sentito la porta dalla quale ero uscita sbattere. Era Marin. Sembrava molto preoccupato. Senza richiedere spiegazioni, mi ha sollevato fra le sue braccia nude e calde ed io, come una bambina, mi sono cullata al suo passo.
"Sei ubriaca"
"Noo, non sono ubriaca"
"Lo sai cosa mi fa incazzare? Il fatto che tu continui a fare le cose senza pensare e poi me le nascondi come se fossi un cretino. Se ti ubriachi, va bene, ti capisco, lo faccio anche io, ma non me lo devi nascondere."
Senza avere il tempo di rispondere, sono scesa dalle sue braccia e ho vomitato in strada.
Marin con una mano mi teneva i capelli, erano scuri, ondulati e morbidi e con l'altra stringeva la sua mano da orso alla mia più piccola, come per dire "non fa niente, adesso ti passa".
Più tardi ci siamo messi a camminare nel ciglio della strada uno al fianco dell'altro chiacchierando sulla musica.
Marin era interessato particolarmente alla musica grunge. Amava i Nirvana, i Melvins e i Mogway, ma ascoltava con enfasi tutta la musica rock dagli anni 60' ai 90'. Diceva che quella musica era l'essenza della sua vita e che gli corrodeva l'anima facendolo ardere incessantemente di quella rabbia che lui definiva sofferenza...eterna sofferenza.
Era notte. Ho iniziato a correre come una pazza, con i capelli al vento e lui ha fatto lo stesso. Diceva: "ora ti acchiappo! E quando ti prendo ti faccio saltare in aria e avrai paura di cadere!"
"non c'è la farai mai"
"e io invece ti dico di sì furbetta".
Mi rincorreva per le strade, in un modo infantile, primitivo, che equivaleva a quei momenti di gioia e di spensieratezza, che ad un certo punto della vita si trasformano in ricordi remoti. Ma a noi non importava, eravamo come delle piume che danzavano leggere nel fruscio del vento, lungo le larghe strade della nostra eterna Roma. Eravamo dei pazzi che parlavano a raffica, dei fuori di testa che non avevano paura di nulla, dei folli che volevano provare di tutto, dei matti che avevano voglia di innamorarsi... perché ad esempio, noi che cosa ne sapevamo di cosa fosse l'amore? Eppure avevamo un innato bisogno di farlo, fino alla noia, fino alla distruzione, fino alla morte.
Alla fine mi ha raggiunto. Eravamo arrivati esattamente al centro del ponte ed essendo stanchi di correre ci siamo fermati. Cominciavamo ad avere il fiato corto così respirammo e ispirammo e ancora, respirammo e ispirammo.
Di colpo Marin mi ha sollevata, sì l'ha fatto per davvero. Mi ha stretto dai fianchi facendomi roteare ancora e ancora, senza finire. Le mie gambe nude donolavano nell'aria e le mie braccia erano strette alla sua schiena. Non avevo paura perché ero certa che ci sarebbe stato lui con me e, anche se il nostro universo avrebbe potuto girare e girare noi non saremmo mai potuti cadere.Ad un tratto si è fermato facendomi scendere. Eravamo molto vicini. Riuscivo a sentire il suo respiro farsi pesante e il suo cuore battere all'impazzata disperdendo le pulsazioni in ogni millimetro del mio corpo.
Ci guardavamo così intensamente. I suoi occhi avevano il mare dentro. Erano infernali.
"Aria?"
"cosa c'è Marin"
Gemevo molto piano ma ero certa che avesse sentito anche quei suoni. Ad un tratto ha cinto le sue braccia alla mia vita. Avevamo i corpi appiccicati, sentivo ogni parte di lui come lui sentiva ogni parte di me. Delle gocce di sudore cadevano dal suo petto scultoreo. Lentamente il suo volto si è accostato al mio. E le sue labbra hanno sfiorato le mie. Confluendo come potenti raggi di sole in una tempesta accesa nel cielo. Il mondo si è capovolto.