Aprii gli occhi con il rumore ripetitivo dei colpi che venivano portati al sacco con una velocità e una precisione devastante. Lanciai un'occhiata alla radiosveglia sul ripiano della scrivania nello studio di Joshua e imprecai silenziosamente prima di lasciarmi ricadere nuovamente contro il materasso e affondare la testa sotto al cuscino. Fu tutto inutile dal momento che persino premendo la stoffa contro le orecchie continuavo a sentire quel maledetto casino che m'impediva di dormire decentemente per un'altra ora prima di trascinarmi a scuola. Così calciai via le lenzuola e mi trascinai nella zona principale della palestra giusto in tempo per assistere alla micidiale sequenza gancio – montante – high kick che investì il sacco facendo tremare paurosamente il gancio di supporto.
- Sapevo che avevi intenzione di fare dei lavori di ristrutturazione, ma non avevo idea che volessi cominciare demolendo il soffitto. –
Joshua si voltò verso di me, la fronte imperlata di sudore e i capelli brizzolati schiacciati sulle tempie.
- Non pensavo ti saresti alzato prima di un'altra ora. Il materasso era troppo scomodo? Mentre sei a scuola posso andare a prenderne uno nuovo, qualcosa che possa essere chiamato davvero letto. –
Scrollai le spalle, appoggiandomi alla parete e incrociando le braccia sotto al petto. La psicologa scolastica avrebbe detto che mi stavo chiudendo, ma sinceramente non me ne fregava nulla.
- Dopo tutti questi anni non sono nemmeno sicuro di ricordarmi come si fa a dormire su un letto vero. –
E poi Joshua aveva già fatto molto più di quello che spettasse a un allenatore. Mi ero presentato all'ingresso del piccolo monolocale a ridosso della palestra qualche minuto dopo la mezzanotte, tirandolo giù dal letto, con nient'altro che un borsone con l'attrezzatura e qualche vestito. Non aveva fatto domande, era stato sufficiente dare un'occhiata alle mie nocche ferite per capire che mi ero battuto. Mi aveva accolto senza la minima esitazione, assegnandomi una brandina e mettendo a disposizione il suo ufficio. Gli ero riconoscente come mai prima e quando avevo ricambiato il suo abbraccio era stato chiaro a entrambi.
- Te ne prenderò comunque uno nuovo. Hai tutto quello che ti serve o vuoi che faccia un salto a casa tua mentre sei a scuola? –
Il pensiero di Joshua faccia a faccia con il mio patrigno solleticava non poco la mia fantasia, ma sapevo fin troppo bene che se mai si fosse ritrovato davanti quello stronzo l'avrebbe fatto a pezzi e non volevo che si cacciasse nei guai ... non per me, non ne valevo la pena.
- Sto bene così. Vado a farmi una doccia ed esco prima che arrivino i ragazzi del corso delle sette – annunciai, puntando dritto verso gli spogliatoi maschili prima che Joshua potesse dire o fare qualcos'altro di cui sarei stato riconoscente in modo a dir poco imbarazzante.
Non volevo assolutamente correre il rischio di farmi vedere lì dentro dagli altri, sentire domande e illazioni o peggio ancora suscitare la pietà di qualcuno mi avrebbe fatto scattare un'altra volta e almeno per il momento avevo già la mia buona dose di casini. Aprii il getto della doccia e mi fiondai sotto, godendomi la sensazione dell'acqua bollente che mi avvolgeva. Era bello passare una mattina senza sentire urla e imprecazioni dello stronzo o la voce sommessa di mia madre mentre cercava di calmarlo e al tempo stesso stringeva Jordan sussurrandogli di non piangere. Quel copione veniva recitato quasi ogni mattina, perché Michael trovava sempre qualcosa che non andava bene e che sentiva necessariamente il bisogno di criticare: il toast non era della doratura che voleva, la marmellata era troppo dolce, Jordan faceva cadere qualche goccia di latte sulla tovaglia oppure, la più frequente da quando ero diventato abbastanza grande da superarlo in altezza e rivaleggiare con la sua stazza, il mio atteggiamento da stronzetto arrogante e indisponente. Poco importava che tutto quello di cui si lamentava fosse più che altro nella sua testa. Michael era un maniaco del controllo, uno di quelli che sbraitavano a destra e manca prendendosela con chiunque gli capitasse a tiro, e usare la logica con lui non aveva mai portato da nessuna parte. Avevo sempre pensato che me ne sarei andato di casa al compimento dei diciotto anni, ma la discussione della sera precedente aveva accelerato i tempi. Avevo accumulato troppo nel corso di quei dieci anni passati sotto lo stesso tetto dello stronzo e alla fine ero esploso; l'avevo colpito e vedere la sua testa scattare da un lato all'altro era stato maledettamente soddisfacente. Mia madre aveva urlato e si era aggrappata al mio braccio tirandomi via, pregandomi di smetterla, e Jordan aveva sgranato gli occhi spaventato. Lo stronzo non aveva reagito, si era limitato a sorridere come se non avesse aspettato altro che quel momento, e avevo capito di essere caduto dritto nella sua trappola.
Mi aveva dato mezz'ora per fare i bagagli e lasciare quella casa una volta per tutte. Lo sguardo che avevo rivolto a mia madre prima di varcare la soglia era stato eloquente: lascia perdere. Non si era mai battuta davvero per me in tutti quegli anni e non mi aspettavo di certo che cominciasse a farlo ora. Così mi ero ritrovato per strada in piena notte, alla ricerca di un posto dove stare, e prima ancora di rendermene conto mi ero ritrovato davanti all'ingresso della Combat.
Richiusi il rubinetto e mi avvolsi in un telo da palestra, afferrai gli abiti puliti e tornai nella mia "stanza". Ero abbastanza sicuro che i miei cugini fossero già stati informati della mia performance notturna, perciò quando fui pronto e uscii per incamminarmi verso scuola non fui particolarmente stupito di trovarli lì ad aspettarmi.
Kieran camminava avanti e indietro lungo il marciapiede e Ashley se ne stava appollaiata sul muretto con il libro di biologia stretto tra le mani. Saltò giù e mi venne incontro, porgendomelo con un sorriso tirato.
- Tua madre mi ha chiesto di portartelo e di dirti che proverà a parlare con Michael per farlo ragionare – concluse, accigliandosi sul finire della frase.
Nemmeno lei ci credeva davvero.
- Accetto il libro, ma non la proposta di pacificazione -, replicai infilando il volume nello zaino e voltandomi verso Kieran, - tu hai qualcosa da dire o pensi di continuare a camminare avanti e indietro ancora per molto? –
Si fermò di scatto, voltandosi a fissarmi con quelle iridi azzurre che erano assolutamente identiche a quelle della sorella, e rimase in silenzio per una manciata di secondi prima di mostrarmi un sacchetto di carta.
- Ti abbiamo portato la colazione. –
Qualsiasi cosa pensasse di quella situazione se la sarebbe tenuta per sé, Kieran era sempre stato il più riservato tra noi tre e a quanto pareva non si sarebbe pronunciato nemmeno in quell'occasione. Eppure il fatto stesso che fosse lì e che stringesse una brioche al cioccolato era un chiaro segnale delle sue intenzioni, comunque fossero andate le cose sarebbe rimasto sempre al mio fianco proprio come Ash.
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Bet on me
Romance[La storia è vincolata ai diritti di copyright regolarmente registrati. La riproduzione/plagio sarà perseguita come da legge! ( © )] - Jackson Miller è un combattente, lo è sempre stato. Suo padre se ne è andato quando aveva solo due anni, lasciand...