Capitolo 3

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Alla fine del lungo corridoio sotterraneo, Hope trattenne il respiro di fronte a una porta blindata.

River estrasse una vecchia chiave arrugginita e fece scattare quattro volte la serratura. Quando la porta si aprì verso l’esterno, Hope trovò davanti a sé la sagoma alta e scura di Damien.

Non riuscì a controllare la propria reazione. Si gettò tra le sue braccia e ritrovò il corpo forte e caldo che ricordava, l’odore di menta nell’incavo del collo, i capelli castani che le sfioravano la fronte mentre la stringeva a sé. Quando, con il volto affondato tra le pieghe della sua giacca di pelle riconobbe il profumo del tabacco delle sue sigarette, gli occhi le bruciarono di pianto. Non aveva mai realizzato quanto le fosse mancato, quanto si sentisse al sicuro adesso tra le sue braccia.

Damien non si trattenne, stringeva Hope come se fosse tornata dal regno dei morti, le sue braccia forti attorno al busto quasi le facevano male. Ma era il dolore più dolce del mondo. Si staccò da lei solo per afferrarle il viso tra le mani, con la stessa foga, penetrandola con i suoi occhi verdemare.

“Sei ferita?”

“No, tranquillo.”

“Che ti hanno fatto?”

“Niente, Damien” tentò di calmarlo, “voglio solo andare via.”

Lui indagò ancora per un po’, facendo scorrere le mani sulle sue braccia, sui suoi fianchi, come a controllare che non avesse nulla di rotto, che tutto fosse ancora al suo posto.

Solo allora Hope sembrò ricordarsi della presenza di River. Lo vide lì ancora in piedi davanti alla porta, le braccia conserte e lo sguardo duro puntato fermamente il più distante possibile da loro.

Lei allora si sforzò di staccarsi dalle attenzioni di Damien e si avvicinò al moro.

“River, vieni con noi” disse con fermezza.

Venne colpita contemporaneamente dagli sguardi gelidi dei due fratellastri.

“Che diavolo è, una specie di sindrome di Stoccolma?” intervenne Damien, afferrandola per un braccio.

“Lui mi ha protetta, Damien. Non c’entra niente con tutto questo. Se resta qui subirà delle conseguenze terribili quando si accorgeranno che io non ci sono più.”

“E così le hai fatto un bel lavaggio del cervello, bravo!” sbottò Damien, aggredendo il fratello. “Sicuramente nei tuoi racconti avrai omesso dettagli fondamentali della nostra infanzia, dico bene?”

“Hope sa tutto quello che c’è da sapere su di me. Se la mia vita le è cara, ti assicuro che non è per opera mia. Tanto che non ho assolutamente intenzione di venire con voi.”

“Vi state comportando come due bambini!” sbottò Hope, e River dovette zittirla con un sibilo, perché stava alzando la voce e la situazione diventava sempre più pericolosa.

“Se non vuoi farlo per lui, fallo per me! È me che ha protetta in questo mese” lo ignorò Hope, rivolgendosi a Damien.

“Vuoi che lo ringrazi?” ringhiò Damien. “Lo ringrazio non spaccandogli la faccia per quello che ti ha fatto la sua famiglia.”

Cadde un silenzio carico d’astio, in cui Hope capì che non c’era alcuna speranza di dialogo.

“Almeno lascia che lo saluti io” disse Hope freddamente, e fissò Damien negli occhi finché il ragazzo non accettò di malumore di concederle qualche secondo di tempo con River. Si allontanò da loro di qualche passo, ma non accennò a distogliere lo sguardo come aveva fatto prima l’altro con loro. Li fissava in ogni movimento.

“Ti prego, stai attento” sussurrò Hope, guardando gli occhi di River, nuovamente spenti e senza alcuna vitalità.
“Sì.”
“Se riesci ad allontanarti da questo posto, cercami.”
“Sì.”
“River” bisbigliò ancora, cercando di rendere la sua voce inudibile alle sue spalle. “Credevo in tutto ciò che ho detto e fatto. Voglio che tu lo sappia.”

Lui le dedicò lo sguardo più sofferente che Hope avesse mai visto, e quando le voltò le spalle per rientrare nella villa attraverso il corridoio nascosto, sembrò fare una violenza a se stesso.

Non si era ancora richiuso la porta alle spalle, che Hope sentì la presa ferma di Damien stringerle la mano e portarla via, una volta per tutte, da quell’inferno.

-

Durante il tragitto in macchina Damien non parlò. Sembrava covare dentro di sé una furia pronta a esplodere se solo lui le avesse dato il minimo spazio. Perfino pronunciare una sola parola avrebbe potuto far innescare quella bomba che gli pesava sul petto.

Hope lo osservava di sottecchi dal lato del passeggero. Per quanto odiasse vederlo così teso, non riusciva a non sentire solo la profonda felicità dell’essere finalmente libera e riunita a lui.

Si fermarono in un piccolo motel lungo la statale. Damien pagò per una stanza.

“Stavolta non hai nemmeno provato a chiederne due libere” scherzò Hope, tentando di smorzare quell’atmosfera lugubre che li circondava.

“Stavolta non ti perdo d’occhio nemmeno mentre dormi” fece lui, non assecondando il suo gioco.

La stanza era piccola, con un’orribile carta da parati verde pistacchio e delle tende rigide gialle che sembravano fatte di carta da pacchi.

Hope si sedette sul letto, non si era mai sentita così distrutta, nonostante durante quelle settimane non avesse fatto altro che stare in una camera arredata, a dormire, mangiare e guardare fuori da una finestra. Percepiva solo in quel momento il carico emotivo di quella esperienza.

Guardò Damien in piedi accanto alla finestra, che scrutava la strada attraverso le tende. La sua espressione era ancora terribilmente rigida. Hope avrebbe voluto che lui venisse verso di lei, che le si sedesse accanto e l’abbracciasse, che le togliesse di dosso quella paura che non l’abbandonava da giorni.

Provò a mormorare il suo nome un paio di volte, ma lui non diede segno di sentirla.

Allora alzò la voce: “Damien, sono qui!”

Il ragazzo si voltò verso di lei, ma era come se non la vedesse, come se all’interno delle sue pupille stesse scorrendo un film che non riusciva ad arrestare.

“Vorrei che venissi accanto a me” disse Hope, e la voce le venne fuori debole, sull’orlo delle lacrime. “Sono state le settimane peggiori della mia vita. Ma la cosa che più mi faceva soffrire non era stare là dentro, lontana da tutto e tutti, ti ho già detto che non mi hanno sfiorato nemmeno un capello. La cosa peggiore era non sapere dove fossi tu, se ti stavano facendo del male, quale fosse il motivo per cui ti stavano minacciando… So che sei incazzato per questa situazione, so che vuoi spaccare tutto, ma non è me che devi punire.”

Gli occhi di Damien si spalancarono, sembrava completamente disarmato.

“Te? Punire te?” disse, spalancando le braccia. “È me che sto punendo, Hope”. Fu allora che finalmente avanzò verso di lei. Senza che Hope avesse il tempo di prepararsi a quella reazione, Damien le si gettò addosso ed entrambi caddero sul materasso scomodo. Lui l’abbracciava con la faccia affondata nell’incavo del suo collo, mentre lei non poté fare altro che restare immobile, con il viso rivolto verso il soffitto.

Dopo qualche istante li sentì. Piccoli singhiozzi soffocati, che Damien non riusciva più a trattenere, mentre con un braccio la stringeva a sé. Lei sollevò una mano ad accarezzargli i capelli, cercando di calmare quel pianto che diventava sempre più incontrollato. Sembrava non fosse rimasta traccia dell’uomo furibondo che le stava davanti prima. Era rimasto al suo posto un bambino spaventato.

“Tutto quello che ti è successo è colpa mia” disse, con la voce rotta dalle lacrime. “È il motivo per cui ho sempre cercato di tenerti alla larga. Non ho mai avuto un legame vero perché sapevo che un giorno avrebbero potuto usarlo contro di me. Quando ho saputo che ti avevano presa, tu penserai che la mia prima reazione è stata la rabbia… No, è stato un terribile senso di colpa.”

“Non è colpa tua. Non l’ho mai pensato” provò a interromperlo Hope, passandosi ancora tra le dita i capelli indomabili del ragazzo.

“Siamo stati insieme, e ho provato ad ignorarti… Poi non sono riuscito a resistere, a te e a quello che c’era tra noi. L’ultima cosa che hai ricordato di me, in questo mese, è stata la mia indecisione, la mia insensatezza. L’idea che potessi odiarmi mi ha distrutto. È il motivo per cui non sono riuscito ad avvicinarmi fino ad ora. Non merito nemmeno di stringerti in questo modo.”

Hope lasciò che si sfogasse ancora un po’, che lasciasse uscire tutto quel dolore che si portava dentro da giorni. Alle carezze aggiunse dei piccoli baci sulla sua fronte, sulle sue guance umide di pianto… sulle sue labbra. Erano passate lunghe settimane dall’ultima volta che si erano baciati. Quando arrivò a sfiorarle, lo guardò finalmente negli occhi, due specchi d’acqua agitata.

“Odiarti io?” sorrise, e lo baciò ancora. “Non c’è stato un solo giorno in cui io non abbia pensato a te”, un altro bacio, “e alla tua sicurezza. Più tempo passava senza che io ti vedessi e più speravo significasse che eri al sicuro e che stavi bene,” ancora un bacio. “Non c’è nulla al mondo che potrebbe farti odiare da me. Nulla.”

Riuscì a strappargli un sorriso sofferente.

“Dio, quanto mi sei mancata” mormorò Damien, e stavolta fu lui a incollare le labbra su quelle di lei.

Eccolo, finalmente, il Damien che conosceva. Il ragazzo che l’aveva sempre guardata con desiderio e che non si limitava nell’assecondare le proprie pulsioni. Il ragazzo che non chiedeva, a cui bastava poco per infiammarsi e che consumava tutto con il suo fuoco.

Hope vide quella scintilla riaccendersi nei suoi occhi e capì che era finalmente tornato da lei. E venne pervasa da un’immensa felicità quando realizzò che erano insieme, da soli, e che la notte era tutta, completamente, a loro disposizione.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 14, 2022 ⏰

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