Gita notturna; Ispezione

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«Perché credi ti abbia portato qui?»

«Al cimitero? … penso che tu abbia perso troppe persone per riuscire a indovinare al primo tentativo.»

«Ah!»

 
Quel sogghigno fece svolazzare dei gracili corvi che avevano trovato riparo nel cono legnoso, tondeggiante, d’un cipresso; l’ombra da esso proiettata irradiava i tratti di mani raccolte in preghiera nello sfondo di un corroso cenotafio, nei pressi del quale i due si stavano incamminando.

 
«Sta per avvicinarsi il calar del sole, non vorrai restare chiuso qua dentro?»

«Lo saremo comunque, un giorno.»

«Ma perché affrettare il corso degli eventi?»

 
Si fermarono di fronte a un cancelletto piuttosto ossidato, composto di un portico spiovente, con travi massicce che si biforcavano aguzze sulla cima. Allungata la mano e girati i battenti, lo stridio metallico ottuse per qualche momento i loro timpani, ma la sensazione di malessere interiore non fu ugualmente agevole da allontanare.

 
«Perché siamo ancora qui?»

«Da quanto tempo ci conosciamo Alfred?»

«Dovrei considerarla una risposta? …»

 
Percorrendo quel sentiero muschiato, non poterono che venir distratti dalle composizioni fatiscenti e lugubri che al crepuscolo, invece di occultarsi, parevano all’opposto infervorarsi, venendo così messe in risalto dai sinistri colori del plumbeo cielo vesperale.

L’aria venne ben presto pervasa di un intenso effluvio di rugiada, ma talmente era pressante in loro la foga nel superar indenni tumuli e sepolcri, da non curarsene affatto.

 
«Tredici anni.»

«Cosa?»

«Sono ormai tredici anni che ci conosciamo, Bruce, e mai prima d’ora mi hai dato motivo di dubitar dei tuoi propositi.»

 
Un monumentale mausoleo si porse prepotentemente innanzi agli occhi dei due confidenti.

La struttura, che infestava il tormentato territorio limitrofo come un metastatico morbo affligge, imponente, il corpo ormai fiacco e avvizzito d’un vetusto infermo, prorompeva su più livelli in altitudine, dei quali, in quelle condizioni, solo il mediano lasciava scorgersi definito. Un enorme unico monolite nero, dalla forma di un’immane calotta, ne copriva la circolare sommità in maniera esorbitante. La pietra grezza che pareva ricoprir l’intera costruzione, già sgradevolmente scalfita in quasi ogni sua parte, sembrava far del proprio meglio al fin di scoraggiare gli avventati avventori, conseguendo invero nel franare proprio su ciò ch’era adibito a ingresso, depositando una spropositata quantità di polveroso frantume sulle macerie dapprima accumulatesi, a pochi passi dai loro sguardi confusi.

 
«La vedi quella grossa nicchia lassù? Dobbiamo arrampicarci fino alla scala che conduce al deambulatorio sul secondo livello. Da lì potremo entrare attraverso l’incavo sotto uno degli archi.»

 
Attinente al turbamento che in quel momento impregnò l’animo di Alfred, il brusìo sommesso e vibrante nell’aria ed il fresco sentore umettato d’ozono si concretarono in una densa, gravosa precipitazione atmosferica.

 
«Vorresti entrare lì dentro? Devi certamente possedere un numero spropositato di gonadi, affinché la tua indole non frema terrorizzata al solo pensiero.»

 
Bruce fece in fretta a confutare tale ipotesi, inerpicandosi seppur sgraziato tra laceri drappeggi, pendenti proprio sotto a un bassorilievo sfigurato che scialbo ravvisava, dal punto di vista dell’amico, il piano secondo.

Appigliatosi a una colonnina ancora portante tra quelle che parvero delimitare la balaustra e proiettatovisi oltre, non fece in tempo a rifiatare che già teneva tesa la mano verso il compagno.

[Deh, cingendola, come avrebbe potuto, Alfred, sapere di star sostenendo un mefistofelico patto, coadiuvato da inique presenze, trascendenti le realtà empiriche, circoscritte nel dipanare dal pensiero movente la sua sfera obiettiva.]

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