Non chiedermi scusa

Introduzione

Ho sempre visto la vita come una gabbia ed io come un uccello che non sapeva cantare, che gli altri vedevano difettoso e mal funzionante, ma che in realtà non vedeva l'ora di fuggire, per adempiere al solo compito per il quale egli era stato creato: volare.

Il mio compito andò realizzandosi a poco a poco, tassello dopo tassello, pezzo dopo pezzo, nel quadro della mia vita fino a completarsi in quel istante preciso: quando, con violenza, mi presero le mani e accinsero intorno ai polsi delle enormi circonferenze d'acciaio.
Allora intesi che il mio progetto era stato portato al termine con successo e che quelle fredde manette non erano altro che il trofeo che mi ero guadagnata.
Se per i giudici, per gli avvocati e la gente che aveva seguito fino ad allora la vicenda, era l'inizio di un processo, per me era , invece, la fine di un percorso che avevo seguito con passione e con immensurabile tenacia e ostilità.

L'uomo che mi teneva a sé stringendomi il braccio mi condusse verso la porta d'ingresso della casa e attraversata ci avvicinammo ad un auto, un poliziotto aprì la portiera, e l'uomo mi abbassò il capo e mi introdusse in essa, il poliziotto chiuse la portiera e aprì quella davanti, si sedette.
Un altro uomo in divisa era al volante, mise in moto e iniziò a guidare. Durante il tragitto, che mi avrebbe portato in caserma, cominciò a piovere, i finestrini si coprirono prima lentamente e poi ad un tratto, con velocità, di goccioline d'acqua che andavano scivolando via via sul vetro senza esitazione.
Il silenzio della notte che vi era all'esterno,che circolava in strada e circondava le abitazioni, aveva oltrepassato i finestrini e vi era penetrato persino nell'auto. Con gli occhi pieni di lacrime sorrisi tra me e me, e avvolta in questa atmosfera di inquieto silenzio ricordai di nuovo di quella volta che capii quale fosse lo scopo della mia vita, di come si schiarì, in modo così naturale, dinanzi agli occhi il senso del mio esistere.