L'ultimo periodo trascorso con mia mamma, prima che ci separassero, non è stato terribile, come si può immaginare. Anzi, probabilmente, è il periodo che ricordo come il più bello.
Sarà la mente ad aver tenuto gli ultimi giorni trascorsi con mia mamma rendendoli i più vivi ed aver come congelato quelli precedenti, che occupano in me un posto così caldo prima che gli eventi successivi avrebbero sconvolto tutto come un tornado nel Messico o un tsunami nelle Filippine al punto da scaraventare ogni cosa: le case, gli edifici, i paesi e la gente di quei luoghi e poi vedere solo pezzi di cose galleggiare nell'acqua, o nel caso di un tornado, un mucchio di oggetti infranti volare insieme ad esso fino a cadere in terra quando quello smette improvvisamente di girare.
Le cose iniziarono a cambiare quando venne a farci visita l'ultima volta la signora dalla giacca e pantalone dal colore sempre uguale e dal libro senza favole che portava sempre con sé, ricordo che quella volta la signora e mia mamma ebbero una grande discussione, più animata delle scorse volte, che mia mamma cominciò a piangere con disperazione e rispondere alla signora sempre nello stesso modo : Non portatemela via.
"La bambina non può vivere con lei, non vede che è stata trascurata così a lungo ?"
Cosa significa essere trascurati ?
"Non può portarmela via."
"Non vede che è malnutrita ? "
Cosa significa essere malnutriti ? Usava parole che io non conoscevo.
" non può portarmela via."
"Non va a scuola , non può stare tutto il giorno a giocare con lei, ha bisogno di stare con altri bambini."
Io avevo bisogno di stare con mia mamma.
"Non può portarmela via."
"È da tempo che la sto avvertendo: non possiamo più aspettare. Lei ha bisogno di essere aiutata così come sua figlia. Mi dispiace, ma lo faccio per il bene della bambina."
Mia madre mi prese forte il braccio facendomi male.
"Mamma mi fai male !" Urlai.
Intanto lei continuava a ribattere:"non me la porterete via, non me la porterete via."
Poi verso di me:"non ci lasceremo mai noi due. Mai. Ok?"
Ad un tratto le gambe mi iniziarono a tremare e poi subito dopo anche le mani.
"Mi dispiace, non posso fare altrimenti."
Questa fu l'ultima frase che disse la signora poi aprì la porta e andò via. Io e mia mamma eravamo di nuovo sole.
Dopo un forte abbraccio che ci scambiammo, mi diressi verso i miei giochi e misi la musica alla radio.
Mia mamma restò per un po' ferma sulla sedia, prese un fazzoletto dal rotolo dei tovaglioli poi gettò uno sguardo verso di me:
"Non avere paura Cristy, noi non ci separeremo mai."
Mentre lo disse si asciugò il viso bagnato dalle lacrime. Forse sapeva anche lei infondo che non sarebbe potuto andare così perciò non mi lasciò una promessa. Ricordo però che le sue parole risuonarono come se lo fosse, benché capii subito che non lo era per quanto desideravo che lo fosse.
Infatti, le sue lacrime continuarono a scendere dagli occhi, anche dopo che ripeté il gesto per più di una volta, nel tentativo di asciugarle, dopodiché si alzò e andò in bagno.
Nei giorni successivi alla lite tra mia mamma e la signora, che ora so di chi si trattasse, era un'assistenza sociale, che io ai quei tempi, con ovvietà, non sapevo chi fosse e quale fosse il suo lavoro, ma che da quel momento mi terrorizzò pensando che da un'istante all'altro avesse mandato qualcuno a prendermi o sarebbe stata lei stessa a portarmi via da mia mamma, avevo paura soprattutto di notte, che sarebbe venuto qualcuno, mentre dormivo, e mi avrebbe rapito come fanno i cattivi nelle fiabe quando rapiscono le principesse, o i bambini dai rapinatori nei film per adulti.
Dunque, nei giorni successivi, io e mia mamma facemmo alcune delle cose che non avevamo mai fatto prima o che facevamo solo raramente. Mi portò assieme a lei nel mondo grande, mi fece vedere un fiume, mi fece sedere sulla statua di un leone in una piazza, poi ci recammo nel parco che conoscevo già, quello in cui c'ero stata con il nonno un paio di volte, e giocai per moltissimo tempo sulle giostre, anche se poi mi feci male ad un ginocchio.
Mi fece assaggiare il gelato al pistacchio e non mi piacque e lo mangiò tutto lei. Ricordo poi che mi ci portò in un grande negozio di giocattoli, c'erano orsacchiotti di peluche giganteschi, bambole e macchine da corsa, pistole finte e biciclette senza rotelle per i bambini grandi, e i supereroi che io preferivo più di ogni altra cosa perché non ne avevo neppure uno nella mia cesta e mi piaceva così tanto vederli nel televisore da desiderare di averne uno per impersonarlo e fingere di essere io un supereroe.
Mi avvicinai accanto ad uno di questi esposti sullo scaffale e rimasi lì ad osservarlo, poi mi alzai sulle punte dei piedi e lo presi. Lo smanettai un po', era un supereroe dal mantello lungo e rosso, dall'uniforme blu e con gli stivali anch'essi rossi.
Mia madre mi guardò e disse:" lo so che ti piace, ma non possiamo acquistarlo."
Mi prese la mano e ci allontanammo, ci dirigemmo vicino la cassa e quando pensai che stavamo uscendo a mani vuote, lei tirò fuori un pupazzo a forma di supereroe, simile a quello che avevo visto poco prima, solo che questi aveva la testa e gli occhi grossi ed era morbidissimo, lo acquistammo e lo portammo a casa.
Mi ci affezionai subito e ci giocai per l'intera serata, lo portai anche nel letto facendolo dormire accanto a me al lato opposto di dove, invece, dormiva mia madre.
La mattina dopo, mi svegliai, il mio supereroe era ancora vicino a me, invece mia mamma si era già alzata.
La sentii parlare a telefono, per lo più ascoltava e rispondeva a monosillabi. Quando mi alzai e mi diressi in cucina e mi vide sull'uscio della porta,riagganciò subito il telefono e mi fece un sorriso finto.
Si avvicinò e mi prese in braccio:" Mangiamo qualcosa Crì, che dopo andiamo a lavarci."
Ancora assonnata, strinsi le braccia sulle sue spalle e chiusi leggermente gli occhi.
"Usciamo anche oggi mamma ?"
Mi rispose con un'altra domanda:"Vuoi le brioche ?"
Non era la prima volta che ad una mia domanda ne rispondeva con un'altra o che nel spiegarmi una cosa finiva per parlarmi di altro. Mi ci ero abituata,insomma. Non ricordo se quella mattina mangiai o meno le brioche, ricordo che facemmo il bagno nella vasca e poi mi pettinò e mi asciugò i capelli.
Ricordo anche che non volli tenerli sciolti.
"Teniamoli sciolti." Insisteva.
"Perché devo tenerli sciolti ?"
"Perché ora sono puliti, e poi sono così belli e lunghi..."
"Ma a me piace tenerli legati come sempre."
Allora mamma smise di convincermi. Avvertii un'aria diversa tra noi quella mattina, soprattutto vedi qualcosa di strano nei suoi occhi. Credo, con molta probabilità, che non li vidi mai tanto tristi prima di allora.
Iniziai ad avere paura pur non sapendo il perché e a indispettirmi.
"Mettiamo il cappotto." Disse mia mamma avvicinandosi alla porta.
Io restai ferma come un sasso al centro della cucina non muovendomi né fiatando.
"Non voglio uscire stamattina." Gridai con tono di imposizione.
"Perché Cry, non ti senti bene ?"
Non risposi.
"Cosa c'è che non va ? Facciamo solo una passeggiata al parco."
Ad un tratto non riuscivo neppure a parlare.
Mamma si avvicinò e mi chiese di nuovo se c'era qualcosa che non andava.
"Ho paura." E ciò che riuscii a dire in quel momento.
"Di cosa ? Di cadere come l'altro giorno? Non preoccuparti , questa volta non cadrai. Staremo più attente. E pure se dovessi cadere di nuovo, ci sono io con te." Prese le mie mani.
"E se tu non ci sarai ? Se non dovessi più trovarti mentre mi giro di nuovo verso te per guardarti ?"
"Cry io sarò sempre lì con te. Anche quando non mi vedi, io sono sempre qui."
Mi diede un bacio poi mi aiutò a mettere il cappotto.
"Aspetta, devo prendere il mio supereroe."
Uscimmo. E senza saperlo stavo dicendo addio alla mia casa, al mio mondo piccolo, ai miei giochi, solo voltandogli le spalle ignara che un giorno mi sarebbero mancati così tanto da chiuderli a chiave, per proteggermi, in un guardaroba e assieme ad essi inserire anche tutti gli imprecisi, vividi e terribili ricordi, legati a questi, della mia breve infanzia.
Il giro al parco lo facemmo, dunque, mamma aveva detto la verità prima di uscire, ma aveva omesso la parte più importante, che a casa non ci saremmo più tornate, o almeno io, non avrei mai fatto più ritorno.
A quell'età non sapevo ancora cosa fosse il Male, cioè, non l'avevo ancora visto veramente.
Lo stesso vale per i mostri. Certo, avevo visto dei mostri ed erano i cattivi nei cartoni animati che venivano sempre sconfitti, il mostro invisibile che dormiva su mia mamma, e la creatura spaventosa che fingevo di essere nella vasca da bagno. Ma di veri e propri mostri, in carne ed ossa, non li avevo mai conosciuti. Non li avevo mai nemmeno toccati.
Il Male, era poi, per me quando i cattivi avevo la meglio sui buoni, quando mio nonno voleva portamici a scuola ed io non volevo, quando mia mamma cambiava d'improvviso umore, passando dalle risa ai pianti in bagno, dalla gioia alla rabbia prendendosela persino con qualunque oggetto che aveva dinanzi, oppure quando si chiudeva nella stanza da letto lasciandomi in cucina tutto il giorno e sentirmi sola anche in compagnia dei miei giochi preferiti.
Ben presto, quest'ultime divennero per me cose appartenenti alla normalità, alla quotidianità umana, alla routine giornaliera. Non avevo più paura perché non c'era il Male. Non ho mai avuto paura di mia madre, avevo paura dei mostri invisibili che da un giorno all'altro sarebbero diventati visibili e che il Male vero e proprio, un giorno, mi avrebbe bussato alla porta e si sarebbe portato il bene più grande: lei.
Alla fine il Male non è stato neanche così gentile come credevo che fosse, perché, quando arrivò da me non bussò il campanello, ma abbatté la porta con un solo colpo e mi ci trovò
impreparata.
Allora cominciai a chiedermi : è così che vanno le cose ?I mostri esistono sul serio ? E i più pericolosi sono quelli che ci assomigliano ?
Sta di fatto che, dopo la passeggiata al parco, conobbi il Male per la prima volta, quello che non se ne sarebbe più andato, quello che si sarebbe cibato dei miei anni avvenire fino a svuotare l'intero serbatoio contenente la mia vita.
All'uscita del parco, dopo averci passeggiato per distinte ore con un freddo che ci aveva fatto arrossire naso e guance, mia madre disse che avremmo dovuto aspettare un'istante. L'istante passò e sopraggiunse un auto alla cui guida vi era l'assistente sociale.
Non ebbi il tempo di capire cosa stava succedendo perché mia madre aprì la portiera e mi tirò il braccio facendovi entrare.
Mi sedetti con lei al mio fianco e con il supereroe tra le mani.
Mia madre non disse dove stavamo andando. Non era brava con le bugie, difatti, a me non le aveva mai dette. Eppure ora che sono grande , so che gli adulti ci sanno fare con le bugie. Anche io le dico, spesso, non so se sono brava a farlo, ma nessuno mai mi ha fatto ulteriori domande .
Qualche volta mamma aveva anche provato, a dirmi una bugia, ma non le era riuscita bene.
Ad esempio, quando le chiesi chi fosse mio padre lei mi rispose che non lo sapeva, e poi subito dopo si corresse dicendo che non era importante chi fosse o se esistesse quest'uomo, ciò che contava eravamo solo noi due.
Nel breve viaggio in auto, che così breve a mia impressione non fu, quando l'assistente mi rivolse la parola e iniziò a dirmi che mi avrebbero portato in una casa grande con cui avrei fatto amicizia con tanti bambini della mia età, che avrei imparato a leggere e poi a scrivere, avrei giocato e disegnato, che non avrei dovuto preoccuparmi perché mamma mi sarebbe venuta a trovare sempre, tutte le volte che lei voleva e tutte le volte che avrei voluto io, quando disse questo e altro ancora, mia madre restò in silenzio ed io volsi lo sguardo fuori dal finestrino e improvvisamente mi sembrò che il tempo stesse rallentando, che il mondo si fosse ristretto in quell'auto e che ciascun cosa in movimento che vi era dentro stesse addirittura fermandosi.
perché Tutto ciò che era al di là del finestrino mi parve andare così lentamente come le auto che passavano, come i motorini che ci sorpassavo di fianco, come i pedoni sui marciapiedi della strada, come i semafori e come i cani al guinzaglio dei loro padroni.
Il tempo si agghiacciò , i minuti divennero ore e i secondi, gli istanti, divennero minuti.
Guardai mia madre, lei era immobile, l'assistente parlava come in un registratore in modalità rallentamento, il suono della sua voce cambiò, divenne quasi robotica, che ogni parola era incomprensibile. Tornai di nuovo ad osservare il mondo fuori concentrandomi su di esso e ad assistere al tempo che, per la prima volta, sembrava arrestarsi e nulla che glielo impedisse, tale da dimenticare di trovarmi dove mi trovavo e lasciarmi trasportare in un flusso di rallentamento che rendeva percepibile ogni cosa oppure niente.
Poi arrivò il momento in cui il tempo riprese la sua corsa, lo spazio si ingrandì come non l'avevo mai visto e i mostri si tolsero il loro abito invisibile e si mostrarono con sottile freddezza , con tratti simili ai miei, ma più crudi, e pronunciare terribili verità in silenzio che io non volevo ascoltare.
Urlai e piansi quando vidi quello che mi stavamo facendo, quando con parole ricoperte da un manto di finta dolcezza, e poi con forza vertiginosa mi allontanarono da mia madre.
La cosa che mi colpì è che lei non disse neppure una parola, il supereroe mi era caduto a terra e lei l'ho prese.
Quando tentò di darmelo, io non l'ho presi e lo lasciai di nuovo cadere.
"Ci rivedremo presto, verrò presto a trovarti."
Furono le sue ultime parole e io la credetti.
Solo col tempo capii che non erano state vere. Era stata una gran bella bugia, la sua.
mia madre non era brava a dir le bugie, ma a quella ci credetti allora, e non so dirti il perché.
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Non chiedermi scusa
Misteri / ThrillerUna storia di vendetta. La storia di una ragazza che ha sempre vissuto osservando il mondo con gli occhi del dolore.