stelle,

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Il cielo era nuvoloso, quel giorno di dicembre.
Trascorsi il pomeriggio in casa di Jisung, tra partite ai videogiochi e tazze di cioccolata calda.
La boccetta di panna spray lasciata aperta sulla scrivania e le bustine di sprinkles colorati facevano da piccola cornice alla confusione creatasi in quella camera da letto. Dozzine di libri sparsi per la scrivania e impilati in modo bizzarro sugli scaffali era solo una piccola parte del disordine generale al quale ormai era di routine imbattersi quando si varcava la soglia della sua stanza.
Sarà stato l'inizio della scuola superiore a renderti più caotico con i tuoi averi, Jisung?

Ben presto diventammo migliori amici, io e Jisung. Ci piaceva stare in compagnia dell'altro, e come due calamite non riuscivamo a stare per troppo tempo lontani senza vederci.
C'era una particolare connessione con Jisung, che mai ebbi con nessun altro. Ci capivamo al volo, e non servivano parole per esprimere ciò che provavamo, ciò che pensavamo.
Il nostro legame era speciale, e man mano si rafforzava sempre più.

Ero felice, con Jisung.
Mi sentivo a casa, con Jisung.
Era il mio punto di riferimento, il mio rifugio sicuro.
Era la mia persona. E non avrei cambiato la sua amicizia con nient'altro al mondo.
Eppure, ho sempre percepito questa strana sensazione, questo strano formicolio a cui non riuscivo a dare un nome. Quando le nostre mani si sfioravano, quando i nostri occhi si trovavano, quando i nostri battiti combaciavano.
Succedeva anche a te, Jisung?

Quel pomeriggio passò decisamente in fretta. Dalle sedie girevoli finimmo con lo sdraiarci a pancia in sù sul tuo letto. Io alla tua destra, giocando con i tuoi capelli.
Rimanemmo alcuni minuti in silenzio in quella posizione, con sottofondo una canzone di menu di chissà qualche videogioco. Ne avevi così tanti che non ricordo nemmeno a quale giocammo, quel giorno di dicembre.

Attraverso le tende si poteva vedere come le grigie nuvole avessero lasciato che la luce solare filtrasse, gentile, attraverso il vetro della finestra, e ci scaldasse col suo flebile calore.

Dal soffitto bianco latte, il tuo sguardo trovò un nuovo appiglio. Ti voltasti a sinistra, verso la grande finestra.
«Oggi il tempo è davvero bello, non trovi?» Pensasti ad alta voce, osservando attento la danza delle foglie che leggiadre si muovevano a ritmo della dolce brezza invernale.
Mi rivolsi verso la tua direzione. Ti avevo a pochi centimetri di distanza dal mio viso.

«Già, davvero bello.» Risposi.
La mia mano non aveva smesso di accarezzarti le ciocche di capelli corvini. Profumavano di shampoo alla fragola.
Di lì a poco, ti voltasti verso di me. Potei sentire il tuo respiro, sapeva di cacao. Avevi le guance arrossate.
Sapevi che non mi riferivo al tempo, non è vero?

Ti alzasti rapido col busto, e iniziasti a grattarti dietro il collo. Lo facevi sempre quando eri nervoso.
Ti sentivi nervoso per colpa mia, Jisung?

«Ho bisogno di una boccata d'aria», dicesti poi. Mi alzai insieme a te.
«Vengo con te» ti dissi. Tu annuisti solamente.
Afferrammo i nostri giubbotti e subito dopo eccoci diretti verso il parco.
Camminammo per quasi un chilometro, senza parlarci, senza guardarci nemmeno una volta.
Sembravi strano, sembravi diverso.
Ero io la causa, non è vero?

«Ti va di sederti?» Annunciai poi io, timido. Indicai una panchina poco più avanti a noi. Annuisti.
Ci sedemmo, insicuri, intimoriti.
Fosti tu, successivamente, a parlare.

«Posso essere sincero con te?» Mi chiedesti. «Mi prometti che appena ti confesserò ciò che ho da dirti, non mi giudicherai?»
I tuoi occhi imploravano aiuto. Eri agitato, avevi paura di qualcosa, la tensione era a mille.
«Lo sai che puoi confidarmi qualsiasi cosa, Jisung», dissi. «Non devi avere paura di parlare con me.»

Deglutisti rumorosamente. Il vento ti scompigliava i capelli.
Facesti un respiro profondo, e come se la tua vita dipendesse da ciò, sputasti fuori l'amara verità dalla quale per anni ho cercato di fuggire.

«Per caso tu mi consideri più di un migliore amico, Minho?»
Nella mia mente accadde un black out totale.
Mi prendesti dolcemente la mano, prima di ricominciare a parlare. Non osasti però guardarmi negli occhi.

«Ho molta paura a confidarti questa cosa, perché la maggior parte delle amicizie si sgretolano proprio a causa di questo. Di questo legame, di queste emozioni. Non so come spiegarlo, ho davvero paura, Minho.»
Ti stavi trattenendo dal piangere, lo notai immediatamente. I tuoi occhi erano lucidi, ma evitavi il mio sguardo. Le tue mani erano gelate.

«Sai, ho sempre pensato che il nostro tipo di amicizia fosse normale», continuasti, «che fossimo destinati a stare insieme, in un modo o nell'altro, perché è ciò che unisce e distingue i migliori amici da altri tipi di relazioni. Eppure, penso che per tutti questi anni io mi sia sbagliato completamente.
Ciò che provo per te non è lo stesso sentimento che provo per i miei amici di scuola, né per i miei parenti.
Non provo per te un sentimento tale da definirti mio fratello, mio amico» esitasti «o mio migliore amico.»

Il mio cuore palpitava come un cavallo imbizzarrito. Ogni tua parola era un fremito per il mio corpo. Lasciasti la presa delle mie mani, e avvicinandoti un poco aggrappasti le tue piccole dita alle pieghe del mio giubbotto.

«Spesso mi sento nervoso attorno a te, altre volte vorrei che non te ne andassi mai, che passassimo ogni istante insieme. Altre volte invece sento come se dovessi prendermi una pausa da te, allontanarmi dalle tue carezze, dai tuoi modi gentili e premurosi, perché mi sento confuso, non capisco cosa io provi realmente, e ho sempre paura di rovinare tutto.»

Giurai che le mie guance fossero diventate rosse come un pomodoro. La mia temperatura corporea iniziava ad aumentare drasticamente. Non era colpa del sole, stavolta, in quel freddo giorno di dicembre.

«Ciò che voglio dirti è che...
Minho, ultimamente penso di non averti più visto con gli occhi di un migliore amico. Ma un qualcosa di più.» Deglutisti. «E mi sento in colpa a pensarlo e a dirlo ad alta voce, perché in fondo non so nemmeno cosa vogliano davvero dire questi miei strani sentimenti, ma il fatto certo è che ciò che provo veramente per te è diverso da qualsiasi altra persona, è speciale, e sono stufo di doverlo ancora nascondere.» Finalmente alzasti lo sguardo. «Nascondere a te.»

Non reggesti la pressione, abbassasti nuovamente il viso a terra, come a voler contare i tantissimi sassolini sotto i nostri piedi.
«Mi dispiace, Minho. Alla fine ho davvero rovinato tutto, non è vero?» Dicesti infine. Delle lacrime iniziarono a scendere veloci.

Ti abbracciai forte, quel freddo giorno di dicembre. Ti strinsi forte al mio petto, asciugandoti le guance bagnate.
Rimanemmo diversi istanti abbracciati. Attorno a noi non c'era nessuno. Il sole iniziava a tramontare, il freddo a farsi più intenso, il vento ci cullava dolcemente.
Con l'indice ti feci alzare lo sguardo, così da avere i tuoi occhi incatenati ai miei.

«Prima, a casa tua, hai detto una frase.» Iniziai a parlare. «"Oggi il tempo è davvero bello, non trovi?", ricordi?»
Annuisti.
Esitai un momento. «Sapevi che la mia risposta non si riferiva al tempo, non è vero?»
Ti stropicciasti l'occhio con la manica del giubbotto. Ridesti, innocente. Adoravo vederti ridere.
«Sì, lo avevo capito.»

Cercai di contenere il mio enorme sorriso a quella tua affermazione, ma fu un'azione istintiva del mio corpo. Sorridevo per l'agitazione? Per la paura?
Tu però ti illuminasti, i tuoi occhi divennero due diamantini d'un gioiello.
«Questo vuol dire che mi capisci? Anche tu provi quel che provo io?»
Dicesti. Io ti presi lentamente il viso con le mani, e ti baciai dolcemente sulla guancia. Eri bollente, anche tu.

Non serviva che dicessi altro, o facessi altro. C'eravamo solo noi due, su quella panchina, abbracciati.
Qualcosa era cambiato tra di noi, quella fredda giornata di dicembre.
Qualcosa era cambiato dentro di noi, quella fredda giornata di dicembre.

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~hansiogena🐿️

vento blu↬minsung ༄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora