Prologo

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Sin da quando ne ho memoria mio padre mi aveva preparata per questo giorno: l'inizio della mia vera vita a Kyoto.
Ho vissuto fino a quindici anni in Italia, nel nostro paese d'origine, con la consapevolezza che un giorno mio padre avrebbe realizzato il suo sogno di trasferirsi in Giappone.
Tutto il suo lavoro si era incentrato sul trattare con un'azienda di marketing giapponese nella speranza che lo assumessero come direttore delle risorse umane. E così è stato.
Sin da quando ne ho memoria, ho studiato giapponese privatamente a casa.
Mio padre me ne aveva parlato così tanto di questo progetto e aveva fatto in modo che fossi seguita da uno dei migliori professori in circolazione. A causa di ciò avevo deciso di limitarmi nell'instaurare delle amicizie. Pensavo fosse inutile affezionarsi a delle persone a cui avrei dovuto rinunciare conoscendo il mio destino.
Studiavo le materie scolastiche italiane e in concomitanza quelle della scuola superiore giapponese dove mi sarei iscritta ad aprile, in modo da non trovarmi troppo indietro con il programma.
Partimmo un anno prima per farmi continuare a studiare direttamente in Giappone, sempre da privatista, e per stabilirci, fino a quando non compii sedici anni a marzo e fui pronta a frequentare il mio primo anno di superiori. Almeno così credevo.
La città di Kyoto era inspiegabilmente magica: immensa, circondata da colline verdi e attraversata dal fiume Katsura. Il posto era famoso per i giardini zen annessi ai vari templi.
Il tutto trasmetteva una pace interiore, così come la città che, personalmente, era indescrivibile.
Dovevo essere pronta per questo passo, dopotutto l'anno passato qui era stato perfetto.
Dovevo arrivare sicura di me di fronte al cancello, dopo aver camminato completamente immersa nei viali contornati da alberi di ciliegio, ma una volta indossata la divisa ed essermi messa di fronte allo specchio, non ho fatto altro che tremare fino ad arrivare a questa fatidica scuola.
Mi sentivo a disagio, non mi sentivo abbastanza per far parte di tutto questo, per quanto mio padre avesse provato a inculcarmelo.
Pensavo fosse stato giusto mantenere la distanza dai miei coetanei per non affezionarmi, ma il risultato era stato solo farmi diventare un'incapace nel socializzare.
Strinsi la cartella tra le mani e presi un enorme respiro quando sentii la campanella suonare, decidendomi poi ad attraversare quell'inevitabile cancello sentendo gli sguardi tutti addosso.
Perfetto, la straniera sta facendo la sua entrata d'impatto
, mi ritrovai a pensare.

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