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Arrivata di fronte alla porta d'ingresso avevo ripassato ogni passaggio nella mia testa almeno una decina di volte, in modo quasi robotico.
Mi era stato spiegato che il mio armadietto si trovava nella terza fila da destra e avrei trovato il cartellino con su scritto il mio cognome.
Semplice, se non fosse che per ogni fila c'erano circa una quarantina, se non di più, di piccoli scomparti con vari cognomi.
Salì sul gradino in legno ai piedi degli armadietti e iniziai a cercare disperatamente il mio cognome per cambiarmi le scarpe. Inutile dire che di tutto quello che avrei dovuto iniziare a fare qui, in Italia forse ne facevo nemmeno un terzo.
In quel momento era come se avessi messo un paraocchi durante la mia ricerca, cercando di ignorare gli sguardi delle persone dietro di me o al mio fianco quasi come se mi trafiggessero, non azzardando ad avere un contatto visivo con loro.
Avevo letto che il popolo giapponese era molto individualista già di per sé, figuratevi degli adolescenti che si trovavano una straniera che, di certo, non passava inosservata essendo completamente diversa.
Mi sentivo come se potessi essere il loro nuovo giocattolo.
Mi diedi cento schiaffi mentali per riprendermi e per smetterla di farmi condizionare da stereotipi letti su internet.
Quando finalmente trovai il mio armadietto tirai un sospiro di sollievo appena percettibile. Lo aprii e quando vidi i mocassini neri infilati là dentro, la prima cosa che mi lasciai sfuggire dalla bocca fu "Ehw, disgustosi."
Mi sfilai le scarpe e li indossai. Almeno erano comodi. La divisa, per quanto mi facesse sentire a disagio a causa della gonna non concepita in una scuola italiana, era anch'essa comoda. Indossavo una camicia a maniche lunghe bianca, un gilet in maglia color rosso borgogna e una cravatta non molto lunga dello stesso colore a completare la parte superiore. Scendendo avevo la tipica gonna plissettata nera e delle parigine bianche.
Ho sempre odiato i calzini bianchi.
La divisa era davvero bella, ma forse non su di me. Per quanto mettesse in risalto le forme, mi sentivo di sembrare tutto tranne che carina.
Ritornai in me stessa e, sempre a testa bassa, mi diressi verso il secondo piano. Dovevo arrivare lì, proseguire a sinistra e avrei trovato l'aula degli insegnanti dove mi avrebbero fatto un ripasso generale delle regole della scuola, mentre tutti gli studenti erano nella grande aula magna per la cerimonia di apertura.
Rischiai, durante il tragitto, di finire addosso a più persone, ma riuscii ad arrivare senza intoppi di fronte alla porta scorrevole dell'aula.
Bussai e, dopo averla aperta, mi inchinai dicendo: "Konnichiwa, watashi wa Nova Santoro. Yoroshiku onegaishimasu", pronunciando come mi era stato insegnato dal mio professore privato. Letteralmente significava: "Buongiorno, io sono Nova Santoro. Piacere di conoscervi".
Ricordo che quando mi spiegò il significato di quella che all'apparenza sembrava una semplice parola, rimasi incantata da come in realtà è una vera e propria frase che prende un significato diverso a seconda del contesto in cui la si usa, ad esempio: yoroshiku di per sé significa 'per piacere, trattami con cura' o 'per piacere, prenditi cura di me', mentre 'onegaishimasu' è il modo formale per dire 'per piacere'.
"Buongiorno, signorina Santoro. Piacere mio, sono l'insegnante Harada. Devo dirvi che sono veramente impressionato dalla pronuncia."
Lo ringraziai per il complimento e mi avvicinai a lui quando mi fece cenno.
Ero nella classe posizionata sempre al secondo piano, dove erano state disposte quasi tutte quelle del primo anno. La scuola era a tre piani con due edifici vicini separati da un piccolo cortile, disponeva anche di un immenso campo da baseball, uno da calcio e anche una piscina interna. Ogni sport o attività era annessa ai club.
Mi spiegò che quest'istituto in particolare era uno dei più conosciuti per la varietà dei club che possedevano.
"Alla fine delle prime ore scolastiche, dopo la pausa pranzo, ci sarà una piccola cerimonia per la presentazione di tutti i club nel cortile con gli studenti del terzo anno. Lì potrà scegliere quello che più le si addice."
Fosse stato per me non ci sarei nemmeno andata, ma era obbligatorio scegliere un club a cui iscriversi.
Mi diede qualche dritta generica mentre in sottofondo sentivo svariati passi e chiacchiere, segno che fosse terminata la cerimonia e gli studenti si stavano dirigendo in classe. Il professore alla fine mi guidò fino alla mia classe e mi chiese di aspettare un attimo dietro la porta, così che potesse prima salutare e poi presentarmi.
Pensai che non potesse esistere cosa più imbarazzante di questa.
La porta era socchiusa, dandomi la possibilità di intravedere il professore Harada che, con uno sguardo gentile, parlava agli alunni spiegando che sarebbe stato il professore che avrebbe rappresentato la classe.
"Adesso ragazzi vi presento la vostra nuova compagna trasferita dall'estero, precisamente dall'Italia, che rimarrà in questa scuola per i prossimi tre anni. Vi raccomando di farla sentire a suo agio. Entra pure."
Sentii il cuore fermarsi fino a quando non mi posizionai di fianco al professore, guardando tutte le persone in quella stanza.
Molti di loro avevano gli occhi sbarrati, soprattutto i ragazzi. Le ragazze mi sorridevano, quasi squadrandomi dalla testa ai piedi.
"Mi chiamo Nova Santoro, piacere di conoscervi. Spero di passare un bell'anno con voi."
Mi sentii ridicola nel dire quelle cose, ma mio padre mi aveva letteralmente minacciata di pormi in modo gentile e quasi smielato.
Mi andai a sedere al banco posizionato vicino alla finestra nella penultima fila notando che, alle mie spalle, era seduto un ragazzo con lo sguardo fisso sulla vetrata, quasi come se non si fosse accorto di nulla.
Ripresi a respirare una volta seduta e cercai di evitare il più possibile gli sguardi curiosi di quelli che sarebbero stati i miei compagni. Sapevo perfettamente che questa volta avrei dovuto provare a instaurare dei legami, ma non avevo calcolato quanto potesse essere complicato. In quella classe tutte le persone presenti avevano i capelli corvini o castano molto scuro, mentre i miei erano lunghi, color castano tendenti al mogano.
Tutti prettamente con occhi scuri, io color miele con sfumature verdi. Tutte sembravano snelle e alte, io ero abbastanza bassa e sicuramente non così curata.
"Ciao, io sono Izumi Hashimoto" prese parola la ragazza alla mia destra. Aveva i capelli corti fino alle spalle di un nero intenso e uno sguardo dolce, che si abbinava perfettamente alle sue guance leggermente paffute.
Le sorrisi quasi timidamente ringraziandola mentalmente per avermi rivolto la parola per prima. "Hai un nome davvero particolare, è sempre di origini italiane?" mi chiese con sguardo curioso.
"Latine, in realtà. Però mio padre l'ha scelto riferendosi al fenomeno astronomico chiamato Nova."
"Ecco perché mi suonava quasi famigliare. Tuo padre deve essere un tipo singolare" quasi risi annuendo. Nova, nell'astronomia, si rifà a quando un oggetto stellare subisce un aumento significativo della sua luminosità, come se esplodesse di luce, mentre in latino il termine nova significava 'nuovo'.
Mio padre mi aveva spiegato che nel momento in cui mi ha vista nascere era come se dentro di sé fosse esploso quel bagliore di luce immensa, colmandolo di un tepore piacevole sul petto. La prima volta che mi raccontò questa cosa avevo undici anni e ne rimasi così tanto estasiata da portarlo avanti con onore.
"Che ne dici se ti faccio fare un giro della scuola prima di andare agli stand dei club, Santoro-san?"
Quasi mi emozionai sentendo per la prima volta usare un suffisso con il mio cognome. Per molto tempo non avrei più sentito nessuno chiamarmi per nome, perché per quanto in Italia fosse la normalità in Giappone era esattamente l'opposto.
"Oh, vengo anche io" si intromise il ragazzo seduto di fronte a me.
"Io sono Makoto Miura" continuò, lasciando che mi presentassi anche io in seguito.
Al contrario della ragazza al mio fianco, Miura aveva gli occhi molto più scuri, quasi color catrame, portava un taglio rasato, ma non tanto da non percepire che il colore dei capelli fosse lo stesso degli occhi.
"Tanaka-kun, perché non ti aggiungi a noi?" parlò sempre Miura rivolgendosi alle mie spalle.
Inconsciamente mi girai a guardare il ragazzo di prima. Aveva ancora lo sguardo rivolto fuori dalla finestra tenendo la guancia poggiata sul palmo della mano.
I suoi capelli erano sempre corvini e sotto la luce del sole quasi sembrava avesse dei riflessi blu. Portava un taglio più lungo con la frangia a coprirgli la fronte. I suoi lineamenti erano più marcati degli altri due ed era effettivamente un bellissimo ragazzo.
Lasciò uscire uno sbuffo dalle labbra piene e rosse, sembravano quasi del colore di una ciliegia, e proprio mentre lo stavo squadrando andò ad affondare il suo sguardo nel mio.
Per un piccolo attimo mi sentii sopraffatta.
Quando i nostri occhi si incrociarono, forse per la prima volta, lo vidi respirare profondamente prima di distoglierlo di nuovo.
"Non mi interessa" rispose a Miura.
Venimmo ripresi dal professore e la conversazione morì lì, lasciando procedere la prima ora di lezione.
Ero entrata in quella classe da qualche minuto ed ero già riuscita a bruciare le tappe che inizialmente mi stavano demoralizzando, non credendo che ne sarei stata davvero capace.


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