࿇CAPITOLO UNO࿇

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C'era una volta...
È così che iniziano le belle favole. Mia madre me ne raccontava così tante quando ero piccola; erano storie così dettagliate che quasi non me le ricordo più. Volevo viverla anch'io una vita da favola ed ero certa che ci sarei riuscita, ma dopotutto, questi sono solamente i desideri di una bambina. Niente era reale, faceva tutto parte della mia immaginazione.

Ricordo ancora quel giorno come se fosse ieri. Sono passati otto anni da allora, ma non c'è giorno in cui io non ci pensi.

Avevo dodici anni quando accadde. Vedevo il fumo attorno a me, la stanza in cui mi trovavo prendeva a fuoco. Qualcosa doveva aver bruciato durante la notte, forse una candela, una lampadina...io non ne avevo la minima idea. Avevo iniziato a tossire, il fumo aveva iniziato ad annebbiarmi la vista e a bruciarmi i polmoni, facevo fatica a respirare. Avevo cercato in tutti i modi di svegliare i miei genitori, ancora sdraiati a letto, ma loro non avevano mosso un muscolo. Avevo urlato, avevo provato a scuoterli con tutta la forza che avevo, ma i loro occhi rimanevano chiusi.

Mi ero bloccata per un momento e avevo perso la ragione, ero pietrificata e non sapevo che cosa fare; fin quando non udii qualcosa. Delle voci, c'era qualcuno fuori casa. C'erano tante persone, in realtà. Sussultai quando all'improvviso sentii la porta di casa aprirsi improvvisamente, cadendo a terra. Vidi un uomo correre in mia direzione, avevo la vista offuscata e non lo vidi bene in faccia, ma vedendo la sua divisa avevo dedotto che fosse un pompiere. Mi prese immediatamente in braccio e mi portò fuori da quella casa, traendomi in salvo e lasciandomi con gli infermieri nell'ambulanza.

E rimasi lì fuori, perciò, a guardare quella piccola costruzione andare a fuoco. Cos'altro potevo fare se non guardare? I miei genitori erano volati via, no? Cosa mi restava? Cosa avrei dovuto fare da quel momento in poi? Io, una stupida ingenua bambina, avrei dovuto andare incontro alla vita prima del dovuto.

Qualcosa mi fece spalancare gli occhi, però. Qualcun'altro uscì dalla porta di casa: credevo fosse un pompiere. E lui aveva in braccio un bambino, un neonato per la precisione. Il mio fratellino, Ryo, si dimenava piangendo tra le braccia di quell'uomo.
Come aveva fatto quella piccola creatura a sopravvivere respirando tutto quel fumo?

Io non capivo, qualcosa non andava, era tutto così strano. Volevo che qualcuno mi spiegasse cosa stesse accadendo, come stessero andando le cose; ma chi poteva veramente farlo? Io ero persa ormai e dovevo ritrovarmi al più presto.

Ci fu così tanto baccano e trambusto che il cuore aveva iniziato a battermi forte mentre ci trovavamo alla centrale di polizia. L'uomo davanti a me non aveva cattive intenzioni e non voleva stressarmi facendomi troppe domande, ma quelle che mi stava ponendo erano importanti per il suo lavoro. Ma come avrei potuto rispondere io?

«Come ti chiami?» mi chiese inizialmente.

«Kim.» gli risposi solamente, guardando altrove.

«Okay Kim, sai dirmi che cos'è successo? Se hai visto qualcuno o qualcosa di simile?» mi domandò poi.

Io scossi la testa. Non sapevo cosa rispondergli.

«Va bene...» rispose a voce bassa.

«Ma ascolta Kim, se hai qualche informazione utile da darci, diccelo. È davvero importante per noi.» questa fu l'ultima cosa che mi disse prima di andarsene e lasciarmi lì con i miei dubbi.

𝐌𝐄𝐍𝐓𝐀𝐋 𝐃𝐈𝐒𝐎𝐑𝐃𝐄𝐑 || Ran HaitaniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora