࿇CAPITOLO DODICI࿇

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Erano già passati due giorni.
Uno psicologo, era questo di cui avevo davvero bisogno mi dicevano, ma cosa poteva capirne uno strizzacervelli?

Avevo già avuto a che fare con loro da piccola, quando i miei genitori scomparvero dalla faccia della terra, e cosa hanno risolto? Gli reputavo inutili, avevo il diritto di dirlo; l'avevo sperimentato sulla mia pelle.
Nessuno avrebbe capito quello che mi stava accadendo, perché finché non si passa nella tua stessa situazione, nessun individuo potrà mai provare empatia verso di te.

Non ero stupida, avevo ben chiaro che quello che avevo fatto era orribile. Me ne pentivo. Me ne pentivo ogni volta che lo facevo, ma era sempre troppo tardi per rimediare, per questo motivo non mi restava altro che nascondermi.

Quella cosa mi tormentava da sempre. Era una sensazione strana, erano dei pensieri, erano degli impulsi. Il disturbo ossessivo compulsivo che avevo mi tormentava sin da tenera età e io non ero mai riuscita a controllarlo. Quand'ero piccola ne avevo paura, poiché non avevo ben chiaro di cosa potesse essere, ma poi ci feci l'abitudine. So che può sembrare strano, ma era più forte di me.

Non trovavo piacere nel sporcarmi le mani di sangue, ma era come se il mio corpo si muovesse da solo.
Quelle ossessioni aggressive mi avevano messa nei guai. Avevo paura di danneggiare o uccidere quelli che mi stavano accanto, per questo motivo mi isolavo, anche se questo avrebbe significato essere odiata dal mio stesso fratello. E adesso, per colpa mia, ero rimasta da sola.

Quanto volevo ritornare indietro e rimediare ai miei errori...ma era impossibile.

«Jang.» udii.

Alzai la testa e guardai l'agente fuori la cella, che mi diceva qualcosa di molto importante.

«Hai una visita.» mi disse.

Non è che avessi poi molta voglia di comunicare col mondo esterno, ma la cosa peggiore era che la persona che era venuta a trovarmi era Rindou.
Mi sedetti e fui pronta per comunicare con lui, qualsiasi cosa avrebbe voluto dirmi.

«Avete cinque minuti.» fui avvisata.

Perciò inchiodai gli occhi a quelli di Rindou e fui pronta per ascoltarlo; non era venuto lì per niente, ne ero certa.

«Allora...come ci si sente? Ad essere così impotente e debole, intendo.» iniziò a dirmi.

«Vai al punto. Che cosa vuoi?» gli chiesi.

«Volevo solo vedere il tuo sguardo. Sai una cosa? Ben ti sta.» sogghignò.

«Te lo ripeto. Che cosa vuoi?» replicai.

«Sai, a me non sono mai piaciute le tipe con cui Ran usciva, ma tu particolarmente non mi andavi giù. E ora capisco il perché.» mi rispose.

Probabilmente era venuto lì soltanto per percularmi. Ma cambiai idea quando si tolse quel sorriso dal volto e divenne serio.

«Sai una cosa? Te lo dirò...voglio proprio vederti morire dalla rabbia lì dietro...» mi disse, prima di iniziare il suo racconto.

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Rindou's pov

Era vero che le tipe di Ran non mi andavano a genio, ma non ero stupido e sapevo riconoscere il normale dal paranormale. E quella ragazza, Kim, di certo non avrebbe preso in giro me. Forse Ran era accecato dai suoi sentimenti, ma io ero lucido e potevo fare qualcosa per lui.

𝐌𝐄𝐍𝐓𝐀𝐋 𝐃𝐈𝐒𝐎𝐑𝐃𝐄𝐑 || Ran HaitaniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora