Capitolo 3: Con tutto l'amore che posso.

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La sera avanza con la danza delle sue ombre. La villa è avvolta da uno strano silenzio. La lezione impartita è servita, spero, a placare l'indole alquanto ribelle del mio leoncino. L'ha fatta grossa. È bene sapersi difendere, ma ricambiare la violenza con un gesto altrettanto violento non è da intelligenti ma da prepotenti. E non mi viene difficile scorgere in questo comportamento l'impronta di Hakan e della sua gentile consorte. È incredibile come tutto torna nella vita. Quanto più cerchi di liberarti di un malanno, esso ti ritorna davanti sotto altre sembianze ma con la stessa intensità e potenza. Siamo tutti ciò che viviamo e respiriamo. Alla fine non siamo fatti solo di carne e sangue, ma anche e soprattutto di ciò che in un modo o nell'altro interagisce con noi. Vivere è specchiarsi continuamente in una dimensione che noi, egocentrici, pensiamo colga solo la nostra figura. Una sorta di ritaglio dal contesto che la nostra anima vuole fare per sopravvivere serena, ma in realtà i particolari che ci circondano e si riflettono non sono solo esterni a noi e quanto più cerchiamo di eliminarli, tanto più finiscono col penetrarci e diventare parte di noi. Perché? Perché il mondo è insistentemente fatto dagli uomini e non può sopravvivere senza di loro. Se cerchi di tagliarlo fuori dalla tua vita, esso ti ritorna addosso sempre più forte, si impone perché vuole continuare ad essere parte di te e lo fa nel modo più subdolo, strisciando lungo le tue gambe e insinuandosi nelle feritoie della tua carne. Poi ti penetra sempre più in profondità, si attacca ai muscoli e li perfora, fino a liquefarsi. È così che inizia a circolare, servendosi del tuo stesso sangue, che a sua volta, ingordo, ne beve ogni goccia. Credo che sia questo il motivo per cui ogni uomo ha in sé una bestia, una sorta di figlio illegittimo, che pure continua a nutrire. Cercare di educare qualcuno che è fuori di noi ci riesce meglio. Difficile, invece, addomesticare se stessi. La paura di ferirsi dentro ci fa desistere. La sensazione di distacco dalle nostre viscere di quel figlio, seppure non voluto, è così straziante che preferiamo continuare a scendere a compromessi, piuttosto che abortire. Davanti ad una buona tazza di tè finalmente la mia anima trova pace e con essa anche questo orribile pensiero. La presenza di Nazli mi rasserena. Lei è quella parte di mondo che ho voluto entrasse nella mia vita e nel mio essere. Con lei questa bestia che è in me diventa quasi accettabile. Certo, gli ululati mi fanno ancora tremare, ma non meno delle sgraffignate dell'altra bestia, il leone, che tanto orgogliosamente ho allevato. E già, perché contrariamente agli altri uomini, che aborriscono davanti alla loro natura, io, invece, ho spavaldamente caldeggiato la nascita della mia bestia. Sono stato io ad aprirgli un varco, perché essa entrasse in me e iniziasse a prendere vita. Ho alimentato con cura e legato alla mia mente, prima ancora che al mio cuore, il suo cordone ombelicale, convinto che il mondo di fuori mi avrebbe fatto meno male. Mi sono semplicemente illuso, perché dentro di me quella bestia fa male, sia quando mi affianca come alleata, sia quando mi oppone resistenza. L'arrivo di Nazli nella mia vita ha dato vita, poi, ad un'altra creatura, che, proprio perché generata in piena maturità, mi dilania l'anima più dell'altra. Ferit Aslan vive davanti al mondo, sopravvive davanti a se stesso. Fino a quando? Quando troverà fine questa sofferenza? Quando potrò finalmente riporre le armi? Luci e ombre si susseguono dentro di me, portando a volte slanci di speranza e altre volte il più feroce sconforto. Forse troverò pace rendendo giustizia a Zeynep e Demir? Forse dando a mia madre un'altra opportunità, riuscirei a lenire almeno in parte il dolore che provo ancora oggi per la sua indifferenza? Non lo so e questo mi rende terribilmente triste. Il sopraggiungere di Nazli mi riporta a terra, in una dimensione certo più umana ma non meno difficile. Davanti a me c'è una donna, che mi ha deluso, mi ha mentito eppure è così dannatamente mia! Lei è la sola capace di attraversare tutta la mia anima senza lasciarne traccia, ma facendomi assaporare tutta la sua presenza. Lei mi scorre dentro come un fiume in piena irrefrenabile, al quale non è però consentito abbeverarsi, ma che ugualmente disseta. È levante e ponente insieme, sole che sorge e tramonta nel medesimo istante. Ti scivola addosso senza mai poter dire che ti appartiene. Ti fa suo senza legarti mai abbastanza. La osservo in tutta la sua minuta ma straordinaria forza. È visibilmente stanca. Vuole bene a Bulut e fa tanti sacrifici per lui, per me. Vorrei che lo facesse per amore e non per rimorso. Vorrei che non si sentisse obbligata, ma, poi, mi mordo le mani pensando che sono stato proprio io a costringerla. Ed è questa costrizione l'origine della nostra distanza. Me ne rendo conto ma non riesco a superare il tutto. Perché? Perché la parola perdono mi fa paura più della morte. Perdonare vuol dire offrire agli altri l'opportunità di riscattarsi, vuol dire dare loro la possibilità di liberarsi di te, vuol dire perderne il controllo. Io non voglio perdonare Nazli, non voglio liberarla, non voglio perdere il controllo su di lei. Nazli potrebbe andare via, abbandonare la mia anima e questo non è minimamente immaginabile. Ho bisogno di sentire i suoi passi nei corridoi della mia reggia. Magari non entrerà mai nelle mie stanze, ma io saprò comunque che lei è dietro la porta, nel mio regno. Voglio bagnare ancora i miei piedi con quelle acque che scorrono attraverso quella porta che riesco solo ad aprire ma mai ad attraversare. Certo, gli ululati del lupo sono un incubo nelle mie notti insonni, ma quella bestia non andrà via con lei. Sono certo che resterà in una landa deserta e fredda ad agonizzare e che mi farà sentire tutto il puzzo della sua decomposizione, ma non mi abbandonerà mai, perché? Perché quella bestia sono io! Essa è me esattamente come il leone. Lupo e leone, nessuno dei due può morire, senza distruggere l'altro. Sono nati dallo stesso sangue, nutrendosi l'uno di ciò che manca all'altro. Ferit Aslan vive nelle sue due bestie e Nazli, volendo o nolendo, è il loro nutrimento. Con i suoi grandi occhi mi osserva, per poi arrossire, abbassando la vista. È così bella, ma mi fa tanto male vederla indietreggiare. Ha paura...lo so. Sente il peso di quanto ha fatto. Cerca di giustificarsi dicendo che dietro di lei non c'è più inganno. Mi rassicura e nel farlo trema. Nazli sa che sono impietoso, ma anche che ormai non posso fare a meno di lei. Vorrei rassicurarla anch'io, ma le parole mi muoiono in gola. Riesco a stento a dire che lei è esattamente ciò di cui io e Bulut abbiamo bisogno. Mentre parla di Bulut e del suo rapporto con lui, Nazli si lascia andare, scoprendo finalmente il fianco. Appoggia il suo copro sul piano della cucina e finalmente riesco ad averla più vicino. Le afferro le mani, le circondo con le mie. Brucia la tazza di tè in mezzo a questo abbraccio, ma più ancora bruciano le nostre gote, i nostri volti, le sue labbra, i suoi occhi. La stringo attraverso le mani e per la prima volta sento entrare la sua anima nella mia stanza. È là immobile. La raggiungo e, stranamente, questa volta non è intenzionata a scappare. Un debole raggio di luce illumina la notte e mi attraversa la carne. Riconosco quel bagliore. Nazli non è entrata per caso nella mia stanza. Ha in mano un libro, il suo. Me lo consegna. Ho quasi paura ad afferrarlo, ma devo farlo. Il coraggio di sfogliarlo, però, viene meno. La paura di sgualcire delle pagine o anche di leggervi sopra ciò che mi farebbe stare male...la paura, questa paura mi appesantisce le mani, rendendole inermi. Quasi mi vergogno di tanta vigliaccheria. Sento il leone ruggire per mettere a tacere il lupo che, famelico, vuole fiondarsi sul libro di Nazli. Le sue fauci ancora spalancate grondano di bava rabbiosa. La preda sottratta gli fa male. Ma non è il solo a provare dolore. Stranamente vedo anche il leone come spossato. La dichiarazione di intenti di Nazli ha dato un duro colpo anche al mio orgoglio. Cosa fare davanti a tanta audacia? L'imbarazzo tinge di rosso il mio viso. Le vene si gonfiano sotto lo scorrere a fiotti del sangue. La pelle si rimpolpa abbozzando un sorriso stentato. Essere colto in flagrante non è affatto piacevole. I miei occhi devono essere poco convincenti perché Nazli decide di affondare definitivamente il coltello nella piaga. Le sue parole rivendicano veridicità al suo modo di essere e suonano come un rimprovero alla mia diffidenza nei suoi confronti. Un velo di tristezza scende sul suo viso. Capisco che in lei il rimorso cammina di pari passo con la delusione di non riuscire a colmare mai la distanza tra l'errore commesso e la fiducia da riconquistare. Aver sacrificato persino il suo essere donna non la sta ripagando...anzi...si aggiunge come ulteriore tortura per la sua anima. Assaporo la sua amarezza, ne percepisco tutto il peso, eppure non riesco a pronunciare le parole che vorrei. E non è per punirla o per arroganza. Tacere su quanto è stato mi viene spontaneo, quanto il riconoscere il bene ricevuto e il comportamento cristallino di ora. So che non le basta, ma la ferita è ancora troppo aperta e non voglio rischiare ulteriore sanguinamento. La prudenza è d'obbligo e una buona dose di orgoglio lo è ancora di più. Ma la sete di lei prende il sopravvento. Averla così vicina, con gli occhi bassi e le mani allacciate alle mie mi fa folleggiare. I sensi reclamano la loro dose di soddisfazione. La sua remissiva accettazione della mia presenza mi spinge ad osare. Non oso parlarle direttamente della mia sete di lei, ma le dico chiaramente cosa rappresenta per me. Nazli è una fonte di acqua purissima, fresca, cristallina. È l'acqua che nutre il mio legno piallato e forgiato dalle mani esperte della vita. E' tutto ciò che mi rende vivo ma questa sera a voler vivere siamo in due. Le guance della mia signora ora sono rosse come il fuoco. Gli occhi brillano e finalmente mi parlano con la voce del desiderio. La sua anima, ancora nella mia stanza, indugia. È bellissima mentre mi sfida. Per la prima volta il terreno di battaglia non sono io. Con mia grande sorpresa, mi accorgo solo ora di calpestare una terra nuova, seppure ancora nella mia stanza. Per la prima volta si scende in campo ad armi pari: mie le pareti, suo il pavimento. La passione brucia, armando le mani di entrambi. I calzari avvolgono le nostre caviglie con le cinghie del desiderio. Nessuno scudo, nessuna armatura. A petto scoperto si combatte, perché nessuno dei due è intenzionato a schivare i colpi dell'altro. Senza esclusione di colpi, le nostre due anime si accingono ad una battaglia senza precedenti. Ruggisce la belva, scuotendo la criniera e assaporando già il sapore della pelle di lei. Dall'altra parte, il lupo, persa la sua spavalda e sfacciata famelicità, osserva terrorizzato i due contendenti. La sua posizione è pericolosa, perché da una parte c'è l'anima che lo ha generato e dall'altra quella che lo sta alimentando. Perché tale è il desiderio: non c'è mai scampo, né per chi desidera, né per chi è desiderato. Il venir meno di uno dei due crea comunque una menomazione, uno strappo a cui potrai pure col tempo mettere una toppa, ma che di fatto sarà sempre ben evidente sulla tua pelle. E sotto la pelle di Ferit Aslan, ora più che mai, la battaglia imperversa e fa tremare i polsi. Ma da chi partirà il primo colpo? E l'ultimo e decisivo? Domande che restano a galleggiare nella fatua atmosfera di questa strana notte perché il piccolo Bulut chiama, rompendo le righe nei rispettivi eserciti. Una corsa affannata e disordinata verso i propri accampamenti, lasciando però ancora impresse nel terreno di scontro le impronte. Staccarsi diventa penoso. La stessa Nazli temporeggia e questo suo indugiare nei miei occhi mi fa impazzire. La vedo andare via e mai come in questo momento vorrei stringerla a me, forte fino quasi a soffocare la sua vita nella mia. La seguo con gli occhi e fatico a tenere ferma la mia anima, che in realtà recalcitra al pensiero di vederla scomparire nel labirinto di stanze di questa casa. La sensazione di calore resta, però, ancora bene impressa nelle mie mani, che sentono viva la sua pelle sotto la mia. Lei non lo sa ancora, ma strato dopo strato mi ha sfogliato l'anima e mai avrei immaginato di poter permettere ad una donna di farlo. In tempi non sospetti mi sarei definito uno stupido. Ora non mi chiedo nemmeno più se sono un uomo. Ora sono solo Ferit, il suo Ferit. La sera volge al termine e il freddo di fuori spinge ad andare a letto. L'idea di poter riallacciare la mia Nazli in camera da letto mi rende piacevolmente audace. Forse quel divario che divide il nostro letto potrà finalmente essere colmato. Immagino già le mie mani scorrere sui suoi fianchi e indugiare sul suo seno. Rotondità per ora solo vagamente percepite, ma stranamente così presenti nella mia mente, che ne saprebbe disegnare l'essenza. Quei suoi capelli fluttuanti sul cuscino sembrano ami che adescano i miei sensi e riempiono di fantasie il mio desiderio. È evidente che stasera non ho alcuna intenzione di andare a letto e chiudere gli occhi senza il mio premio. La voglio e l'avrò! Ma...non tutto nella vita scorre nel verso giusto e il sopraggiungere di Asuman e Deniz finisce con il rovinare quella che sembrava destinata ad essere una sera perfetta. Due ospiti che farei a meno di vedere, non solo stasera. Deniz mi fa ribollire il sangue. Asuman mi solletica i nervi. Insieme questi due sono miccia e dinamite pronte ad innescarsi e ad esplodere. La presenza di Asuman mi rende irrequieto. Ogni volta con lei è una lotta interiore continua e terribile. Non dimentico il suo gesto e soprattutto la sua motivazione. Qualcuno mi potrebbe dire che non è tanto diversa da migliaia di altre giovani adolescenti, ma io non riesco a farmi scivolare la sua voglia di emergere e di riscattarsi a tutti i costi e nel minor tempo possibile. È un modo di fare e di essere che non mi appartiene e che ho sempre detestato negli altri. Certo, l'arrivismo fa parte della categoria umana, ma vederlo in una ragazza così giovane, con delle radici così ben radicate, fa impressione. A maggior ragione quando la pietra di paragone è una sorella, la mia Nazli, che nulla ha a che vedere con tutto questo. Non essendo, quindi, dovuto ad ambiente di famiglia o contesto culturale, ne deduco che Asuman è così per natura. È una impostazione sbagliata della sua indole, che fa paura e che va corretta, ma io non sono nessuno per poter alzare la voce su di lei. La stessa Nazli sembra essere impotente e spesso vittima della sorella. Una piaga che avvelena e rende tossica l'aria che respira. Per quanto mi sforzi, io non riesco proprio a digerire Asuman. Quello che più mi interessa ora è proteggere la mia guerriera ed evitare che sua sorella possa farle del male con le sue pazzie. Fingere è il minimo. Tenere vicino il nemico, per studiarlo e schivarne i colpi...necessario. Insomma, la guerra continua ma su altro fronte e con un altro nemico, che questa volta ha un valido alleato. Asuman è infatti accompagnata da Deniz. Come dire? Il massimo per la mia serenità. Non ci siamo visti molto ultimamente. Dopo l'incidente i nostri rapporti sono diventati più tesi che mai. Ci sono due cose che mi fanno paura di lui in modo diverso. Da una parte il fatto che lui sappia del nostro finto matrimonio mi stria i nervi rendendoli tesi e sensibili come una corda di violino. L'idea che possa riferire ad Hakan e Demet la verità rimetterebbe in ballo la decisione del giudice e soprattutto la vita di Bulut. Cosa che non voglio nemmeno immaginare. Dall'altra il suo folle amore per Nazli, che lo rende bersaglio e arma allo stesso tempo. I suoi occhi mi sfidano prima ancora della bocca. La sua mancanza di freni lo rende spavaldo e fastidioso. Lo vedo muoversi per casa e sento un moto di ribellione interiore che fatico a contenere. È evidente la sua mancanza di educazione e più ancora la voglia di provocarmi. Questa casa non è più quella di un uomo single che si accompagna con la solitudine o con il piacere a convenienza. Queste pareti, questi arredi appartengono ad una famiglia. Gli oggetti parlano di un vissuto, trasudano ricordi e tramandano emozioni di un uomo e una donna ormai intimi. Quel suo toccare, muoversi indisturbato mi innervosisce. È come se oltrepassasse il limite sottile ma pure presente tra il poter vedere e l'immaginare. Le sue mani si allungano sulla mia collezione di dischi. Un gesto che in altri tempi non mi avrebbe destato nessuna sensazione, ma ora...mi urta profondamente. Perché? Perché il suo non è solo un frugare tra le mie cose, è un volersi insinuare tra i miei affetti, tra le mie relazioni. È volersi intromettere tra me e Nazli. Cerco di recuperare la calma, sedendomi al mio solito posto. Non ho nessuna intenzione di concedergli quanto mi appartiene, comprese le abitudini. Stringo con le dita della mano il bicchiere di whisky, ma è evidente dal tenore della morsa che è ben altro ciò che la mia anima stringe. Il lupo ringhia, il leone sbraita mentre traccia intorno una sorta di solco. Sento le unghia penetrare nella mia carne fino a raggiungere le ossa. E più Deniz parla e più gli artigli vanno in profondità. Fino a quando la rabbia diventa incontenibile. Davanti all'ennesimo tentativo di intromettersi nel mio matrimonio, dopo l'ennesimo mettere in dubbio non i sentimenti ma la libertà stessa di Nazli, i nervi vacillano e nel farlo riversano le acque del mio fiume in un letto troppo stretto per contenerne la portata e la furia. Il vaso è colmo. Con uno scatto che ha in sé la forza delle mie bestie afferro la mia Nazli e la metto al sicuro davanti al predone. Lei è esattamente dove deve essere. Lei è con me, in me, perché quello che era iniziato come un contratto siglato con l'inchiostro è diventato un patto di vita siglato con un sentimento che va ben oltre i sensi. La voce si ispessisce e quasi mi sorprendo di me stesso. È difficile che io perda le staffe, ma questa volta è così. Voglio che Deniz capisca che non ho nessunissima intenzione di lasciarmi portare via Nazli né da lui né da altri. Voglio che sappia che tutto di lei mi appartiene, perfino il respiro, e che non permetterò a nessuno di dissetarsi a quel fiume che è solo mio. Nonostante la voce alta e le parole perentorie, gli occhi di Deniz restano fissi nei miei. Non ha nessuna intenzione di desistere e io non mi tirerò certo indietro. Dovessi armare un intero esercito, porterò avanti fino alla morte questa guerra. Lo scatto felino fa reagire Nazli, che prontamente mi rimprovera. Il suo tentativo di rimettermi in riga fallisce miseramente. So io cosa mi bolle dentro! Un incendio che, aizzato dalla gelosia, nutre le fiamme dell'ira. Il suo richiamo all'ordine non sortisce effetto nemmeno su Deniz che resta visibilmente teso, col piede di guerra. Solo il sopraggiungere inaspettato di Demet pone una tregua alla nostra guerra. Il trittico ora è completo. Manca solo Hakan e non garantisco la serena chiusura della serata. Per un attimo il cuore di tutti sembra fermarsi. Il sangue si raggela nelle vene. Demet sembra essere sconvolta. Non so se gioire del suo terrore o temere la sua presenza. Una cosa è certa, quando c'è lei, di solito arriva anche il marito e con entrambi sono solo guai...grossi guai. Deniz, come fosse il padrone di casa, le apre la porta e, sostenendola, la fa adagiare sulla poltrona. Gli occhi di Demet sono rossi di lacrime e sembra balbettare qualcosa che ha a che fare con Hakan. La mia naturale diffidenza mi fa prendere le distanze da questo dramma tutto fraterno. Conosco questa donna, le sue capacità di tessere inganni e soprattutto la voglia di rivalsa sulla mia vita. Non farò più l'errore di darle fiducia. Quel Ferit è morto tanti anni fa e con lui l'ingenuità che l'amore dà nei primi momenti. Ho mostrato il fianco, le ho offerto la mia pelle, ho lasciato che solcasse con le sue unghia la mia carne per poi farmi masticare come una qualunque selvaggina. Ed è anche per lei che sono quello che sono. Ma ormai per lei la stagione di caccia sul mio territorio è chiusa e non ho nessuna intenzione di riaprirne un'altra. Basta il solo nome di Hakan a farmi diventare odiosa anche l'aria. Il mio istinto mi dice di non fidarmi e di tenere lontano lei e suo marito dalle persone che amo. Mentre Deniz cerca di tranquillizzare Demet, l'ansia dentro di me mi divora. Non riesco a provare compassione per lei e la sola cosa che voglio è che dica finalmente quello che vuole dire e vada via. Ho paura per Nazli, per Bulut. Vedo la rabbia di Deniz esplodere con la solita carica impulsiva, prima ancora di sapere perché sua sorella è in questo stato. Le dinamiche della sua mente non le ho mai comprese e la freddezza, per non dire l'aridità nei confronti di sua sorella, mi staccano completamente dal gruppo. A volte osservare da un'angolazione o comunque dall'esterno serve a comprendere meglio le situazioni. Una telefonata di Hakan rompe il silenzio e innesca nuova tensione. Demet cambia improvvisamente le carte in tavola, credendo di darla a bere a tutti. È evidente che Hakan le ha intimato di tacere. Ora tutta la situazione è paradossale ma ancor più la sceneggiata di amore ritrovato con tanto di rosa rossa inscenata da Hakan. Il disgusto per quest'uomo è pari solo alla potenza della rabbia che provo ogni volta che lo sento parlare. L'uscita di scena dei coniugi Onder sposta il baricentro del discorso su un piano più neutrale. È evidente che c'è qualcosa che in loro non va, così come la paura di Demet nei confronti del marito non lascia spazio a dubbi. L'unico che può risolvere o per lo meno sapere di più è proprio Deniz. Mentre penso, gli occhi mi cadono sulla mia donna. Ha le gote rosse. È visibilmente preoccupata per Bulut e questo mi rattrista. La presenza di Asuman e Deniz toglie naturalezza alle mie azioni. Vorrei abbracciarla e farla sprofondare nel mio cuore. I suoi occhi mi cercano e sembrano chiedere aiuto. Certamente questa situazione l'ha stressata e il fatto che mi cerchi in un momento simile mi rende felice. Una battuta fuori tema di Asuman frantuma definitivamente l'atmosfera ma libera finalmente la casa. Siamo di nuovo io, Nazli e il piccolo Bulut. Il tempo di liquidare tutti e due gli "ospiti" e raggiungo la mia guerriera in camera del mio leoncino. Bulut dorme e Nazli è al suo fianco. Lo accarezza, lo riempie di baci e poi alza i suoi grandi occhi fissandoli nei miei. Sprofondo nella tenerezza di quella immagine. Ho sempre desiderato una vita così, sin da piccolo. Solo il cielo sa quanto mi siano mancati i baci e le carezze di mia madre da piccolo! Mentre mio padre trovava ai miei occhi una giustificazione, lei no. La sua distrazione nei miei confronti era pari alla sua tracotante presunzione di gran donna. Vedere ora con gli occhi di un adulto le immagini di allora crea in me una sensazione dolorosa. Non desidero altro che sigillare quella maledetta stanza della mia fanciullezza in cui grandeggia una vestaglia di donna dal profumo inesistente perché mai assaporato. L'amarezza di allora cede il posto alla dolcezza di ora. Ancora una donna protagonista, ma questa volta è come davvero voglio io. Nazli è così ben disposta stasera che mi diventa impossibile non assecondarla. Mi siedo anch'io sul letto. Il dialogo delle nostre anime riprende dal punto in cui era stato interrotto e forse, in realtà, nessuna delle due si è mai allontanata dal terreno di battaglia. Intrecciare gli sguardi, mentre le mani fremono è un'ebrezza che provo solo con lei. Forse perché mai nessuna donna mi ha posto resistenza in modo così ostinato, o, più probabilmente, perché lei è la sola che è riuscita davvero ad entrarmi dentro. Il mio leoncino dorme beatamente. Per fortuna non ha sentito nulla. Un po' lo invidio perché lui ha ancora sogni da fare e realizzare. Più si cresce e più si smette di sognare. La realtà entra di cuneo nella vita, imponendo le sue regole e demolendo ogni prospettiva personale. La verità è che i sogni restano tali e niente hanno a che fare con la vita reale. Io, poi, non ho sognato nemmeno da piccolo. Una stretta al cuore, riconoscibilissima, mi comprime il petto, facendo venir meno il fiato. Fa male e il dolore che provo mi fa rifugiare là dove mi sono sempre sentito al sicuro. Una corsa furibonda attraverso rampe di scale e porte varie, per giungere nella mia sala del trono, tra le zampe del leone, madre e padre del piccolo Ferit. Ricordo ancora quando le nostre facce si trovarono per la prima volta l'una di fronte all'altra. I suoi occhi erano i miei, ma più induriti. La sua bocca era la mia, ma più silenziosa. I suoi arti, le sue membra...tutto era straordinariamente uguale a me, ma amplificato e marmoreo. Pietra scolpita che si anima o, piuttosto, anima che si marmorizza. Solo la presenza di Nazli lenisce in parte questa profonda sofferenza. Non che mi regali sogni...anzi! Con lei c'è poco da sognare. Ma, almeno, mi fa sentire uomo e non più marmo. Come al solito, la mia bella signora sul bel mezzo mi sguscia via, lasciandomi con tanto di fiato sospeso nella stanza di Bulut. Il richiamo di lei, però, stasera è troppo forte. Quella bestia immonda che è in me ulula vogliosa. Resistere è impossibile. Cerco di frenare i sensi, ma essi galoppano a briglie sciolte. Disteso nel letto al suo fianco, fatico a prendere sonno. Il desiderio di Nazli si mescola alle strane sensazioni sperimentate nella giornata. L'irrequietezza si fa spazio e il leone fa capolino dietro la porta. Ora più che mai è necessario mantenere la lucidità mentale che solo la regalità del mio orgoglio può garantire. Ad un passo da me, la mia donna riposa...anzi no. Nazli non sembra intenzionata a dormire. Stasera ha una strana tendenza a scorticarmi vivo. Sembra una di quelle abili tessitrici che tessono la loro tela, intrecciando i fili e pressandoli tra loro. Ecco...il termine giusto. Nazli mi sta pressando. La sua curiosità la spinge a chiedermi della mia prima storia d'amore. Niente di più penoso per me. Ricordare quel periodo buio della mia vita è l'ultima cosa che voglio ora. Taccio e lei si offende. Non so se ridere o preoccuparmi, fatto sta che la fatica prende il sopravvento e gli occhi si chiudono finalmente su quello che è stato un giorno interminabile.

Sotto la pelle di Aslan 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora