"Mamma devo salire in casa di papà, mi servono i vestiti per stare in quel posto di merda."
Mia madre spalancó la bocca e alzó la mano destra, come se mi stesse per dare uno schiaffo. Poi la riabbassó di colpo, dopo aver fatto un sospiro.
"Vai a prendere una borsa e mettici tutto quello che ti puó servire. E non usare questi termini davanti a me."
Abbassai la testa, cominciando ad aprire lo sportello della macchina mentre lei parcheggiava sotto casa di mio padre, che ancora non credeva che si sarebbe liberato di me.
"Come se ti importasse." borbottai.
Poi salii fino all'appartamento del terzo piano, entrai e dentro alla mia vecchia borsa nera di quando ancora praticavo ginnastica, misi oltre a vestiti e biancheria intima, anche i miei CD preferiti.
Presi anche un libro, un classico, e il cuscino morbido che si trovava sul mio letto.
Lo misi sotto il braccio, e poi mi allontanai, dando le spalle alla mia stanza, che non avrei visto per molto tempo.Quando scesi sotto casa mia, mia madre era appoggiata alla macchina con le braccia incrociate, mentre mio padre fumava una sigaretta seduto nel sedile a fianco a quello del guidatore.
"Finalmente." disse mia madre.
Sbuffai.
"Io ora devo andare in ufficio Beatrice, mi dispiace. Il viaggio è lungo, e non posso mancare per così tanto."
Si portó le labbra dentro la bocca, spalmandosi bene il lucidalabbra.
"Ti accompagnerà tuo padre, d'accordo?"
Annui. Per me era indifferente.
Mi avvicinai a lei e la abbracciai.
Dopotutto era pur sempre mia mamma, e le volevo un gran bene.
"Ti verró a trovare." disse, con gli occhi lucidi. Le sorrisi. Poi frugó nella borsa, e estrasse un cellulare.
Nel 1993 non c'erano ancora i cellulari supermoderni, ma questo per il periodo era nuovo.
Se non fosse per una piccola antenna che pendeva sopra lo schermo
"Chiamaci, quando ne avrai bisogno." mormoró.
"D'accordo, ciao ma'."
Mi accarezzó una guancia.
"Andiamo su, ragazzina." scherzó mio padre.
Alzai le sopraciglia verso mio padre, e vidi mia mamma che si allontanava dalla macchina, sculettando verso un treno più vicino.
Lui si mise al posto del guidatore e io mi sedetti davanti, scaraventando la borsa nei sedili posteriori.
Dopo tre ore di viaggio, arrivammo in quella che si poteva chiamare Accademia.
Era in mezzo al nulla.
Prima di trovare qualche negozio o ristorante ci dovevano essere almeno 35 minuti di treno.
L' Accademia era grande, molto grande, circondata da grandi mura. Per entrare bisognava attraversare un cancello. Alla sua sininisra c'era una casella in cui era seduto un uomo anzianotto.
Una specie di guardia, pensai.
Ci chiese i nostri nomi.
"Beatrice Collins, sono qui perchè mi ci hanno portata a forza."
L'uomo sorrise. "Non sei l'unica."
Cosa?! Scherzava o diceva sul serio?
"Ci ha spedito la lettera il tribunale di Boston circa due ore fa. La tua camera è già pronta. La condividerai con un'altra ragazza. Ti ricordo che l'istituto è solamente femminile. Non combinare stronzate -ha detto sul serio stronzate?!- o la passerai male. Quindi, regolati -si, certo bello-."
Gli rivolsi un finto sorriso.
"Comunque," fece una pausa "benvenuta all'Accademia Femminile di Ginnastica Artistica, TGC School, o Training Gymnastics School."
Ci aprì il cancello ed entrai, in quella che sarebbe stata la mia casa per i prossimi mesi.
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non ho sprecato la vita
Romance"Condannata per furto e rapina, signorina Beatrice, le diamo due possibilità." "Mi dica." mormorai annoiata. "Le aspetta o il cercere minorile del Texas, o l'accademia di ginnastica artistica femminile." "Carcere minorile!" urlai. "E vada per l'acca...