Capitolo cinque.

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Il cancello si aprì, la prima cosa che notai fu la forma a U dell'Accademia. L'uomo, che scoprii più tardi si chiamava Alfred, ci spiegó com'era suddivisa.
Indicó con un dito verso sinistra.
"Ecco vedi?, li ci sono le camere, le ragazze dormono, mangiano e vivono lì. Al centro c'è l'ingresso e più a destra le palestre. Be' si, in effetti vivrai più in palestra che nelle camere, ma comunque queste sono cose che tocca a te scoprire."
Lo guardai bene.
Non si radeva la barba da qualche giorno, i pochi capelli che aveva erano grigi e neri, le labbra erano secche e la pancia grossa. Iniziamo bene, pensai.
Mio padre parcheggió davanti all'ingresso, poi scese dalla macchina, mi prese la borsa e si diresse verso il portone, con me dietro, che lo seguivo come un cagnolino, intimorita, per la prima volta, di dover rimanere davvero sola.
Entrammo dentro, era tutto molto spazioso e pulito. Alla reception c'era una donna sulla quarantina, era bella, ma consumata dalle rughe.
Le parlammo - o meglio, mio padre le parló - della nostra situazione, e lei ascoltó in silenzio, senza dire una parola. Dopo aver finito la storia, lei mi guardó fissa e io ricambiai lo sguardo.
Restammo un minuto così.
C'era silenzio, nessuno parlava.
Io e lei che ci guardavamo e basta.
Poi all'improvviso sentii un forte e orribile rumore.
"PAPÀ!" urlai.
"Scusatemi", disse lui "il viaggio è stato lungo."
"E questo ti pare una buona ragione per emanare cattivi odori dal tuo grosso e schifoso culo?" bisbigliai,
ma abbastanza forte che pure
la ragazza alla reception sentì.
Lei cercava di trattenere una risata, ma teneva le labbra ferme e contratte per non farsi scappare nessun gemito.
"Comunque, lasciate che mi presenti", disse lei "io mi chiamo Cornelia, piacere di conoscervi. Beatrice, ti stavamo aspettando, avevamo ricevuto articoli e lettere da Boston qualche ora fa, ma ti aspettavamo domani. Ma, va bene comunque. Prego, seguimi."
Si alzó dalla sedia dietro il balcone, prese una chiave e si diresse verso l'atrio di un corridoio.
Mio padre, mi guardó e fece segno di no con la testa. Non poteva sopportare ancora la danza.
"Va bene", gli dissi "a presto papà."
Mi abbracció. "Mi raccomando, chiama quando vuoi, anche se non sembra io e la mamma ci siamo sempre per te, lo sai."
Annuii. Poi, si sciolse dall'abbraccio e si diresse verso l'uscita, salutandomi con una mano.
"Mi mancherai!" urló ormai da dentro la sua vecchia macchina.
"Immagino", pensai fra me, ma sorrisi comunque, e poi mi diressi in fretta verso Cornelia, che stava zampettando con i suoi tacchi a spillo, come un piccolo uccello, verso camera mia.
Dopo due piani di scale arrivammo a destinazione.
"La tua camera è la 118, ricordatelo. Ricordati anche di non perdere le chiavi, ne abbiamo solo un'altra di riserva, e poi" sospiró "stai attenta e comportati bene".
Squadró i miei capelli.
"Belli eh" le dissi.
"Si." rispose con disgusto.
Aprì la porta, e vidi subito una ragazza, con dei capelli neri lunghi fino alle spalle, la pelle chiara e tante lentiggini.
Stava provando un grand pliè, ma il piede sinistro era messo male.
Smise di fare quello che stava facendo, appena mi vide, e si avvicinó a me.
"Ciao" mormoró piano, aveva una voce dolce.
"Io sono Jenevieve", continuó.
"e tu come ti chiami?"

Nota Autrice:
Care ragazze che leggete le mie storie, vi rubo due minuti, perchè mi volevo scusare con voi, non pubblico nessuna storia da tanto, ma tanto tempo, e non ho neanche potuto avvisarvi.
Volevo anche scusarmi per tutti gli errori grammaticali che faccio,
correggetemi, non preoccupatevi, non mi offendo, anzi. Mi fa davvero piacere leggere i vostri commenti, per questo scrivetemi e consigliatemi come potrei migliorare, suggeritemi come potrei far mandare avanti la storia e cose simili. Siete tutte meravigliose.
Ricordate che ogni vostro commento significa un mio sorriso.
Baci,
Carlotta.

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 16, 2016 ⏰

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