Il 10 dicembre era il suo compleanno, era il suo diciottesimo compleanno, andai a casa sua, come ogni mattina, con un mazzo di fiori a caso. Lei era felicissima, lasciò il mazzo sulle scale e andammo a scuola. Tutte le fecero gli auguri, anche i professori.
Nel pomeriggio, ovviamente, andò dal parrucchiere e dalla make up artist per prepararsi per la sua festa. Io mi feci il più bello possibile. Una camicia bianca con completo smoking e cravatta blu.
Il locale era a dieci minuti dal paese, era una villa rustica, con piscina e giardino. Essendo dicembre la festa si è svolta al chiuso.
Il suo vestito era nero, un corsetto nero con scollatura a cuore e la gonna lunga fino alle ginocchia, un paio di dècolletè neri e i capelli biondi raccolti in uno chignon, posso dire che era una dea.
C'erano alcuni parenti come la zia che l'aveva ospitata in casa, la nonna e il nonno paterni e le sue due cugine, i suoi amici stretti e io con altre cinque compagne di classe, non eravamo molti ma meglio di niente.
La festa si stava svolgendo tranquillamente, ballammo, bevemmo e parlammo.
Sembrava un normalissima festa, finché non la vidi andare in bagno da sola, con una borsa e guardava la folla per assicurarsi che non la vedesse nessuno.
La seguii nel bagno. "Alice..." la chiamai e lei si girò di colpo, spaventata. "Dio, Carlo, mi hai fatto prendere un colpo". Le chiesi se fosse tutto ok e lei mi disse di si con voce che tremava mentre cercava di nascondere la sua borsa. "Alice." dissi secco, "cosa stai facendo?". Sapevo già la risposta. Non mi rispose ma evitò il mio sguardo, le rubai la borsa, l'aprii e c'era una fiala di Fentanyl. La presi e poi la guardai. "Dio Alice, ma che cazzo, ora devi farlo?".
Lei non disse niente, "Alice, parlami, dimmi che cazzo di intenzioni hai". Ancora rimase in silenzio. Stava arrivando qualcuno quindi afferrai la busta con il Fentanyl ed erroneamente la rimisi nella borsa, cazzo, un errore, dovevo metterlo nella mia tasca.
Lei si riprese la borsa guardandomi male. La presi e la spinsi dentro la toelette. Chiusi la porta a chiave, eravamo vicinissimi, il bagno era piccolo. Sentivamo i nostri respiri. Non resistetti, le presi il viso e la baciai, con foga, lei ricambiò.
Le sue mani scivolarono sul mio membro, le afferrai il polso e le chiesi: "proprio ora?".
Lei mi rispose: "sarà una sveltina". Allora ci abbracciammo. Il suo profumo era buonissimo. Mi sbottonai il pantalone e le spostai la mutandina. Lei gemette, di piacere. Eravamo sul gabinetto, lei che saliva e scendeva tenendomi il viso con le sue mai fredde e sottili. Si fece scappare un "ti amo Carlo". Diedi sfogo al mio piacere dentro di lei.
Lei mi disse: "è stato bellissimo" e mi diede un bacio veloce. Si risistemò la mutandina e io mi risistemai il pantalone. Uscimmo dal bagno e tornammo alla festa per un'altra oretta, come se non fosse successo niente. Allora lì ho capito che ero innamorato di lei, lo ero da tanto e non l'avevo mai capito, o forse non l'avevo mai voluto ammettere a me stesso. Quel ti amo che mi aveva sussurrato nel bagno, mi aveva dato i brividi.
Alice scomparve di nuovo, lo notammo quando i camerieri uscirono la torta, mentre sua zia sistemava il tavolo, andai a cercarla, insieme alla cugina. Guardammo ovunque. Tranne il bagno. Tornai da sua zia e le dissi che non la trovavo, allora la chiamammo al telefono ma era disperso.
Poi mi ricordai del Fentanyl, ed è li che feci due più due. Scattai verso il bagno, aprii la porta e la trovai stesa a terra. Pallida e priva di vita. Urlai e piansi. Sentii il vocio degli invitati avvicinarsi. Sua zia mi spostò e diventò pallida di colpo. Vedevo e sentivo tutto al rallentatore, il mondo si era fermato di botto e crollato sul mio petto. Non riuscivo a respirare. Ero stanco.
Due ore prima era sulle mie gambe, ora era sdraiata sul pavimento freddo, il corpo pallido, freddo e molle, che prima abbracciavo, calda e rosa, ora era avvolto dall'abbraccio della zia che urlava un dolore straziante, che squarcia la notte del suo compleanno. Altri inviati pure piansero, la cugina era distrutta e abbracciava la sorella. Io ero seduto per terra con la testa poggiata al muro, sull'uscio della porta, le mie lacrime che scendevano sulle guance. Una compagna mi si avvicinò e mi accarezzò la spalla, gliela allontanai, volevo godermi per l'ultima volta il suo ultimo caldo abbraccio, il suo ultimo respiro. Diedi un'ultima occhiata al corpo esamine della mia amica e dell'amore della mia vita. Accanto a lei c'era la fiala vuota del Fentanyl e la siringa.
Presi la borsa, uscii dal bagno, attraversai la grande sala, dove c'erano alcuni invitati in silenzio, con il viso triste, qualcuno piangeva, le candele ancora accese sulla torta, le spensi io per lei e osservai il fumo che si disperdeva nell'aria, come la sua tormentata anima.
Uscii fuori nel buio, guardai le stelle, nel sottofondo del suono delle sirene dell'ambulanza dissi: "Alice, io ti amo, perché sei la mia migliore amica testarda. Perché cazzo mi hai fatto questo?". Le sue ultime parole che avevo sentito erano: "ti amo Carlo", me le aveva dette nel bagno. Nella sua borsetta c'erano la bustina vuota del Fentanyl, il suo cellulare pieno di chiamate perse da parte della zia e da parte mia e una busta della lettera con su scritto "per Carlo".
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mezzanotte e diciassette
ContoCaro Carlo, probabilmente troverai questa lettera quando non potrai più parlarmi e mi dispiace lasciarti con un immenso dolore nel petto e nel cuore. Io ti amo e lo sai benissimo ma ho bisogno di dirti delle cose. Forse così mi avrai conosciuta molt...