Tram - La folle ribcorsa del niente

7 0 0
                                    

TramLa folle rincorsa del niente

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Tram
La folle rincorsa del niente

Erano le sei in punto; l'ora in cui si stacca dal lavoro per poter finalmente rincasare, dopo un'estenuante giornata produttiva.
Fu proprio allo scoccare della diciottesima ora del giorno che un bagliore lucente attirò l'attenzione di Giorgio, indaffarato a catalogare le ultime pratiche prima di poter abbandonare la sua confusionaria scrivania e in fin di giornata tornare, così, a casa.
Era Laura.
Laura era una ragazza carina, solare, simpatica, di buona famiglia e frequentava l'università; fondamentalmente ella rappresentava l'amore platonico del buon Giorgio, il quale era caratterialmente l'esatto opposto della ragazza.
Lei era bionda, con i capelli mossi e gli occhi verdi e ad una bellezza disarmante faceva combaciare una mente che avrebbe fatto invidia al più grande degli scienziati del Mondo.
«Ci sei al Brind stasera?» recitava il messaggio.
Giorgio si fermò qualche secondo per pensare a cosa rispondere alla ragazza, non visualizzando la chat ma restando nel limbo della home del telefono; dal quale leggeva senza risultare online.
Lei non sapeva se lui avesse letto ma lui, di fatto, aveva letto e sapeva anche che la ragazza non poteva conoscer ciò.
«E ora?» pensò Giorgio tra sé e sé.
«E ora che le rispondo?» disse ancora la vocina nella sua testa.
«Potrei... potrei andarci... me lo ha chiesto lei...» si udì dalla sinistra dell'astratta scura stanza dove riposava la mente del ragazzo.
«Ma domani si lavora» incalzò una corrente proveniente dalla destra delle sue meningi.
E la testa di Giorgio si muoveva, prima da una parte e poi dall'altra, voltandosi prima verso sinistra e poi verso destra, ma stavolta nella realtà e non più nella sua fantasia.
E faceva avanti e indietro, destra e sinistra, ancora e ancora.
Ovviamente la grottesca scena non passò inosservata e fece restar di stucco i colleghi che, dovendo timbrare il cartellino essendo orario di chiusura, passavano proprio davanti alla scrivania del giovane.
«Raspulli, stai bene?» tuonò l'avvilente segretaria del boss, la dottoressa Valenza.
«Certo!» rispose a mo' di cadetto l'altro, ricomponendosi in sé stesso al cospetto della donna.
L'anziana e rugosa lecchina del boss, constatato lo star in sanità del ragazzo, se lo liquidò con uno sguardo fulmineo, senza nemmeno un cenno di saluto, andandosene subito dopo con la stessa assoluta scioltezza con la quale era arrivata fin lì.
Giorgio intanto tornò a pensare, meditando e meditando sul da farsi per la serata:
«Avanti, ci vado!» decise.
Così, immediatamente dopo la scelta, subito pigiò i tasti del telefono per sbloccarlo e immergersi nell'applicazione di messaggistica; così da rispondere alla sua cara Laura.
La ragazza era online e visualizzò il messaggio dell'altro immediatamente; con Giorgio che rimase a due poco galvanizzato da ciò, non riuscendo a trattenere un timido sorriso sulle labbra.
«Ci vediamo lì allora» comunicò lei, con annessa faccina che manda il bacino.
«La faccina! La faccina!» tuonò il suo cervello.
E la festa poté cominciare.
File di elefanti si apprestavano ad entrare alle porte di Baghdad, in un panorama di festa da mille e una notte che faceva da scenario alla fantasia del giovane... che già si vedeva sultano e sposato con la bella Laura, a cavallo del loro tappeto volante pronti per scoprire nuovi mondi; insieme, per sempre, nel bene e nella cattiva sorte.
L'emoji aveva alterato il rilascio di endorfine e serotonina nella mente del ragazzo, forse fin troppo considerando il basso tasso di resistenza delle sue sinapsi a scambi di quel genere di potenti sostanze
Visualizzò Giorgio, senza rispondere, così da conservare l'immagine da duro sicuro di sé agli occhi della ragazza, mentre dentro il cuore gli batteva all'impazzata e le sue mani sudavano come se avesse corso una maratona.
«Magari stasera è la sera giusta» pensava tra sé e sé il giovane, mentre sistemava gli ultimissimi documenti prima di andar via dall'ufficio.
«Magari... magari» rimuginava nei suoi pensieri.
Un rumore sul tavolo, nel mentre, attirò nuovamente la sua attenzione, così il ragazzo deviò lo sguardo verso lo smartphone posizionato a faccia in giù sulla scrivania.
«Forse è ancora lei?!» incalzò subito l'eccitata mente di Raspulli, lanciando via i fogli che aveva in mano per fiondarsi verso il lucente bagliore del telefono acceso.
Subito la manona gonfia di Giorgio si allungò lungo tutto il lungo mobile in legno di finissimo abete, dribblando le innumerevoli scartoffie e i bianchi fogli protocollo che lo separavano dal suo tesoro tanto agognato.
Così, sforzando fino all'ultimo millimetro dei suoi polpastrelli si apprestava ad arrivare lì dove riposava, da qualche secondo, lo smartphone che aveva appoggiato poco prima sul tavolo.
«No!» ruggì, a voce alta, Giorgio nel leggere il messaggio.
«Quindi Brind?» aveva scritto Kevin.
«Lo odio» tuonò, concludendo la chiacchierata con sé stesso, il giovane, e lasciando così rimbombare le sue parole al veleno per tutto l'ufficio ormai quasi totalmente vuoto.
Tra Giorgio e Kevin non correva buon sangue o almeno così era per il primo dei due, poiché il secondo era uno degli spasimanti di Laura; fin troppo ricambiato da parte della ragazza nelle uscite pubbliche della comitiva.
Belloccio com'era, con quel lungo ciuffo nero che gli incorniciava gli occhi blu corallo e l'attitudine da eterno Peter Pan tossichello del parchetto, non poteva che averle tutte ai suoi piedi.
«Sì» rispose secco, breve e conciso Giorgio, spegnendo il telefono e andando a timbrare il cartellino con la sua electronic card.
Due vibrazioni attirarono l'attenzione del ragazzo che, riconoscendo il nome di Kevin nei messaggi ma senza sbloccare il telefono, quindi senza leggerne il contenuto, ripose immediatamente lo smartphone in tasca e in fretta e furia abbandonò l'ufficio.
Era un pigro Giorgio e lo sapeva benissimo anche lui stesso; infatti, casa sua non distava nemmeno cento metri dal luogo in cui lavorava.
Abbandonato il palazzo fece qualche passo lungo il marciapiede e dopo aver attraversato le strisce pedonali in men che non si dica si ritrovò all'interno dell'androne del suo condominio, con la fiancata di muro dedicata alle buste delle lettere totalmente vuota ad eccezione della sua casella, strapiena di pubblicità arrivata tutta quel giorno.
Qualche maledizione imprecata qui e lì per la stanza mentre recuperava le lettere che gli scivolavano dalle mani, selezionando quelle davvero importanti, per poi con una veloce corsa approdar verso l'ascensore, fortunatamente libero, furono il fulcro di quei minuti pieni di pathos.
Per i pigri l'ascensore vuoto è un toccasana, come quando si beve una tisana o si scrocca un buono pasto al lavoro... perché i pigri saranno pure abitudinari ma riconoscono sempre il valore delle cose quotidiane quando vanno bene.
In men che non si dica, tenendo in mano quattro giornali pubblicitari diversi, Giorgio fu nel corridoio che collegava le varie abitazioni adiacenti alla sua.
Qualche passo ancora e fu davanti al suo appartamento.
Chiave in mano, poi infilata nella serratura e il giovane fu dentro al proprio domicilio, dove depositò tutto ciò che aveva tra le braccia, lì dove capitava prima; lasciando che la posta prendesse la sua doverosa parte all'interno della confusione generale, insita nell'appartamento del ragazzo.
«Doccia, Palla di Pelo e poi Brind» si ripeté, mentre controllava l'ora sull'orologio: facendo così il riepilogo mentale del da farsi prima dell'uscita serale.
La doccia fu lunga, molto lunga, come piaceva a Giorgio che amava riscaldarsi con l'acqua che sgorgava dal soffione lungo il suo nudo corpo.
Il vapore aveva decisamente preso il sopravvento all'interno della stanza, con il giovane che in accappatoio, appena uscito dal bagno, camminava per l'intera abitazione, distribuendo gocce d'acqua sul pavimento mentre volava a passo felpato verso il piano cottura in cucina.
Dal frigo, che aperto era l'unica illuminazione all'interno dell'intero appartamento a parte per la luce del bagno lasciata accesa, prelevò una scatoletta già mezza aperta da giorni.
Non appena vide quella pittoresca scena, l'altro inquilino di Giorgio si fiondò immediatamente lì dove si trovava il ragazzo, il quale era intento a sistemare per bene la pietanza che era presente all'interno dell'involucro cilindrico, rovesciandola all'interno di un piatto ornato da stampati fiocchi dorati ai bordi.
Era un gatto.
Palla di Pelo era un gatto persiano.
Un gattone persiano d'appartamento, visibilmente in sovrappeso e pigro tanto quanto il padrone.
Aveva abbandonato la poltrona dove riposava solo perché Giorgio gli aveva preparato da mangiare, altrimenti mai si sarebbe curato di prestar attenzione ai movimenti del suo padroncino.
Un sorriso scappò al giovane nel vedere degustare la prelibata pietanza al suo gattone, con la promessa di farlo dimagrire il prima possibile... poiché così non poteva mica continuare.
«Però mi fa star bene» pensò tra sé e sé Giorgio, empatizzando col gatto, il quale, in verità, non se lo filava di striscio.
Ancora totalmente bagnato Giorgio rientrò all'interno del bagno passando dalla sua stanza da letto, distribuendo acqua anche lì dentro dopo averlo fatto poco prima in giro per tutto l'appartamento.
Ancora qualche minuto e il giovane fu finalmente pronto.
La sua serata era iniziata alle diciotto spaccate, con quel messaggio che sapeva di profezia per il da farsi... ma in quel momento erano già le ore venti.
«Allora, metro rossa... poi scendo alla terza e prendo la verde... quattro fermate e sono al Brind» pensò sistemandosi la camicia dentro ai pantaloni e legando il tutto con l'unica cintura di marca che egli possedeva al tempo.
Il rumore delle eleganti scarpe nere e del preponderante tacco sul tallone facevano da colonna sonora all'interno della stanza, come i tamburi tribali illuminavano musicalmente le feste di villaggio.
«Sono stupendo!» urlò, passando davanti allo specchio e guardando il suo riflesso.
Due tocchi di profumo e il giovane fu pronto, prese il cappotto e salutò Palla di Pelo con uno schiaffo sul sedere e un "buonanotte", sussurrato come se il gatto potesse realmente comprendere ciò che l'umano gli aveva appena comunicato.
In ascensore c'era, ad aspettarlo, Pina, una signora che abitava in uno degli appartamenti dello stesso piano di Giorgio, alla prima porta a destra del medesimo corridoio in cui viveva il giovane.
Il ragazzo, non appena la vide tutta sorridente mentre bloccava le portiere per includerlo nella tratta, sospirò malamente facendo finta di perder tempo nel chiuder la porta di casa.
«E dove andiamo?» chiese lei, con un forte accento del sud, non appena Giorgio fu dentro l'ascensore.
«Al Brind signora Pina... non so se lo conosce...» rispose titubante l'altro, in concomitanza con l'inizio del viaggio discensionale.
«Oh! Vedi che sto a Milano da dieci anni, ti pare che soltanto tu conosci i posti?!» tuonò lei, accompagnando la predica con un sorrisetto, forse un po' forzato.
«Sono più Milanese io di te» sussurrò lei ironicamente non appena l'ascensore fu fermo, zampettando via e andandosene subito dopo che le porte si furono aperte.
Giorgio sorrise a sua volta, riconoscendo la sua superbia come immotivata per il contesto.
«Prendi il tram 367 che la metro sarà strapiena» consigliò lei, senza girarsi e sparendo nel buio all'interno della fredda e tenebrosa hall del condominio.
Mentre la donna si allontanava dall'androne, divenendo sempre più difficile riconoscere più della sua paffuta sagoma, la mente del giovane rifletté sulle parole appena pronunciate dall'anziana e pensò:
«Ma ha ragione!».
Ed ecco che la scelta sul mezzo da prendere cambiò in modo drastico, passando così dalla metro al tram indicatogli dalla signora Pina.
Incamminatosi, una volta fuori dal portone del suo palazzo condominiale, il giovane girò l'angolo di casa e si toccò le tasche per controllare di avere tutto e soprattutto per prendere in mano il telefono, ormai abbandonato alla solitudine da ore.
Dopo aver controllato velocemente le varie notifiche più recenti, il giovane entrò nella chat con Kevin, che aveva fino a quel momento dignitosamente ignorato.
«Sai... mi son messo con Laura» recitava il messaggio di qualche ora prima; non letto fino a quel momento da Giorgio.
Il gelo cadde sulla scena.
La velocità divenne lentezza.
Un limbo si aprì nella mente del giovane, pietrificato in strada davanti al telefono mentre gli altri pedoni gli transitavano vicino da ogni parte possibile in quel fioco spazio poco illuminato, leggiadri come un giocatore di calcio che col pallone tra i piedi salta il portiere per andare in goal.
La gente gli passava accanto, eppure per il suo cuore sembrava che gli altri lo stessero attraversando; quasi a calpestarlo con le occhiate e le spallate che gli tiravano, essendo Giorgio fermo immobile a intralciare lo scorrimento del traffico pedonale.
«Datti una svegliata» gli urlò un uomo sulla quarantina, dopo averlo colpito ad una spalla, non per sua colpa.
Furono attimi duri, dove tutto divenne grigio come lo smog della periferia, come le strade e come i cartelli che sbiadendo per la muffa lasciano quel senso di vecchio e marcio.
«Ma come...» pensò Giorgio.
«Ma.... come» continuò, osservando lo schermo che andava in stand-by e si spegneva, tornando al nero pece a cui era abituato da non attivo.
Il ragazzo non sapeva che fare, preso dallo sconforto voleva gettar via ogni cosa che possedeva, dalla giacca ai bracciali e persino il suo telefono, così da prenderlo poi a calci, fin quando non si fosse spento del tutto; per sempre.
Ma non lo fece, perché in una società civile sei fai cose così poi ti isolano, gettando la chiave.... "e fanno anche bene" pensò Giorgio, come commento al suo stesso commento fatto in precedenza.
Il ragazzo, dunque, si limitò ad incamminarsi verso la piazza dove avrebbe preso il 367, conscio che ormai non poteva più abbandonare la serata nonostante l'inatteso e inaspettato risvolto dell'ultimo momento.
La disperazione prese nuovamente piede all'interno della mente del giovane, il quale ad ogni passo che avanzava con le proprie gambe verso la meta si sentiva sempre più vuoto e inutile, all'interno di una società che ancora una volta lo aveva rimbalzato, o meglio rigettato; forse per il suo pessimo tempismo o forse perché non era poi così stupendo come egli si era visto allo specchio poco prima.
Mangiucchiato e risputato indietro dalla comunità, Giorgio avvertiva di avvicinarsi sempre più alle sponde occupate dallo psicopompo Caronte, traghettatore dell'Ade.
D'altronde, lui a quell'evento non voleva nemmeno andarci e l'unico motivo per scendere a compromessi con il Mondo che lo circondava era la sua amata, ormai però perduta per sempre.
In men che non si dica Giorgio fu davanti alla fermata, mentre i pensieri ancora gli affollavano il cranio, senza lasciargli sazio di un respiro profondo e prolungato.
La sua mente era in apnea.
La fermata del tram era vuota.
Vuota come il suo cuore.
Vuota come la sua testa.
Tutto era vuoto.
Tutto era dubbio.
La natura appariva morta, con gli alberi che perdevan pezzi dai rami dopo aver lasciato penzolare per ore; avevan mollato la presa pure loro, concedendo alle verdi il crollo al suolo.
Leggiadre eran le foglie, come un corpo morto che cade mentre inerte cerca di resister, con l'inerzia posseduta, alla forza contraria dell'aria che l'accompagna a terra, creando quel dolce dondolio, che così tanto affascina quanto angoscia.
Sulla stessa terra dove si sentiva schiacciato anche Giorgio, così come le foglie venivan pestate senza rispetto da marcate e costose scarpe alla moda, ancora una volta il giovane era stato ingannato dalla vita.
«Come sempre» sospirò il ragazzo, rimembrando il passato scosceso che lo accompagnava ormai da anni.
Il 367 fu però stranamente puntuale.
Giorgio lo avvistò fin da quando girò l'angolo della piazza e si apprestò a posizionarsi davanti al punto in cui si sarebbero aperte le porte del tram.
Fu in quel momento, ovvero quando il mezzo fu davanti al suo naso, che nel vetro trasparente egli riuscì a vedere la sagoma di un volto.
Aveva la barba lunga e mal curata, un viso spezzato dal tempo, forse quel tempo perso a rincorrere qualcosa che non era ciò che egli desiderava davvero.
Aveva perso minuti, poi ore, poi giorni e da lì mesi e anni per fare cose che non aveva più voglia di fare; continuando ad uscire circondato dai ventenni pur essendo ormai sulla soglia dei trenta.
Perché l'unico brivido era quello che non aveva provato durante tutto il percorso di laurea, ingannato da un lavoro ben pagato alla fine della quinquennale e incatenato ad un ufficio che mal lo remunerava dopo anni di sacrifici economici e sociali; al venerando costo di rinunciare ai suoi sogni... in nome e per conto di un certo "futuro" che più che mai incerto gli appariva in quegli angosciosi momenti.
«Ma quale futuro?».
«Voi lo conoscete?»
«Qualcuno lo ha visto?»
No, la sagoma riflessa meritava di meglio che inseguire quella vita, meritava di più di salir sul traghetto di Caronte e pagare dazio per quella serata fallimentare al Brind, dove la sua nemesi stava con la ragazza che gli piaceva e lui poteva solo contemplare ciò che avrebbe potuto essere, ma che non era e non sarebbe stato mai.
«Contenti loro, sarò contento anche io!» tuonò, finalmente riconoscendosi nel riflesso dell'impostore che aveva avuto davanti per così tanto tempo.
«Io sono di più» tuonò, rinnegando quel viso.
Poi, il suono del tram lo svegliò dal suo sogno lucido.
Giorgio guardò ancora un momento sé stesso riflesso, brutto e incattivito dalla vita, lì nella trasparenza che rifletteva la sua immagine cupa da demone.
Il giovane aspettò che le portiere si richiudessero, come se il tram che egli stesse aspettando non fosse il 367 ma quello successivo.
Attese che il mezzo pacatamente se ne andasse e girò le scarpe logore verso la strada che lo aveva portato fin lì, pensando che egli meritasse di più di quel niente che aveva in mano.
La folle rincorsa del niente non gli aggradava più.
Egli valeva di più.
Egli voleva di più.
Voleva rincorrere qualcosa di vero, come i suoi sogni.
Giorgio tornò indietro e quella sera non si presentò al Brind.
Nessuno sa se egli abbia davvero rinunciato a rincorrere il niente dopo quella notte, ma la certezza fu che quel giorno... che quella sera... Giorgio, anche solo per un secondo in tutta la sua esistenza, fu finalmente libero.
Libero dalla tristezza.
Libero dalla stupidità del fare qualcosa che non voleva fare.
Libero della folle rincorsa del niente.

Tram - La folle rincorsa del nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora