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La felicità è come un raggio di luce,
che arriva quando la
notte inizia a farsi sempre più buia.

La felicità... Ma cos'era la vera felicità per me? Quella che tutti chiamano con questo appellativo, non è altro che una sensazione momentanea che ti riscalda il cuore, illudendoti che ce ne possa essere altra in futuro. La verità è che la felicità non è illimitata. Così come la vita è breve, lo è anche quest'ultima. Non si sa mai cosa succederà il giorno dopo e quello dopo ancora. Tutti abbiamo dei giorni in cui ci sentiamo invincibili, dove sembra che tutto sia possibile. Poi è tutto come un aprire gli occhi dopo un sogno lucido e rendersi conto che sembrava tutto troppo bello per essere vero. Quei brividi lungo la schiena dopo aver mosso le dita, dopo aver aperto gli occhi al mondo, quella sensazione di gelo sotto ai piedi: Quelle sensazioni che ti solleticano l'anima, che ti fanno dire «Hey, sono viva!» Anche io ho avuto un momento in cui mi sono sentita invincibile. Anche io ho sentito i piedi nudi sfiorare il suolo bagnato e sporcarsi di fango, i capelli venire spostati dal vento alimentando una mia risata, le guance rosse dopo una lunga giornata sotto al sole a raccogliere boccioli di rose nell'enorme giardino di nonna, insieme a mamma. Le piccole cose quotidiane mi hanno sempre resa felice. Ma anche la sensazione più pura di una bambina docile, può trasformarsi in qualcosa di più tenebroso.

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Ero poco più che una bambina quando mia madre morì. Sembrava strano persino per me concepire che fosse morta ad un'età così giovane, ma papà diceva sempre che la magia l'aveva uccisa. Quelle sue piccole e grandi premure, erano scomparse con lei nel momento stesso in cui la sua anima aveva abbandonato il suo corpo. Si dice che prendiamo solo l'energia del mondo in prestito e che un giorno dobbiamo restituirla indietro. Ricordo ancora il giorno del suo funerale: Mio padre piegato sulla sua bara, i capelli grigi che gli sfioravano il viso coperto dalle lacrime e l'odore di erba bagnata sotto ai nostri piedi. I miei occhi curiosi scrutavano per bene ogni dettaglio. Il suo volto era pallido, il mento rivolto all'ingiù e una mano sulle palpebre in un tentativo invano di mostrarsi forte. Le pieghe della bocca e i segni dell'età erano ben evidenti, contornando il viso di un dolore atroce per un marito e per un padre. Le sue ginocchia premevano contro il suolo, sprofondando nel fango e macchiando l'abbigliamento elegante. Continuava a blaterare in sproposito come se le desse la colpa di averlo lasciato. Di averci lasciato. Lei era testarda, avrebbe fatto comunque di testa sua. Ma si poteva essere così sconsiderati per mettere la propria vita in pericolo per salvare quella di qualcun altro? Non potevo saperlo. Nessuno poteva farlo. Nessuno capirebbe fino a quando non c'è dentro. Arriveremo anche noi ad un punto della nostra vita in cui metteremo a repentaglio la nostra luce per far splendere un'altra stella nel cielo. Un senso di nausea accolse il mio stomaco, facendomi ripiegare su me stessa. La pioggia mi bagnava i capelli ramati facendoli risplendere sotto il cielo triste e la nonna accanto a me,- curvata in avanti con un ombrello dal manico di legno scuro e l'altro braccio a tenermi stretta a sè in un abbraccio di conforto-, mi prese i capelli con le dita affusolate, tenendoli stretti in una mano per non farmeli andare sul viso, mentre rigettavo con le lacrime al viso ciò che avevo mangiato la sera prima. Sono pezzi di incubi che non potrò mai dimenticare, nemmeno se volessi. La paura mi perseguita. La paura di perdere qualcun altro non mi permette di andare avanti. Mi fa rivivere tempeste in cui potrei facilmente annegare, se non ci fosse qualcuno pronto a prendermi. Ed effettivamente non c'era nessuno a farlo o almeno, non da vicino. Ovunque io vada, riesco ancora a vedere i loro volti dispiaciuti, espressioni di quasi commiserazione. Ogni qualvolta li vedevo passarmi accanto, li sentivo bisbigliare un «poverina» o un «non parlare di questo con lei, è un argomento delicato» Ma non era la stessa delicatezza con il quale mi trattava mia madre. La mia bellissima mamma dai boccoli biondi e gli occhi verdi. Dal corpo sinuoso e le lentiggini come macchie di fragole su una pelle candida come una scultura marmorea. Li vedevo abbassare lo sguardo ai miei piedi, portarsi una mano alla bocca e tentare di nascondere le irrefrenabili lacrime agli occhi per la commozione. «E' solo una ragazzina e si è già abituata all'assenza della madre», «come farà adesso il padre a crescere una figlia da solo? povero uomo.» E poi ad ogni mio sguardo di disprezzo, scappavano via a testa bassa, come se la mia fosse una reazione spontanea dovuta al dolore, che non pensassi davvero ogni parola detta per farmi lasciare in pace. E le città continuavano a ritornare vuote, forse perchè la prima ad esserlo ero io. Il cielo tornava ad essere grigio come sempre e mi parve per un attimo di aver dimenticato quali fossero le altre sfumature di colori. Anche casa nostra pareva essere di un grigio triste, destinato come la nostra vita, ad essere di una tinta unica. Se è grigio, non potrà mai essere giallo, o verde, o rosso. Non potrò mai sperimentare il calore dovuto ai colori accesi. Non sperimenterò mai la passione dell'anima, nè tantomeno quell'ardore che ti brucia la pelle quando le tue braccia si accingono al collo di un altro. E per innumerevoli momenti, ho immaginato di poter toccare le nuvole con un dito. Ho sperato fino in fondo, per tutta la mia infanzia, di poter ritrovare quel luccichio che trovavo quasi sempre negli occhi di mia madre e che ormai, non trovavo più in quelli di papà. La casa risultava essere insulsa, priva di ogni cenno d'amore. E mi sono chiesta se quelli ad essere insulsi, fossimo noi. Nascondendoci in una scusante per non andare avanti. Perchè per quanto possa farti male, farti mancare il respiro, sarai sempre fragile. Non imparerai dalle lezioni della vita, sarà un continuo ciclo in cui il più debole si farà male. Ancora, ancora e ancora. E la luce non si ottiene spegnendo quella degli altri, tantomeno permettendo che gli altri spengano la nostra. Si ottiene continuando a prosperare per gli altri, rendendo la loro vita luminosa. E allora sarà in quel momento che ci sentiremo meno inconcludenti. Era quello il mio destino? Mettere da parte il mio dolore cercando di dimenticarlo, per favorire ai più deboli una vita migliore di quella che avevo avuto io? Ero io la debole della storia. Destinata ad essere infelice per tutta una vita, con le cicatrici aperte, pronte a sanguinare da un momento all'altro, senza che nessuno possa lasciarci un bacio sopra per curarti come si è soliti pensare da bambini. Mamma curava ogni mia ferita. E adesso io curo quelle degli altri per dimenticare quanto facciano male quelle che mi segnano la pelle.

La Tessitrice di Stelle -𝐃𝐫𝐚𝐜𝐨 𝐌𝐚𝐥𝐟𝐨𝐲Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora